La morte del capo mercenari
“Ha scannato Prigozhin, Putin si prende la Wagner”: l’intervista a Stefano Silvestri
«L’eliminazione del capo dei mercenari dà conto del fatto che il Cremlino ha deciso di prendere le parti dello Stato maggiore e quindi delle forze armate russe, bisognerà vedere cosa accadrà nei teatri di guerra dove le truppe irregolari operano»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Se la vendetta è un piatto che si consuma freddo, l’eliminazione di Prigozhin a due mesi dal “bluff” del tentato golpe, conferma il vecchio adagio. L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli analisti italiani di politica estera e geopolitica: il professor Stefano Silvestri, già presidente dello Iai (Istituto Affari Internazionali) e oggi consigliere scientifico.
Professor Silvestri, l’eliminazione di Prigozhin e del suo vice è una vendetta postuma di Vladimir Putin?
Ne ha tutta l’aria. Tutti dicono che non c’erano segni premonitori di un guasto dell’aereo o cose di questo genere. Sembrerebbe un attentato o l’abbattimento da parte della contraerea russa. In ambedue casi, significherebbe la vendetta dello “zar”.
Il Cremlino continua a tacere sulla morte del capo della Wagner. Come lo spiega?
In realtà, con Prigozhin il Cremlino è sempre stato in imbarazzo. C’è stato il discorso iniziale di Putin nelle ore del cosiddetto “golpe” sulla “pugnalata alla schiena”. Dopo c’erano state una serie di mosse contraddittorie, con Putin in riunione per tre ore con Prigozhin e lo stato maggiore, poi il fu capo della Wagner che sembrava muoversi liberamente in Russia, e poi in Bielorussia, e poi lo davano in Africa. Sembrava che avessero raggiunto una sorta di accordo, per cui lo staccavano dall’Ucraina ma lo lasciavano agire fuori dalla Russia, nei posti al mondo in cui la Wagner ha tutte le sue milizie, dall’Africa al Medio Oriente. L’abbattimento dell’aereo e la morte di Prigozhin fa pensare che Putin abbia deciso che doveva liberarsi di questa persona perché il fatto che Prigozhin continuasse ad agire e a fare proclami sembrava un segno di debolezza del regime. Putin ha voluto dare un segnale di forza ulteriore. Quello che avviene a questo punto è che la Wagner verrà normalizzata.
Vale a dire?
La Wagner era sempre stata collegata con i servizi segreti militari russi, con i Gru, adesso, con la morte di Prigozhin e dei suoi più stretti collaboratori, è probabilmente destinata ad essere collegata direttamente con lo Stato maggiore delle forze armate russe, il che significa un suo inquadramento nell’esercito, con alcuni svantaggi per Mosca.
Perché, professor Silvestri?
Perché significherebbe una minore flessibilità, maggiori difficoltà nel prendere decisioni rapide, un irrigidimento delle catene di comando e quindi anche delle decisioni, e poi non ci sarebbe più la possibilità di dire, da parte delle autorità russe, noi non c’entriamo sono loro, quelli della Wagner, che fanno certe cose ma noi non siamo direttamente coinvolti, che era poi uno dei punti di forza del Cremlino, scaricare sui mercenari di Prigozhin le responsabilità del lavoro sporco. Inquadrandoli, in qualche modo, nell’esercito, Mosca ne diviene direttamente responsabile.
Due mesi fa c’era chi sosteneva che l’insurrezione della Wagner avrebbe portato al disfacimento del regime se non addirittura all’uscita di scena di Putin.
Io non ero tra costoro. Fin dall’inizio, anche in una nostra precedente conversazione, avevo sostenuto che l’indebolimento del regime andava visto nel più lungo periodo. L’eliminazione di Prigozhin sembra dar conto del fatto che Putin abbia scelto i suoi alleati in maniera diverso da come aveva fatto prima. Ha deciso di prendere le parti dello Stato maggiore e quindi delle forze armate russe. Questo è un segno di forza o di debolezza? Può essere preso in ambedue i sensi. Bisognerà vedere cosa succederà più a lungo termine in tutti i teatri in cui opera la Wagner e poi capire anche come una milizia così “normalizzata” possa giocare un ruolo per la Russia.
Se dovesse misurare oggi lo stato di salute del regime di Putin. C’è chi in Occidente, Stati Uniti, Nato, e alcuni partner europei, aveva sostenuto apertamente che l’obiettivo strategico della guerra in Ucraina era la fine dello “zar”.
Va detto che finora le alternative a Putin sembrano, sul piano nazionalista e interventista, addirittura peggiori, da noi si direbbe più a destra, di lui. Però potrebbero fare accordi diversi da quelli di Putin. Al momento credo che la situazione più preoccupante per la Russia rimane quella economica, con una Cina fortemente indebolita dalla sua bolla immobiliare e con un rublo in caduta libera. Credo che la Russia sarà costretta a fare i conti con questo. Certo, l’economia di guerra può reggere anche per un periodo piuttosto lungo, però crea grossi problemi strutturali e quindi potrebbe alimentare il desiderio di altre forze interne di far fuori Putin, mantenere il sogno imperialista della Russia, perché le forze che possono far fuori Putin sono di questo tipo, e al tempo stesso trovare degli accordi con gli occidentali, offrendo, ad esempio, un armistizio con la restituzione di parte delle terre agli ucraini. Soluzione non ottimale per gli ucraini ma comunque migliore della situazione attuale.
La guerra in Ucraina. Siamo allo “stallo armato”?
Il problema di questa guerra è che è difficile raggiungere una vittoria sul campo. Anche perché noi abbiamo messo delle limitazioni molto forti agli ucraini. Per superare uno sbarramento difensivo come quello che hanno creato i russi in Ucraina, l’attacco frontale è l’ipotesi più costosa e meno pagante. Sarebbe molto più pagante una manovra avvolgente, accerchiare, in tutto o in parte, un settore difensivo dell’esercito russo, ma questo significherebbe entrare in territorio russo con le operazioni militari, perché i settori del territorio ucraini che la Russia tiene, sono tutti confinanti con il territorio della Federazione russa. Noi, gli Stati Uniti, la Nato, l’Europa per quel che conta, cioè poco, abbiamo detto di no a questo tipo di ipotesi. Non dovremmo meravigliarci se poi la situazione non avanza sul terreno.
Da qui la ricerca di un compromesso.
Un compromesso, a mio avviso, non è molto credibile, perché l’unico compromesso possibile in realtà sarebbe, a questo stadio, un accordo armistiziale che praticamente lascia ai russi il territorio che hanno occupato. Il che metterebbe l’Ucraina in una situazione molto delicata e il governo di Kiev in una posizione molto debole rispetto alla sua popolazione. Sarebbe una cosa molto dura da inghiottire per gli ucraini. Sostanzialmente richiederebbe a noi, agli alleati, di dare agli ucraini non solo enormi garanzie per il futuro ma anche la garanzia che noi non stiamo tradendoli con i russi, cioè che manteniamo la pressione perché l’accordo armistiziale non divenga permanente, tipo Corea.
Questo significherebbe in pratica che noi dovremmo continuare a fare una sorta di guerra politica ed economica, e probabilmente anche di contrasto fuori dal territorio russo, alla Russia. In questo scenario ipotetico, potremmo parlare di cessazione dei combattimenti, potremmo dire che dal punto di vista umanitario abbiamo raggiunto il risultato di mettere fine alle distruzioni e alle morti, ma il conflitto continua.
E continua in maniera anche più difficile per noi, perché la Russia potrebbe concluderne che prima o poi potrebbe tentare di fare un altro attacco. Come è stato in Georgia. E come ha fatto in Ucraina, portandole altri territori. E questo accrescerebbe molto le tensioni dentro la Nato, e non capirei come gli ucraini potrebbero accettare questo senza ottenere qualcosa di significativo di cedimento da parte della Russia. Le ipotesi di accordi ventilate mi sembrano ancora troppo fragili, indeterminate e troppo sbilanciate per poter aprire una seria prospettiva negoziale.