Il dibattito
Compagni dell’Unità, riprendiamoci il tesoro lasciato dal Pci
Editoriali - di Duccio Trombadori
Caro Piero, la recente scomparsa di Tronti e i numerosi commenti che ha suscitato, meritano una considerazione che travalica il dispiacere per il distacco di un pensiero proiettato nell’ attualità qual era e voleva essere quello di Tronti per arricchimento delle idee maturate attorno al suo originale culto di Marx. Oltre all’emerito omaggio di Goffredo Bettini apparso sul tuo giornale, mi ha particolarmente sorpreso il pulviscolo interessante di commenti riversati in rete non solo per la ragionevolezza degli argomenti affrontati in relazione alla “filosofia” di Mario Tronti, ma soprattutto per la loro contrastante diversità giunta nel merito quasi al segno di un’opposizione inconciliabile. Su canali di scorrimento dialogico come Facebook potevi contare i giudizi sinceri di compagni e compagne (li chiamerei “ex di fatto”) pronunciati pro e contro con arguta e partecipata attenzione ai vari temi suscitati dall’opera di Tronti.
Quali temi? La riflessione sull’essenza del capitalismo, sul ruolo del movimento operaio, sulle mitologie rivoluzionarie e socialiste, sul revisionismo marxista, eccetera. Da tutto quel grumo scomposto di emozioni e pensieri si rifrangeva come da uno specchio rotto la complessità e la diversità di idee tanto quanto le questioni lasciate aperte dalla fine precipitosa e arrabattata del vecchio PCI. La scomparsa di Tronti, la diversa lettura della sua opera (fu cattivo maestro o buon maestro? Eccetera) e di qui, quale via interpretativa può essere feconda di un coagulante consenso culturale, ma io direi anche ideale e politico? Non so rispondere a questa domanda.
Il vero tema in ballo in tali “sfoghi” più che comprensibili non è tanto a guardar bene la discussa e sempre discutibile eredità intellettuale, né l’indiscutibile profilo morale di Mario Tronti. Il vero tema, che probabilmente agita ancora e inquieta tante coscienze, è a mio parere il modo in cui ormai da più di 30 anni l’organismo-PCI è uscito da sé stesso senza avere fatto bene i conti con la sua stessa storia, senza misurare la diversità delle anime che ne alimentavano la consistenza politica e morale, ma che non sono risultate in grado di prospettare nel futuro una conglomerante ipotesi di forza socialista capace di tenere assieme virtuosamente tante diversità.
Così si è solo dispersa una eredità che invece siamo in molti, ex o non ex PCI, a ritenere fattore storico di capitale importanza per la crescita della democrazia “post-borghese” in Italia dopo i fasti del liberalismo e i nefasti del fascismo.
Ho così pensato che tocca proprio a un giornale come L’Unità il compito di accendere lumi su questo irrisolto capitolo della storia di cui il giornale fondato da Gramsci è stato parte centrale. Suscitando il confronto aperto e non fazioso tra le diverse componenti (quel che ne resta) della storia comunista italiana per rispondere alla profonda esigenza di dare vita ad una forza socialista che sia alla altezza prospettica del XXI secolo.
Goffredo Bettini, da par suo, ha detto cose che meritano seria considerazione, sebbene la materia trattata e gli auspici che ne derivano non si esauriscano nel suo contributo. Partire però dalle sue domande, travalicare nell’attualità l’assillo dell’irrisolta questione della dispersa “eredità PCI”, può essere la piattaforma intenzionale di una più ampia e inedita ripresa convergente di cultura e vita morale.
Nel merito, sento che l’Unità dovrebbe avere tra le altre questa principale ambizione. È un sincero augurio che faccio sperando che il tema appena accennato trovi il meritato sviluppo. Forse così da cosa può nascere qualcosa.
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