Il poeta e la Fgci

Come è morto Pier Paolo Pasolini: storia dell’amicizia del poeta con la Fgci

Per alcuni importantissimi mesi era stato amico e maestro. Aveva cambiato le nostre menti e le emozioni. Diventò semplicemente il mito. Moravia gridò: è morto un poeta, è morto un poeta!

Editoriali - di Goffredo Bettini - 2 Agosto 2023

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Come è morto Pier Paolo Pasolini: storia dell’amicizia del poeta con la Fgci

Così quel giorno, al di là di ogni consuetudine, due sconosciuti giovani comunisti romani di fronte ad una platea di mille persone e alla “crema” intellettuale e artistica della capitale francese, presentarono quelle due paginette, stentatamente battute a macchina al “Giorgio V”, che dovevano introdurre “Salò”, perché il film di Pasolini era stato in qualche modo a loro dedicato. Né io né Nando Adornato eravamo in grado di tradurre simultaneamente il testo dall’italiano al francese. Qui ci venne in soccorso Bernardo Bertolucci. Lessi io il testo e, interrompendo di tanto in tanto, il nostro amico regista lo riportava in francese.

Fu una serata molto particolare. La mia vera passione, oltre alla politica, è stata sempre il cinema. Anzi, il cinema è venuto prima. Proprio all’inizio dell’adolescenza. Stare lì, parlare lì, protagonisti, anche noi, dell’avvio del lungo viaggio dell’opera del poeta, lasciò in me un’impronta incancellabile. La sera Bertolucci ci portò tutti in una brasserie vicino alla Bastiglia. Una grande tavolata di amici, artisti e registi francesi. Di fronte a me si era seduto Louis Malle. Un mito. Con il quale cercai di attaccare bottone, in un clima di serena allegria e di chiacchiere intelligenti. Si parlò molto di Pier Paolo.

Il giorno dopo saremmo dovuti partire. Mi svegliai molto presto, come era mio solito. Nando, invece, dormiva profondamente. Scesi piano piano e mi avviai pieno di vitalità, verso gli Champs Elysees. Nel fresco delle prime ore del giorno, con solo qualche bar aperto e i netturbini a pulire i resti della notte precedente, andando incontro all’enorme discesa che porta fino al giardino delle Tuileries, compresi l’euforia che può dare Parigi. La grandezza della sua storia e della sua cultura, i caffè dove sui tavolini traballanti hanno scritto fior fior di letterati e Joseph Roth ha composto i suoi libri su fazzolettini di carta. Parigi, in certi momenti, ti fa attraversare il mondo intero. Lo racchiude. Lo esalta. Ne coglie la grandezza e, a ricordare bene la storia, il suo dolore. Gli Champs Elysees: le manifestazioni del ’68, i cortei del fronte popolare, i momenti gioiosi e gloriosi della repubblica francese. Anche i carri armati nazisti nel momento più triste delle vicende europee. Ti tornano nell’animo e possono darti un senso di onnipotenza; proiettarti in una dimensione di felicità incontenibile, dalla quale vedi tutto dall’alto e ti sembra di volare.

Al ritorno in albergo, con i piedi di nuovo per terra, preparammo le valigie. Era l’ora di tornare. Discutemmo con Adornato come rastrellare tutte le creme, i saponi, gli shampoo, le pantofole, e ogni ben di dio che il “Giorgio V” metteva a disposizione della clientela. Ci fermammo di fronte alle vestaglie e agli ombrelli. Alla fine Nando, avvalendosi del fatto che aveva la sua ragazza, Antonella Prisco, che lo aspettava, ebbe la parte più consistente. Un mio piccolo gesto di generosità, che feci con piacere, per un amico che ho sempre stimato. Nei mesi successivi Pasolini continuò a stare al centro dei nostri pensieri e del nostro lavoro politico. Nel 1976 ripetemmo la festa della gioventù, al Pincio. Borgna era transitato nel gruppo dirigente nazionale della Fgci, con D’Alema segretario. Veltroni lo aveva sostituito, mantenendo l’ispirazione della Fgci che avevamo costruito tutti assieme negli anni passati. Questa volta al poeta scomparso intendemmo dedicare una serata, con la proiezione di un breve film da noi stessi prodotto e girato. Anche in questo caso Laura Betti fu protagonista.

Il lavoro risultò complicatissimo, perché l’attrice continuava ad essere molto umorale. Con qualche ulteriore aggravamento della sua instabilità. All’inizio si impegnò in questo lavoro per la Fgci un compagno intelligentissimo, ironico e molto educato, Paolo Lepri. Oggi importante giornalista del “Corriere della Sera”. Tuttavia Paolo cadde sul campo. Era troppo sensibile per fronteggiare la spinta emotiva di Laura Betti. In corso d’opera Veltroni mi chiese di sostituirlo. Per tre mesi fui impegnato dalla mattina alla sera nel costruire le condizioni per la realizzazione del film. L’idea era di far girare brevi sequenze a tanti diversi registi italiani, in qualche modo coinvolti nella vita di Pier Paolo. Accettarono di collaborare molte personalità del cinema italiano. Bertolucci, Maurizio Ponzi, Carlo Lizzani e tanti altri. Il titolo scelto fu: “Il silenzio è complicità”.

La tesi era chiara: non era stato solo Pelosi ad assassinare il poeta, c’erano più persone, le indagini fin dall’inizio furono omertose. Nel lavoro di elaborazione finale della nostra piccola opera, fu essenziale una persona che ricordo con grande affetto e gratitudine, Kim Arcalli. Il montatore di quasi tutti i film di Bertolucci. Lavorammo con lui in moviola, vicino a Piazza del Popolo, per tanti giorni, ininterrottamente. Tant’è che Arcalli mi propose di trasferirmi a casa sua. Che mi pare fosse a Via di Ripetta. Accettai e mi trovai a convivere con un genio del montaggio, scoprendo il suo carattere umanissimo, disponibile e felice di insegnare. Credo che già allora il suo corpo stesse combattendo l’aggressione di un male incurabile. Che lo portò via qualche tempo dopo.

Il film “Il silenzio è complicità” era un susseguirsi di scene poetiche dedicate a Pasolini, di suoi testi e di interviste ai giovanissimi delle borgate e agli avvocati che sostenevano le ragioni di una morte misteriosa. Non era un granché. Risultava un po’ sconnesso e con alti e bassi. Nonostante i miracoli di Arcalli. Però è una testimonianza incredibilmente importante su Pasolini. Con alcuni pezzi di cinema notevoli: la lunga sequenza girata da Maurizio Ponzi all’idroscalo di Ostia, le riprese alla Torre di Chia, alcuni dialoghi con il popolo su Pasolini. Per tanti anni non ho saputo dove stesse ciò che era rimasto della pellicola. Poi alla fine la ritrovammo alla Cineteca di Bologna. Usurata, ma ancora fruibile.

In verità con le ultime sequenze del nostro omaggio a Pasolini, si concluse definitivamente la fase nella quale sentivamo il poeta ancora vivo, in mezzo a noi, parte del nostro lavoro e del nostro impegno. Poi Pasolini acquistò ai nostri occhi il profilo di un “mito”, ormai definitivamente sepolto. Era stato al centro di una stagione decisiva della nostra vita. Aveva colto forse, in noi, la freschezza di una militanza innocente, persino sognante. Presto le cose sarebbero cambiate, il ’77 avrebbe riportato sulla scena le violenze e gli ideologismi. E da quel momento, il rapporto tra la gioventù e il partito comunista non si recuperò mai più pienamente.

Berlinguer negli anni successivi parlò della nostra “diversità”. Fu preso per un settario. Ma in realtà voleva dire una cosa simile a quella che Pasolini rivolse a noi: siamo un’isola in mezzo ad un mare in tempesta che dobbiamo affrontare. Ci sono momenti alti e quelli di risacca. In quelli di risacca conta non tradire se stessi. E Pasolini ci invitò a farlo con il linguaggio di un poeta. Perché, al di là di tutto, era fondamentalmente un poeta. E, come gridò Alberto Moravia (a mo’ di preghiera) durante i suoi funerali, con voce affranta e spezzata, in una sorta di invocazione rivolta al cielo di Roma: “È morto un poeta! È morto un poeta! E di poeti in un secolo ne nascono pochi!”.

FINE quarta e ultima puntata.
Le precedenti puntate sono state pubblicate nei giorni 28 e 29 luglio e 1 agosto.

2 Agosto 2023

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