Riformucce e teatrini

Guerra con le toghe? Macché, è solo ammuina: lo scontro sulla Giustizia è roba da ridere

Politica e giustizia, spalleggiati dai supporter mediatici, mimano una contrapposizione che in realtà serve solo a fi ni interni. Ai tempi del Cav, lo scontro con la magistratura fu una cosa seria. Ma si sa, la storia si ripete due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa

Giustizia - di Valerio Spigarelli - 15 Luglio 2023

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Guerra con le toghe? Macché, è solo ammuina: lo scontro sulla Giustizia è roba da ridere

«La storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa», diceva uno, ormai dimenticato, che sotto la testata de L’Unità ci sta come il cacio sui maccheroni. Frase che calza a pennello per spiegare lo scontro tra la Politica e la Giustizia che, con qualche forzatura, i partiti di governo, l’opposizione “di sinistra” e l’ANM, stanno mettendo in scena. Ognuno spalleggiato dai propri supporter mediatici, i contendenti mimano una contrapposizione che, in realtà, è pura narrazione che serve soprattutto a fini interni.

Il centrodestra, fin qui, sulla giustizia ha combinato solo disastri, replicando lo schema delle leggi cotte e mangiate da dare in pasto all’opinione pubblica in cambio di qualche oncia di consenso – da quella sui rave alla preannunciata legge sulle baby gang – che affligge il sistema penale dalla fine del XX secolo. Ciò nel segno della continuità del populismo giudiziario con il testimone che passa dai Cinque stelle al duo Lega/Fratelli d’Italia. Sempre nel segno della continuità, ma stavolta della politica fintamente garantista dei governi Berlusconi, è parallelamente proseguita la narrazione – anche esposta con eleganza quando il prosatore è il ministro Nordio – sulla necessità di una riforma complessiva, con rituale invocazione della separazione delle carriere e di un intervento sulla Costituzione.

Il tutto, però, da rinviarsi “all’autunno”, mitica stagione delle riforme che il signor B. evocava ad ogni governo che presiedeva, salvo poi impelagarsi nella palude delle leggi ad personam per far contento sé stesso e di quelle securitarie per accontentare la maggioranza silenziosa degli italiani che, sotto sotto, un po’ forcaioli sono da sempre. In attesa dell’avvento della riforma vera si mettono allora in campo riformuccie, come quella che mescola abuso di ufficio, traffico di influenze, intercettazioni, custodia cautelare ed articoli vari. Un mix buono per spaccare l’opposizione e mettere in difficoltà i suoi leader, Schlein in testa contestata dai sindaci del PD, ma che di organico non ha veramente nulla.

Oppure si licenziano norme che sembrano fatte dal mago Silvan, come l’ultimo Decreto Ministeriale del 4 luglio, che impone alla giustizia penale italiana un salto nel futuro telematico da un giorno all’altro, senza però curarsi di verificare che gli uffici giudiziari siano pronti. Con il risultato che, se le cose non cambieranno con l’ennesimo rinvio all’italiana – che pare si stia profilando in queste ore – dalla fine di luglio gli avvocati italiani si faranno il segno della croce al momento di depositare un appello o un ricorso per cassazione perché non sapranno se l’hanno fatto sul serio. Discreto lascito, questo della narrazione tecnologica fatta quasi sempre sulla pelle degli imputati, del governo Draghi e della ministra Cartabia in cerca di soldi europei.

In questo scenario viene bene anche una replica del mitico scontro con la magistratura, che ai tempi del Cav fu una cosa seria – e drammatica dal punto di vista dell’equilibrio dei poteri costituzionali – con le ripetute invasioni di campo del Terzo Potere a cui si oppose una resistenza fatta di ritirate e concessioni da parte degli altri, tutti gli altri, FI e PD per primi, secondo uno schema che vedeva la magistratura, il CSM e l’ANM, come vere e proprie controparti del potere legislativo. Solo che oggi non capita che tre PM si affaccino dalla tv per proclamare la propria opposizione ad una legge; oppure che il capo di una Procura, vestito e calzato in ermellino e tocco durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, proclami la “resistenza” contro le leggi del parlamento; ovvero che si sputtani in mondovisione il premier in carica recapitandogli un avviso per garanzia mentre sta seduto a tavola coi Grandi della Terra (…che comunque l’hanno già appreso dai giornali del mattino a cui la stessa Procura ha avuto la cortesia di recapitarlo in advance).

No, oggi ci tocca assistere alla riedizione della faccenda a proposito delle imprese di Delmastro o della Santanchè, che sono imbarazzanti quanto inconsistente è il loro paragone con i nefasti del passato. Come è imbarazzante ascoltare gli interventi sul tema della Premier la quale, con inflessione Roma Sud, rivendica prima il contenuto di un “lettera anonima” spedita da Palazzo Chigi e poi, senza soluzione di continuità, proclama che non ha intenzione di litigare coi magistrati su nulla. E qui noi malfidati guardiamo alla separazione di carriere in culla pronta ad essere sacrificata per l’ennesima volta sull’altare della pax giudiziaria con la magistratura. Alla quale magistratura, o per meglio dire alla sua rappresentanza sindacale, l’ANM, a sua volta, non pare vero di poter parlare dell’ennesimo tentativo farlocco di mettergli la museruola per rialzare un po’ la testa dopo anni di rappresentazioni a suon di chat di Palamara che ne hanno offuscato l’immagine.

Alla magistratura associata piace l’idea di poter finalmente trovare un giudice simbolo da mettere sotto tutela rispetto alle aggressioni governative e quindi sollecita prontamente al CSM l’apertura proprio di una “pratica a tutela”. A nessuno gli viene in mente, da quelle parti, di aprire identica pratica a tutela della presunzione di innocenza sulle esternazioni di qualche Procuratore troppo incline alle conferenze stampa; oppure di riflettere seriamente sul fatto che, se le scale del CSM sono state ritenute il luogo più sicuro per incontri tra consiglieri e rappresentanti politici, forse in tema di intercettazioni e trojan qui nel Bel Paese stiamo un po’ più in là dell’accettabile. No, i rappresentanti dei magistrati questo lo negano, perché siamo il paese delle garanzie e le intercettazioni come il trojan sono “irrinunciabili nella lotta contro il crimine”.

Concetto subito raccolto dai governativi che si affrettano a dire che, infatti, loro nulla faranno sul tema nella riformuccia di cui sopra se non garantire ai buoni, cioè a quelli che non c’entrano nulla le cui conversazioni finiscono regolarmente sui giornali e in TV, che ci penseranno loro ad evitarlo. Magari con qualche norma che complicherà la vita ai cattivi, cioè agli imputati e ai loro avvocati, impedendogli persino di ascoltare, leggere o avere copia di tutte le intercettazioni di un processo.

L’apoteosi dell’ammuina si raggiunge poi il consenso tripartisan su Gratteri capo in pectore della procura di Napoli. Qui sono d’accordo tutti, ma proprio tutti, destra, sinistra, centro e pure Renzi, che evidentemente ha questa fissazione da anni, visto che lo voleva fare ministro. No, rispetto ai temi della Giustizia e alla coerenza dei suoi attori aveva proprio ragione Marx, ma non il Karl citato all’inizio, Groucho, quando diceva: «questi sono i miei principi, se non vi piacciono ne ho altri». Sembra il motto della casa, qui da noi, quando si parla di Giustizia.

15 Luglio 2023

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