La sentenza
Caster Semenya è stata discriminata sul sesso: la CEDU condanna il TAS che ha preteso cure ormonali
Il Tribunale Sportivo aveva deciso che per competere a determinate distanze, l'atleta sudafricana avrebbe dovuto sottoporsi a cure ormonali. La campionessa produce livelli alti di testosterone che portano all'iperandroginia
News - di Antonio Lamorte
Caster Semenya è stata discriminata per le sue caratteristiche sessuali secondo la CorteEuropea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. La mezzofondista sudafricana, pluricampionessa e plurimedagliata, era stata esclusa da determinate gare dopo essersi rifiutata di sottoporsi alle cure per abbassare livelli troppo alti di testosterone. La CEDU ha accolto uno degli appelli dell’atleta che adesso sogna le Olimpiadi di Parigi 2024.
La CEDU ritiene che la Svizzera abbia violato l’articolo 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, relativo al divieto di discriminazione, combinato con l’articolo 8, che tutela il diritto alla riservatezza, e l’articolo 13, relativo a un ricorso effettivo. Semenya è al centro del caso più noto di iperandrogenismo, la condizione che si verifica quando il corpo di una donna produce naturalmente alti livelli di ormoni maschili. Una condizione che aveva sollevato dubbi sulle gare e le corrette condizioni di competitività.
Semenya ha vinto titoli mondiali e olimpici, ha piazzato record nazionali e stagionali soprattutto negli 800 metri. Le regole introdotte nel 2011 dalla Federazione Internazionale dell’Atletica Leggera (World Athletics) le avevano impedito di partecipare senza abbassare i suoi tassi di testosterone. Il Tribunale Internazionale dello Sport di Losanna nel 2019 aveva respinto il primo ricorso contro il regolamento presentato dall’atleta. La Corte Suprema aveva sospeso temporaneamente la sentenza ma l’aveva confermata un anno dopo.
Secondo la sentenza la campionessa avrebbe dovuto sottoporsi a cure ormonali per abbassare il suo naturale livello di testosterone per competere su alcune distanze. A quel punto Semenya si è rivolta alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. La votazione ha spaccato i giudici, quattro a favore e tre contrari. Non si tratta di una sentenza definitiva, non ha effetti nell’immediato e potrà essere soggetta a un altro grado di giudizio. L’atleta non aveva chiesto alcuna somma per danni materiali o morali. La Corte ha comunque deciso che la Svizzera dovrà pagarle 60mila euro di spese processuali.
“La Svizzera ha oltrepassato il ridotto margine di discrezionalità di cui godeva nel caso di specie, che riguardava una discriminazione fondata sul sesso e sulle caratteristiche sessuali, che può essere giustificata solo da ‘considerazioni molto forti'”, ha ritenuto il tribunale di Strasburgo. “La rilevante posta in gioco per il ricorrente e il ridotto margine di discrezionalità dello Stato convenuto avrebbero dovuto comportare un approfondito controllo istituzionale e procedurale, di cui il ricorrente non ha beneficiato in questo caso”.
La World Athletics ha preso atto della sentenza e con un comunicato ha replicato: “La nostra opinione rimane che i regolamenti DSD (Disorders of sex development, ndr) sono un mezzo necessario, ragionevole e proporzionato per proteggere la concorrenza leale nella categoria femminile, come hanno rilevato precedentemente il TAS e il Tribunale federale svizzero dopo una valutazione dettagliata ed esperta delle prove”.