Parla l'ex presidente Rai

Intervista a Marcello Foa: “Ecco perché la democrazia ha le mani legate”

«Da quando la globalizzazione è diventata un obiettivo strategico, siamo stati immersi in un sistema di regole e organizzazioni sovranazionali, che hanno limitato l’azione dei singoli Stati. Da qui la difficoltà a rispettare gli impegni con gli elettori»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

12 Luglio 2023 alle 11:00

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Intervista a Marcello Foa: “Ecco perché la democrazia ha le mani legate”

Scrittore, giornalista, già presidente della Rai, Marcello Foa è autore di un libro che intriga già dal titolo Il sistema (in)visibile. Perché non siamo più padroni del nostro destino (Guerini e Associati). Il senso di una sfida epocale che l’umanità ha di fronte e l’impegno che ognuno dovrebbe mettere in campo per affrontarla, è in questa frase di Pier Paolo Pasolini che Foa cita a conclusione del libro, considerandola “ancora attualissima”: “La mia è una visione apocalittica. Ma se accanto a essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare”. Contro un pensiero unico, trasversale ai vecchi schieramenti politici, che ha glorificato la globalizzazione, Foa ribatte che quello “tra globalizzazione e democrazia è un matrimonio non consumato”.

Cos’è questo “sistema (in)visibile e perché non siamo più padroni del nostro destino?
Da quando la globalizzazione è diventata un obiettivo strategico, noi siamo stati progressivamente immersi in un sistema di regole, organizzazioni sovranazionali, leggi internazionali che hanno via via limitato la possibilità dei singoli Stati di perseguire programmi e visioni autenticamente in libertà. E’ una specie di reticolato molto fitto, ma la cosa interessante è che è “invisibile”, da qui il titolo del libro, perché i comportamenti avvengono come quelli di un guardiano di una diga, cioè che in tempi normali non ti accorgi che la diga è fondamentale, ma quando c’è siccità o quando ci sono piogge pesanti aprire o chiudere le paratie fa la differenza per chi sta a valle. L’era della coerenza tra ideologia, realtà e propaganda è stata soppiantata da quella degli squilibri politici, economici, sociali e identitari. Per molti anni abbiamo continuato a osservare il mondo con i criteri di prima, senza renderci conto che stavano cambiando. Solo che nessuno ha chiesto, a noi cittadini, se fossimo d’accordo. Pensavamo di essere padroni del nostro destino mentre altri, in luoghi che nemmeno immaginavamo e che non necessariamente coincidevano con governi e parlamenti, decidevano per noi. Quel che accade oggi è che quando entri nella stanza dei bottoni, quella che dovrebbe essere tale – Palazzo Chigi, l’Eliseo, la cancelleria di Berlino etc – ti accorgi che hai davanti un quadro dei comandi bellissimo, con tante leve, però sette di queste dieci leve sono di fatto bloccate e tu puoi agire liberamente su tre.
Da qui la difficoltà di rispettare la parola data agli elettori per via dei condizionamenti che limitano di fatto la possibilità di applicare con la dovuta energia e coerenza i programmi elettorali che vengono promossi in campagna elettorale.

Qualcuno potrebbe obiettare che per contrastare o quanto meno limitare questi poteri invisibili, bisognerebbe rafforzare le istituzioni sovranazionali, ad esempio l’Unione Europea.
L’Europa è una parte di questo discorso ma non è l’unico. Le faccio un esempio. Sa quale è stata la prima misura presa dagli americani, dall’Occidente, per punire la Russia per l’invasione dell’Ucraina?

Lo dica lei…
Tagliare dal sistema SWIFT un numero piuttosto ampio di banche e grandi società russe. Quello SWIFT è un esempio di come funziona il sistema invisibile. E’ il codicino che noi vediamo sotto l’Iban, di cui nessuno conosce davvero il significato, però lo SWIFT è il sistema che regola i pagamenti internazionali e la possibilità di muovere soldi o qualunque forma finanziaria da un Paese all’altro o da una società all’altra. Se tu togli lo SWIFT da un Paese quel Paese è morto, nel senso che non può muovere un centesimo e non puoi più pagare neanche con la carta di credito o col bancomat. Lo SWIFT ha un potere discrezionale enorme. Ma chi regola lo SWIFT? Come viene gestito? Quali sono i contropoteri dello SWIFT? Sono domande di cui il pubblico ma neanche gli stessi politici sono consapevoli, fatto salvo che quando sei preso di mira o vuoi esercitare un condizionamento su un Paese questa è una di quelle leve che puoi tirare ed è una leva molto potente. Ce ne sono tante altre. Se si va ad analizzare la rete di organizzazioni sovranazionali, è così fitta, su un numero così ampio di argomenti che ti rendi conto che alla fine le grandi regole del gioco vengono stabilite in quegli ambienti e non dove i cittadini credono, ovvero all’interno dei governi. E questo genera un cortocircuito valoriale, di percezione sulla nostra stessa democrazia di cui è bene parlare in maniera aperta e sincera, perché credo che tutti abbiamo a cuore che la democrazia debba continuare ad esprimersi. E democrazia non è soltanto una varietà di opinioni su certi argomenti ma è la possibilità di applicare dei veri programmi di governo, indipendentemente da quali essi siano, di destra o di sinistra. Noi viviamo in un’epoca in cui la democrazia, attraverso questa serie di vincoli che descrivo nel libro, viene ad essere fortemente limitata, da qui anche il malessere degli elettori che come vediamo si manifesta in modo sempre più evidente.

Questo discorso come incrocia la guerra?
La guerra in Ucraina è parte di un quadro internazionale più ampio e in una certa misura un po’ più tradizionale. La vera posta in gioco della guerra in Ucraina è in realtà la leadership americana che viene sempre più sfidata da quella cinese. Questo significa che al di fuori del nostro mondo occidentale si moltiplicano e si rafforzano le voci di Paesi che non è che dicano no alla globalizzazione, perché questi Paesi spesso hanno ricevuto un vantaggio notevole dalla globalizzazione, però dicono: basta, bisogna che non ci sia più un uomo solo al comando ma le regole della globalizzazione devono essere condivise e bisogna cambiare le regole del gioco. Ed è la prima volta che accade su larga scala, perché i Paesi che stanno aderendo a questa richiesta sono piuttosto numerosi. Anche la guerra in Ucraina rientra in una sfida globale che ha un’altra dimensione. Perché è evidente che la Russia viene sostenuta dalla Cina, che da questa guerra sta guadagnando moltissimo, ed è altrettanto evidente che dietro l’Ucraina c’è l’Occidente. Dal modo in cui questa guerra terminerà ci saranno delle implicazioni sulla forza e sull’autorevolezza dei due grandi players, che sono gli Stati Uniti da una parte e la Cina dall’altra.

E in questo scenario l’Europa che rischi corre?
L’Europa è vincolata dall’alleanza con gli Stati Uniti e dal fatto che è membro della Nato, per cui è schierata con gli Usa. Il rischio che corre è che gli interessi economici e geostrategici dell’Europa stessa non siano presi in considerazione e probabilmente neanche formulati con convinzione perché manca una vera leadership politica in Europa. Il fatto che una guerra di queste dimensioni sia scoppiata dentro l’Europa, non è un bene per l’Europa stessa e dunque l’Europa se non sa difendere le proprie ragioni, i propri interessi nell’ambito dell’alleanza con l’America, rischia di subire le conseguenze di una crescente rivalità, che potrebbe diventare anche militare, tra Stati Uniti e Cina. Il che ovviamente rappresenta un pericolo, perché rischi di essere coinvolto in una crisi internazionale dall’altra parte del mondo senza avere potere contrattuale. Il rischio maggiore che corre l’Unione Europea è quello di essere un membro passivo di un gioco che va oltre la potenza politica ed economica dell’Europa stessa.

Perché è così off limits discutere sulla funzione, il ruolo della “Nato globale”?
Questo fa un po’ parte delle regole della comunicazione che sono diventate sempre più dure ed estreme da qualche anno a questa parte. Io la leggo così. Da quando, a metà degli anni 2010, ci sono stati eventi imprevisti, la Brexit, la vittoria di Trump , la vittoria di Orban, la vittoria di Bolsonaro, la vittoria dei gialloverdi in Italia, l’emergere di Mélanchon e della Le Pen in Francia, da quel momento in avanti c’è stato un serrate i ranghi che ha reso più complicata una riflessione pacata e serena su argomenti importanti, diventati molto critici, come questo.
In questo momento a livello pubblico si inibisce una vera riflessione, il che a mio avviso è sempre un male in democrazia. Mi auguro che da questo stato si possa uscire rapidamente, in maniera intellettualmente onesta, senza doppi fini. Come è sempre stato in democrazia. Le grandi tematiche si discutono apertamente per poi arrivarne a una da parte di chi ha il potere di decidere. Il fatto che oggi su alcune problematiche molto importanti, dal Covid all’Ucraina, non sia stato possibile un dibattito sereno, trasparente, intellettualmente onesto, ciò rappresenta un problema e un danno e al nostro concetto stesso di democrazia. L’ho scritto nel libro: il dibattito è tollerato solo se appartieni al mainstream, altrimenti è eresia. E se vuoi far carriera sai da che parte devi stare e a quali visioni devi uniformarti. O segui la corrente o diventi marginale se non impresentabile.

L’Italia non sa ripiegando sempre più su se stessa, dalla politica ai mezzi di comunicazione? Temi epocali come la guerra, i cambiamenti climatici, le migrazioni, le diseguaglianze vengono sempre più relegati ai margini del sistema mediatico-politico. Lo chiedo a lei che è stato anche presidente della Rai.
Purtroppo sono relegati ai margini oppure trattati in maniera strumentale. Per cui c’è la polemica feroce sul fatto marginale, ma manca la spiegazione o l’analisi più approfondita per permettere al pubblico di capire la vera posta in gioco, qualunque sia l’esito. Io sono un liberale autentico e come tale sono molto aperto su quello che può essere l’esito di un dibattito. La logica da social media ha accentuato questo atteggiamento. O l’argomento suscita una pulsione emotiva, dunque un pre-giudizio, oppure l’argomento viene considerato noioso perché non genera sufficienti like o sufficienti messaggi via whatshapp o Telegram, per cui anche noi giornalisti siamo indotti a dire: allora questo argomento non è importante e non lo tratto. Invece, secondo me, la funzione della stampa è quella di avere la forza di sapere “imporre” all’opinione pubblica anche l’analisi di temi oltre quello che è il giudizio facile e immediato. Questa è una parte essenziale per la formazione di una vera coscienza democratica e per preservare un vero spirito civico. Dobbiamo sempre pensare che la democrazia e il confronto permettono all’individuo e alla collettività di elevarsi. In questo momento siamo purtroppo in una fase regressiva, in cui tutti sparano giudizi perentori su argomenti che poi svaniscono istantaneamente dalla memoria pubblica. Ci infiammiamo su un argomento di cui dopo due giorni ci siamo dimenticati. La grande stampa dovrebbe avere un ruolo di leadership, un coraggioso atteggiamento controcorrente, ma da questo punto di vista non ci siamo. I media sono diventati i guardiani dell’establishment, che sentitamente ringrazia.

12 Luglio 2023

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