In sala dal 17 agosto
Passages, l’amore senza tabù del regista Ira Sachs
Il regista lo definisce “un fi lm sull’identità che si prende dei rischi”. In molti a destra si affretteranno ad accostarlo alle teorie di Povia “che prima era gay, e adesso sta con lei”. Grosso errore. È qualcosa di molto più sofisticato
Cinema - di Chiara Nicoletti
Era il 1976 quando Luchino Visconti realizzava il suo ultimo film, presentato postumo al Festival di Cannes di quell’anno e tratto dal romanzo di Gabriele D’Annunzio: L’innocente. Ribaltando quasi totalmente l’opera dello scrittore, metteva in scena un antieroe, Tullio (Giancarlo Giannini) e riconsegnava forza, autodeterminazione e le redini della sua vita al personaggio di Giulia, sullo schermo impersonata da Laura Antonelli. Anni dopo, questo stesso film, diventava uno dei fondamenti della crescita emotiva e filmica di un giovane regista, Ira Sachs, ora cineasta affermato, specialmente nel cinema a tematica Lgbtq+.
Sachs non sapeva che L’innocente sarebbe tornato, sotto forma di conforto e nostalgia, durante il lockdown e avrebbe generato una profonda riflessione condensata poi dentro Passages, sua nuova opera presentata all’ultima Berlinale e nelle sale italiane con Lucky Red (e poi su Mubi) dal 17 agosto. Partendo da un’ode a Franz Rogowski, il suo protagonista, Ira Sachs, a Roma per presentare il film, torna a Visconti per approfondire la vicinanza del suo film all’ultimo del maestro italiano: “Sicuramente ho scritto il film pensando a Franz dopo che l’avevo visto in Happy End di Michael Haneke. Lui è stato una fonte di ispirazione fortissima, ne sono rimasto molto attratto”.
Aggiunge: “ho iniziato a lavorare a questo film subito prima del primo lockdown e durante ovviamente, e con il grande senso di insicurezza sulla sopravvivenza del cinema che il quel periodo mi pervadeva, avendo rivisto da poco L’innocente, mi sono sentito molto collegato al personaggio di Giancarlo Giannini, nel mio sentirmi senza controllo e potere sul mio mondo”. Per chi non conoscesse Ira Sachs, il regista, gay dichiarato da sempre, sposato felicemente con il pittore Boris Torres e padre di due gemelli avuti grazie alla Gpa (gestazione per altri), in quasi tutti i suoi film ha declinato il mondo lgbtq+ in tutte le sue sfumature e in tutte le età, dagli adolescenti di Little Men ai trentenni in preda alle dipendenze di Keep the lights on fino alla commovente coppia di “pensionati” in I Toni dell’amore – Love is strange con Alfred Molina e John Lithgow.
A cosa serve questa presentazione del regista? A chiarire il suo impegno nel raccontare, nel bene e nel male, con dovizia di particolari, la realtà arcobaleno che soprattutto oggi in Italia non solo è ancora profondamente discriminata ma al momento nuovamente sotto attacco, in un diritto fondamentale, quello alla famiglia. Nel contesto in cui ci troviamo a vivere, un film come Passages è da maneggiare con cura perché nella sua lucida ma forse fin troppo sofisticata riflessione sulle relazioni umane, Sachs mette in conto che ci si possa invaghire, innamorare addirittura, di una persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, come sottolinea approfondendo il parallelismo con L’innocente: “Così come prima ho raccontato quello che avevo provato alla vista di Franz Rogowski in Happy End, lo stesso tipo di sentimento lo avevo provato per Laura Antonelli nel film di Visconti ma essendomi sempre identificato come uomo gay, sentire queste sensazioni nei confronti di questo personaggio è stato molto interessante per me e ho immaginato che forse anche i miei desideri di uomo di cinema avrebbero potuto prendere una direzione diversa” .
Passages vede protagonisti Ben Whishaw , Franz Rogowski e la vincitrice della Palma d’oro a Cannes Adèle Exarchopoulos in un dramma ambientato nella Parigi contemporanea, che viene descritto come una continua lotta di desiderio tra tre persone, dove la felicità è appena fuori portata. Rogowski è Tomas, un regista che, completato il suo ultimo film, nonostante un matrimonio sereno con Martin (Ben Whishaw) inizia in maniera impulsiva un’intensa relazione con una giovane insegnante, Agathe (Exarchopoulos), un’esperienza eccitante che desidera esplorare. Quando anche Martin (come succedeva ne L’innocente per la Giulia di Laura Antonelli) decide di volgere le sue attenzioni fuori dal matrimonio, il lunatico Tomas tornerà ad interessarsi al marito. Compresa la storia, è evidente che l’aggettivo “sofisticato” usato poc’anzi possa diventare addirittura dispregiativo se il film capitasse nella mani dei fan di Povia e della sua teoria della conversione alla “Luca era gay e adesso sta con lei”.
Ira Sachs esplora dinamiche di attrazione, di ricerca, di insoddisfazione, di potere che non possono certo essere ridotte a pure esemplificazioni di orientamento sessuale. “È un film sull’identità, un film di attori, ed è un film che si prende dei rischi”, conferma Sachs, “Durante la preparazione del film – prosegue il regista – io avevo 55 anni e come avete visto, i protagonisti del film sono ben più giovani di me e il tema dell’identità sessuale non c’è nel film perché c’è un approccio diverso oggi, grazie a una differenza generazionale. Questo film è molto attuale poiché non c’è un’identità così definita dal punto di vista della sessualità”. Nonostante queste affermazioni, a chi lo definisce una manifesto sulla fluidità, Sachs non smentisce ma non si assume responsabilità di messaggi: “Più che un manifesto è l’impatto che il film ha. Il significato di un film lo fa il pubblico che lo vede, ma io non voglio mandare un messaggio, una storia può essere letta in tanti modi. Non posso però negare che questa cosa della fluidità ci sia”.
Sachs racconta il suo modo di fare il regista ma non nega di mettere sempre un po’ di se stesso nei personaggi: “La coerenza del personaggio in tutto il film è il desiderio da cui è costantemente mosso. C’è un divario tra quello che lui ha e quello che vorrebbe avere. Questo è anche un film guidato dalla ricerca del piacere, da cui dipende il protagonista e c’è ovviamente anche il mio desiderio di piacere al pubblico, nella scelta dei dettagli del film e degli attori”. Nel guardare Passages ci rendiamo conto di quanto sia raro nel cinema cosiddetto contemporaneo (e quindi libero?) il vedere nudi maschili o sesso tra uomini.
Come è possibile? Risponde Sachs: “Noi viviamo in questa convinzione che ci sia un progresso e che con il passare del tempo miglioriamo e diventiamo più aperti ma io in realtà, per fare questo film, sono dovuto tornare indietro con la memoria agli anni 80, a Chantal Akerman, ad Accattone, a Salò, a Visconti e a un periodo in cui eravamo molto meno repressi. In questo modo mi sono ricordato cosa era possibile raccontare e mi sono sentito autorizzato a cercare di creare immagini trasparenti nelle quali non ci fossero l’elemento della vergogna e del peccato”.