Il caos in Francia

Il problema della Francia non è l’ordine pubblico

L’immigrazione è irrefrenabile e non si gestisce confidando, via filo spinato e respingimenti, nell’integrazione di pochi e inoffensivi rappresentanti di quei popoli in movimento, ma lavorando e investendo affinché in massa diventino europei

Esteri - di Iuri Maria Prado

2 Luglio 2023 alle 14:00

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Il problema della Francia non è l’ordine pubblico

D’accordo che il provincialismo è una componente inevitabile della demagogia populista, e dunque non dovrebbe sorprendere, ma commentare i fatti francesi indicandoli a esempio di quel che succede quando si aprono le porte al multiculturalismo immigrazionista e ai programmi di sostituzione etnica, fa fare un salto di qualità anche a quella retorica strapaesana.

Le violenze che si registrano in Francia in questi giorni non denunciano i problemi di assimilazione culturale di cui si parla a sproposito qui, con qualche buontempone che scambia un sobborgo parigino per una specie di enorme Lampedusa d’oltralpe. Ad abbandonarsi alle devastazioni non sono eserciti di africani arrivati l’altro ieri, sono francesi da parecchie generazioni o francesi punto e basta: ma la violenza che matura in quella situazione di emarginazione e degrado non ha proprio nulla a che fare con le motivazioni di cui ormai apertamente alcuni vaneggiano, vale a dire una sorta di genetica specificità criminale di chi non vanta radicamenti bianchi e cristiani.

Il fatto che quei disordini certamente molto preoccupanti siano adoperati qui da noi per rinvigorire l’impostazione “prima gli italiani” dice bene a quale livello di bassa propaganda può ridursi l’incapacità di riconoscere il problema effettivo: e cioè che l’immigrazione è irrefrenabile e non si gestisce confidando, via filo spinato e respingimenti, nell’integrazione di pochi e inoffensivi rappresentanti di quei popoli in movimento, ma lavorando e investendo affinché in massa diventino europei, cittadini con uguali diritti e decenti possibilità di competizione sociale e professionale.

Quel che non si è fatto in Francia, alla quale qui addebitiamo di essere stata colpevolmente “lassista” anziché proporci di non imitarne le soluzioni segregazioniste. Non mantenere più i centri di accoglienza in forma di strutture di detenzione e smettere di far crescere le baraccopoli ai margini delle piantagioni schiaviste sarebbe un buon inizio, una buona assicurazione contro quel che succede quando c’è un altro tipo di lassismo: quello che lascia fare quando i diritti delle persone non sono tutelati.

2 Luglio 2023

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