Il 6 luglio la proclamazione

Premio Strega 2023 nel segno della famiglia: il fantasma che aleggia nei libri della cinquina

È al centro di tutte le narrazioni di tutti i libri entrati nella cinquina del Premio. Luogo di una possibile ricerca e avventura conoscitiva e autoconoscitiva

Cultura - di Filippo La Porta

1 Luglio 2023 alle 15:30

Condividi l'articolo

Premio Strega 2023 nel segno della famiglia: il fantasma che aleggia nei libri della cinquina

Uno dei passatempi preferiti della nostra pubblicistica è usare i finalisti del premio Strega come specchio veridico della società italiana, della mentalità prevalente, di mode e umori diffusi. Un uso “sociologico” del tutto legittimo, anche se, come sappiamo, la letteratura non solo rispecchia ma spesso anticipa o altre volte contraddice ciò che pensa la Maggioranza di una società. Inoltre: come vedremo in tal modo si fa una critica riduttivamente “tematica”, rivolta cioè solo ai temi e contenuti dei romanzi, non alla loro lingua e struttura, che poi in letteratura è l’unica cosa che conta. Ma per una volta proviamo a non sottrarci a quel passatempo.

I libri entrati in cinquina sono, in ordine alfabetico: Dove non mi hai portato (Einaudi) di Maria Grazia Calandrone, indagine sui propri genitori naturali che abbandonarono l’autrice neonata a Villa Borghese, La traversata notturna (Nave di Teseo) di Andrea Canobbio, ritratto del padre, ingegnere torinese gravemente depresso, Come d’aria (Eliot) di Ada D’Adamo (scomparsa tre mesi fa), racconto della figlia disabile da parte della madre che scopre di essere malata, Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli) di Rossella Postorino, storia vera di una infanzia stravolta sullo sfondo della guerra bosniaca, Rubare la notte (Mondadori) di Romana Petri, biografia romanzata di Saint-Exupery attraverso un epistolario in parte reinventato con la madre.

Dunque: al centro di tutte le narrazioni si accampa la Famiglia, fantasma irrappresentabile e figura centrale del nostro immaginario. A questo proposito si potrebbe azzardare una tesi: nel nostro paese scarseggia una letteratura di avventure proprio a causa della centralità della famiglia. Vi è una incompatibilità tra Famiglia e Avventura. Gli unici romanzi avventurosi e picareschi delle patrie lettere mettono in scena degli orfani: anche tralasciando le Memorie di Casanova (orfano a otto anni) perché redatte in francese, ricordiamo che il Carlino delle Confessioni di un italiano è orfano, Pinocchio di fatto non ha genitori, Elisa di Menzogna e sortilegio di Elsa Morante anche lei orfana presto, il piccolo Pin dei Sentieri dei nidi di ragno di Calvino vive con la sorella prostituta. Insomma, la famiglia bisogna farla fuori per ritrovare un senso della vita come avventura, imprevisto, sorpresa, racconto avvincente.

I romanzi della cinquina tentano invece di reagire a questo teorema e ci propongono tutti la famiglia come luogo di una possibile ricerca e avventura conoscitiva e anzi autoconoscitiva: parlare dei propri figli o dei propri genitori ci serve per comporre un ritratto di noi stessi, per immergersi dentro la buia voragine del proprio io, fatto di molte radici e appartenenze. Potremmo chiederci: questa ricerca da parte dei cinque autori raggiunge il suo scopo, e soprattutto trova la lingua adatta per farlo? E qui andiamo oltre la famigerata critica “tematica”, per la semplice ragione che la letteratura in fin dei conti è fatta di parole, messe in buon ordine, organizzate dentro una struttura narrativa congrua e capaci di suggestione e precisione, come una volta ebbe a sottolineare Giovanni Raboni.

Qualcuno ha osservato che i romanzi della cinquina rappresentano sì il trauma (famigliare), però poi lo ricompongono in fretta, lo addomesticano entro una lingua normalizzante e un contenitore troppo convenzionale, con il solo obiettivo di intrattenere lettori molto sentimentali, inclini alla “lagrimetta”, desiderosi di narrazioni facili e consolatorie. Ora, la nostra narrativa nel suo insieme rischia sempre di edulcorare il tragico, di banalizzarlo in scelte sintattiche e lessicali iper-semplificate, di spettacolarizzarlo, di volgerlo in commedia, o peggio di tradurlo nella moda oggi imperante del neoimpegno (Gianluigi Simonetti, già recensito in queste pagine, ne fa un elenco attendibile: “l’ecologia, i bambini sofferenti, le donne dal temperamento forte e le diversità, ma non passa mai di moda qualche tipo di violenza storica, magari bellica, terroristica o mafiosa…oppure una violenza privata – un lutto, una malattia, un abbandono, un trauma di qualche tipo”).

Il punto è che la grande letteratura può anche, legittimamente, consolare e intrattenere, e anche provare a ricucire il trauma (sapendo ovviamente che è l’esistenza stessa a essere irreparabilmente “traumatica”), ma non può limitarsi a questo. Dovrebbe anche essere interrogante, inquietante, perfino disturbante: un’ascia per rompere il mare ghiacciato dentro di noi, come ha mirabilmente detto un classico. Alcune invenzioni narrative dei cinque finalisti forse non arrivano ad essere altrettante asce rompighiaccio però suggeriscono angolazioni più stranianti da cui contemplare il trauma, la ferita, il conflitto famigliare. Romana Petri si fa medium per rievocare l’esistenza straziata di uno scrittore amato, e in ciò mette un poco a rischio se stessa, la propria identità. Canobbio si affida a una originale topografia della depressione, dove esterno ed interno si rispecchiano reciprocamente e ansiosamente.

Calandrone e D’Adamo ci offrono una prosa che sembra andare verso la poesia. L’incipit dei loro romanzi fa pensare a dei poemi narrativi; anafore, allitterazioni, studiatissime pause da metrica classica, prosodia delle parole….Come se la poesia fosse l’unico genere disponibile, ben oltre reportage e diario, per trasmetterci il senso di un dolore altrimenti innominabile. In particolare la lingua di Ada D’Adamo colpisce per la sua miscela di naturalezza e artificio: ”Sei Daria. Sei D’aria. L’apostrofe ti trasforma in sostanza lieve e impalpabile…”. Qui le parole sembrano nascere direttamente, spontaneamente dall’esperienza (con la loro necessità), restituendola per intero, eppure sono impiegate con sapienza retorica e un senso acuto del ritmo della pagina. Appunto: suggestione e precisione.

1 Luglio 2023

Condividi l'articolo