Le regionali

Elezioni in Molise, il Movimento 5 Stelle non può guidare un’alleanza di sinistra

Il giorno dopo in Molise impone riflessioni sul piano nazionale. C’è un limite anche per gli uomini e le donne di tutte le stagioni. Per un’alleanza di sinistra credibile serve un ricambio

Politica - di David Romoli

28 Giugno 2023 alle 14:00

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Elezioni in Molise, il Movimento 5 Stelle non può guidare un’alleanza di sinistra

Il campo stretto, l’alleanza virata a sinistra Pd-M5S-Avs, non decolla. Si possono collezionare alibi e accampare giustificazioni, si può minimizzare un risultato considerato poco significativo trattandosi di una regione poco popolata, ma il verdetto è troppo impietoso per cavarsela così a buon mercato. Nel 2018 il candidato del centrodestra vinse con appena il 43% dei voti e solo in virtù della divisione tra il M5S, il cui candidato aveva raggiunto da solo il 38%, e il Pd, il cui campione portò a casa il 17%.

Oggi il vincitore, Francesco Roberti, forzista, arriva al governo del Molise con oltre il 62%, quasi 25 punti percentuali in più rispetto al sindaco pentastellato di Campobasso Roberto Gravina, fermo al 36%. L’esito della competizione diretta non è il solo elemento che dovrebbe allarmare i vertici del Nazareno e del Movimento. I 5S di Conte avevano retto nelle elezioni del settembre 2022 nel Molise più che su ogni altra piazza. Si erano affermati come primo partito con il 24%, flessione contenuta rispetto ai fasti inarrivabili del 2018. Il Pd, che passa dal 9 al 12% nello stesso confronto, sembrerebbe poter vantare almeno una parziale soddisfazione. Non è del tutto vero, però, perché dalle politiche del 22 settembre, quando aveva conquistato il 18%, perde invece 6 punti nonostante il ricambio alla segreteria e all’effetto galvanizzante che avrebbe dovuto avere.

Ma l’elemento davvero preoccupante riguarda la politica, non il pallottoliere o il computo delle percentuali. Nelle scorse amministrative Pd e M5S si erano presentati insieme in pochissime piazze, nelle quali l’alleanza era però stata tenuta in sordina, affogata nella marea di sigle locali, comunque messa in ombra dalla stragrande maggioranza di comuni nei quali i due partiti erano in competizione. Nel Molise le cose sono andate esattamente al contrario. Qui l’alleanza era il pezzo forte, il nucleo dell’offerta politica, sbandierata ed esaltata anche se non fino al punto di spingere i due leader Conte e Schlein a presentarsi insieme su un palco. Si erano limitati a una lunga merenda al tavolino di un bar alla vigilia del voto, con Fratoianni a sorseggiare il caffè con loro, uniti ma non troppo per paura di scontentare porzioni ampie dei rispettivi elettorati. Non è bastato. Invece di magnetizzare, l’asse rossoverde ha allontanato elettori.

Qualcosa non ha funzionato e in tutta evidenza non funziona. Le ragioni sono certamente molte e un posto di rilievo spetta a una eventuale alleanza che entrambi i leader non hanno il coraggio di dichiarare e anzi smentiscono indicandola tutt’al più come prospettiva futura (Conte) o annegandola nella vaghezza assoluta del “campo largo” (Schlein). La distanza su temi non periferici ma centralissimi come la guerra o il rigore certo non aiuta a rendere credibile l’asse ed è particolarmente debole il tentativo di esorcizzare il problema sottolineando che invece su tante altre cose l’accordo c’è. Però prima e a monte c’è probabilmente un problema persino più essenziale. Fino al 2019 Pd e M5S si sono fatti una guerra senza quartiere, indicandosi a vicenda come sentine di vizi politici e pericoli pubblici da abbattere.

Giuseppe Conte è stato il premier e alla fine anche il simbolo del Movimento nella fase finale di quella guerra. Dal 2019, per tre anni, i due partiti sono stati alleati e hanno cercato di cancellare il ricordo di quell’odio reciproco grazie alla comune esperienza del governo giallorosso, del quale Conte era premier e simbolo, definito dai vertici del Pd addirittura “insostituibile”. Il rammendo, in particolare grazie all’allora segretario democratico Zingaretti, era riuscito: l’ipotesi di una alleanza nelle elezioni politiche sembrava davvero una certezza. Nell’estate del 2022, in modo repentino e improvviso, i due partiti prima nemici e poi amiconi hanno ricominciato a mitragliarsi vicendevolmente sino a provocare la caduta del governo Draghi ed elezioni anticipate che hanno affrontato divisi.

La responsabilità di quella catastrofica rottura era più di Letta e Draghi che di Conte. L’“avvocato del popolo” la temeva e aveva sperato sino all’ultimo di evitarla, senza rendersi conto che, dopo la prova disastrosa offerta dai 5S negli anni precedenti, la rottura era per lui garanzia di sopravvivenza. Di fatto comunque sempre Giuseppe Conte è stato l’uomo della nuova e acerrima guerra, conclusasi con una sola vincitrice, Giorgia Meloni. A Elly Schlein si può certo rimproverare l’incapacità di assumere su temi fondamentali come guerra e rigore le posizioni di drastica discontinuità in nome delle quali è stata eletta segretaria del Pd. Ma ai 5S bisognerebbe ricordare che c’è un limite anche per gli uomini e le donne di tutte le stagioni e che forse, per costruire di sana pianta un’alleanza di sinistra credibile, il ricambio è imprescindibile.

28 Giugno 2023

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