I tre casi

Youtuber, Minenna e Santanchè: la gran confusione tra giornalismo d’inchiesta e lancio del fango

La gran confusione tra giornalismo d’inchiesta e lancio del fango. Il ragazzo della Lamborghini non era ignominiosamente fuggito all’estero? No, era a casa

Editoriali - di Tiziana Maiolo

24 Giugno 2023 alle 11:00

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Youtuber, Minenna e Santanchè: la gran confusione tra giornalismo d’inchiesta e lancio del fango

La vera notizia dovrebbe essere il fatto che Matteo Di Pietro, lo youtuber, da ieri ai domiciliari per omicidio stradale dopo lo scontro tra la Lamborghini da lui guidata e la Smart in cui ha perso la vita un bambino di cinque anni, non è mai espatriato.

Pure, quando la gran parte dei giornali e tv ha dato la notizia che il ragazzo era andato all’estero, tutti abbiamo pensato: è scappato. Così, quando ieri il magistrato ha disposto per lui la custodia cautelare nella sua abitazione, e lui era già lì, tutto è parso semplicemente “normale”. E che importa se nel frattempo era stata gettata un’ombra vergognosa su di lui e la sua famiglia, mostrandoli come insensibili e fuggitivi, mentre tutti piangevano un bambino innocente, ucciso non da un incidente d’auto, ma da qualche diavoleria cinica del mondo di youtube?

Tanto, su quella inesistente fuga abbiamo già voltato pagina, tanto ci sono Marcello Minenna e Daniela Santanché. Che evidentemente non hanno fatto in tempo a rendersi latitanti, uno perché a sua volta ai domiciliari, l’altra perché impegnata nella sua veste di ministro al Turismo. E anche alle prese con smentite e querele. Marcello Minenna, un economista molto apprezzato da Grillo e Conte, già assessore nella giunta romana di Virginia Raggi, e poi al vertice dell’Agenzia delle dogane, è finito, insieme a un ex parlamentare della Lega, Gianluca Pini, in un calderone romagnolo che somiglia tanto a un maxi-processo.

Non a caso al fianco della procura di Forlì conduce le indagini anche la Dda di Bologna. Mafia? Ma no. Tanto che, per quel che riguarda Minenna, il Gip non riteneva neanche, in un primo tempo, che ci fossero le condizioni previste dal codice di procedura penale per mettergli le manette, pur quelle virtuali della custodia in casa. L’imputazione di corruzione riguarda un suo ruolo del passato, quello di Direttore generale delle dogane e un solo episodio.

Il giudice è certo che non si darà alla fuga né che brigherà per arruffare le carte, men che meno che potrà ripetere lo stesso reato, visto che nel frattempo ha cambiato lavoro. Così respinge la richiesta del pm che vorrebbe mettere le manette ai polsi dell’economista. A questo punto, prima di proseguire nel racconto e spiegare come mai il gip abbia cambiato idea, occorre una piccola digressione. Il magistrato, quando indaga su un politico, lo vuol vedere nudo, indifeso, docile. Ma soprattutto disoccupato. È capitato diverse volte di vedere anche i più accaniti persecutori rinunciare al processo o comunque venire a più miti consigli di fronte a un atto di sottomissione dell’indagato, cioè le dimissioni. La verità è questa purtroppo, un ricatto sottile: dimettiti e ti lascio in pace.

Il peccato originale di Marcello Minenna è dunque questo: da circa quattro mesi è entrato come assessore indipendente nella giunta di centro-destra della Regione Calabria presieduta da Roberto Occhiuto. Beccato! Manette, manette, sentenzia il gip allora. Caro assessore, hai di nuovo un ruolo pubblico, non penserai di farla franca? Il “ruolo pubblico”, ritiene il giudice, potrebbe portare l’indagato a reiterare il reato, e magari anche a inquinare le prove.

Ma se in Calabria Minenna fa l’assessore all’ambiente, come può per esempio far transitare dalla dogana un carico cinese di mascherine fuori legge, soprattutto nel momento in cui tra l’altro queste non sono più indispensabili? Oppure, altra macchia dell’inchiesta, prestare auto confiscate in dogana a suoi amici ministri (del precedente governo)? Sentiamo che cosa dice il gip di Forlì: “L’incarico apicale ricoperto oggi dall’indagato consente di superare la precedente valutazione in ordine al venir meno della sua capacità di interferenza e di pressione con riferimento al personale operante nell’istituzione, in quanto i poteri a lui conferiti hanno ripristinato tali capacità, pur nell’ambito di un settore amministrativo del tutto diverso”.

Questa filosofia, in diritto si chiama del “tipo d’autore”. Si persegue la persona, non il reato. Una certa tipologia di persona, l’amministratore, il politico. Gli episodi che vengono contestati come reati avevano a che fare con il signor Minenna come capo delle dogane, non come assessore all’ambiente in Calabria. Come tali, una volta che l’indagato non ha più quel ruolo, sono reati irripetibili. Ma non importa, il virus della politica è già quasi un reato in sé. Ma se il “caso Minenna” non porta in sé particolari conseguenze politiche, perché il Presidente Occhiuto ha subito trattenuto per sé le competenze dell’assessore arrestato e soprattutto per la trasversalità politica del personaggio, il “caso Santanché”, scoppiato, chissà perché, tre giorni dopo dal lunedi sera di “Report” che ha messo la ministra “nel mirino” (come ormai scrivono senza vergognarsi tanti giornalisti) è rapidamente sbarcato in Parlamento, con tutta una schiera di deputati, soprattutto sconosciuti in cerca di luce riflessa, a chiedere inutilmente dimissioni.

E si continua a confondere il giornalismo d’inchiesta con il diritto di gettare fango su chiunque, soprattutto antagonisti politici. Tanto che tra le righe il sospetto è che si scriva Santanché ma si intenda leggere La Russa, il Presidente del Senato che è anche stato legale della ministra e il cui ruolo di seconda carica dello Stato è stato messa in discussione fin dal momento della sua elezione. E poi con argomenti demagogici di sicura presa su chiunque. Se fosse vero che, non la ministra, ma l’imprenditrice Santanché ha licenziato, non retribuito e imbrogliato i suoi dipendenti e collaboratori, chi non potrebbe indignarsi? Ma occorre che le cose stiano davvero così. E non lo sappiamo.

E allora, prima di invocare dimissioni (Mattia Feltri, nel suo “Buongiorno” di ieri, ha un po’ sfottuto, con un elenco di 16 uomini e donne di governo di cui è stato chiesto l’allontanamento negli otto mesi di governo Meloni), non sarebbe bene informarsi e ragionare? Nel servizio di Report si parla di due società di cui l’imprenditrice Santanché è stata titolare, Visibilia e Ki Group. Sulla seconda, ci informa l’agguerritissimo Travaglio, che rivendica anche la primogenitura di inchiesta e relativo sputtanamento, “non risulta alcuna indagine”. Però, aggiunge anche, se arrivasse un’informazione di garanzia, come reagirebbe la premier Meloni? Ma perché dovrebbe intervenire un magistrato, forse perché la puntata di Report di lunedi era dedicata soprattutto a questa società, di cui tra l’altro la ministra aveva detenuto una quota molto piccola?

Chi ha messo “nel mirino” Daniela Santanché, un pm o la solita compagnia di giro composta da giornalisti e politici irrilevanti? Diversa è la situazione, anche giudiziaria, della società Visibilia. C’è una causa civile, avviata in seguito all’iniziativa di alcuni azionisti di minoranza. C’è stato inoltre un intervento della procura con una richiesta di fallimento, poi superata da un innesto di liquidità della stessa Santanché. Ma il Fatto, oltre a preannunciare l’informazione di garanzia per l’inesistente inchiesta sulla società Ki Group, immagina anche la prossima chiusura indagini, dopo l’acquisizione di una serie di perizie, della parte penale che riguarda Visibilia.

Quindi, si dà per scontata una richiesta di rinvio a giudizio e, di nuovo, si sollecita Giorgia Meloni a licenziare la ministra. “Si ragiona di ritirare le deleghe”, auspica il solito anonimo travagliesco. Santanché ha già annunciato querele e ha precisato che le notizie di Report sono il contrario della “verità storica”. Ma la ciliegina sulla torta la mette il commento su Repubblica di Stefano Cappellini, il quale, dopo un goffo tentativo di far pelo e contropelo a garantisti e forcaioli, finisce pure lui a chiedere le dimissioni. Non gli basta l’elenco di Feltri?

24 Giugno 2023

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