La rivelazione di Veronesi
Storia de ‘I casellanti’, il film che Francesco Nuti sognava di fare con Roberto Benigni
La storia raccontata sul film mai realizzato dall'attore e regista di Narnali, recentemente scomparso
Cinema - di Piero de Cindio
Francesco Nuti era legato in modo viscerale al soggetto di un film ed è forse l’opera incompiuta che avrebbe fatto conoscere “Cecco” di Narnali sotto una veste diversa al grande pubblico e alla distribuzione cinematografica. A rendere nota la storia de “I casellanti“, la pellicola mai nata, è Giovanni Veronesi che racconta di un progetto ambientato in un futuro post-apocalittico, una visione onirica di un mondo moderno devastato dalle bombe.
Nonostante questo scenario antinomicamente le persone sono felici. In questa atmosfera che richiama prepotentemente il film Blade Runner di Ridley Scott, in mezzo ai campi incolti delle campagne fiorentine, c’è un casello dei treni con un unico binario ed un unico scambio ferroviario. A tenere in piedi e a gestire questo casello ci sono due fratelli, Roberto e Francesco. Il secondo, sordomuto dalla nascita, ha un talento impareggiabile per la stecca da biliardo tanto che chiunque passa dal casello viene invitato a giocare in una sorta di bisca clandestina. Ma è accudito dal primo, logorroico. Un giorno, però, in questo luogo, si ferma una donna elegante e raffinata e Roberto ne viene folgorato. L’amore lo spinge per la prima volta ad andar via nonostante Francesco potrebbe restare solo con la sua disabilità e il suo incredibile talento. In questo evento c’è tutta la poesia del rapporto tra i due fratelli.
Nuti avrebbe voluto girare questa pellicola con Roberto Benigni mettendo in evidenza nella storia le differenze uniche di approccio al mondo del linguaggio cinematografico dei due talenti toscani. Pur non essendoci mai stato un dualismo tra i due attori sembrano evidenti le differenze di approccio alla macchina da presa. Racconta Giovanni Veronesi nel documentario “Francesco Nuti e vengo da lontano“, che “Cecco” è un talento di “reazione“, aspetta cioè che le cose attorno accadano per darne una lettura comica, malinconica, nostalgica o di protesta.
Roberto Benigni, al contrario, è un attore di “azione” che strappa una risata, una riflessione con le cose che fa davanti alla camera. La scena finale de “I casellanti” sarebbe stata cosi: il binario della ferrovia, in lontananza una piccola stazione di provincia, accanto il casello e i due fratelli Francesco e Roberto che insieme vanno via camminando sui binari e cantando una canzone a “metà“, una strofa Francesco e una strofa Roberto.
“Un film così bello che Francesco non ha mai fatto” è il cruccio del regista Giovanni Veronesi. In questa idea c’è tutto il mondo di Nuti, la sua passione per il biliardo come metafora della vita, ovvero poter gestire attraverso una stecca le biglie sul panno verde, riuscire a controllare gli eventi e la loro naturale entropia. Tema che nella poetica di Francesco ritornerà prepotentemente nelle sue pellicole. Il casello come orologio e ticchettio del tempo. Il treno, la ferrovia, come una forza che come scriveva Guccini nella sua Locomotiva “spiegava le sue ali“. Ed è proprio con le strofe di questa canzone che si immagina il finale del film mai nato “I casellanti“. Un grido di protesta, un grido di “azione” e “reazione” alle ingiustizie sociali. “Cambiare il mondo, cambiare il nostro modo di intendere la vita“, ideali che ci portano dietro nel tempo, perse nei meandri della politica di provincia e di valori per il “bene comune“.
Questa pellicola sarebbe stata un inno ai valori dell’amicizia, ai rapporti tra le persone, un omaggio alla “Casa del popolo“, il luogo sicuro di Nuti, dove le differenze sociali non esistevano e al centro c’era solo la lotta per un mondo più giusto e unito. Persona per persona, compagno per compagno. Si, Francesco sapeva incarnare quel “qualcosa di sinistra” di morettiana memoria ma con un linguaggio tutto suo a volte criptico ed enigmatico, le sue “battute” e le sue espressioni mute lasciavano allo spettatore la libertà dell’interpretazione, la libertà di partecipare a chiunque avesse voglia di fare e dire.
Durante le riprese calabresi della sua opera più oscura “OcchioPinocchio” le sere Francesco Nuti le passava nel piccolo bar di Egidio Bevilacqua, scelto ed eletto a casa propria perché durante una passeggiata sul corso di Camigliatello Silano aveva notato una piccola bottega al cui esterno campeggiava un manifesto del Partito Comunista, falce e martello insieme ad una foto di Enrico Berlinguer. Francesco Nuti era e resterà un punto di riferimento nel cinema, un talento puro nel cogliere con il suo occhio tutte le sfumature dei sentimenti dell’uomo. Resterà nel nostro immaginario che la mortadella è comunista mentre il prosciutto cotto è fascista e di questi tempi è certamente il salume più richiesto. Goodbye Lenin, goodbye Cecco.