L'assalto

Tutte le vicende giudiziarie di Berlusconi, l’uomo che ci ha difeso dalla repubblica dei Pm

Chissà cosa sarebbe successo nei tribunali in questi trent’anni se non ci fosse stato quest’uomo a svolgere il ruolo di catalizzatore.

Editoriali - di Tiziana Maiolo

13 Giugno 2023 alle 12:30

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Tutte le vicende giudiziarie di Berlusconi, l’uomo che ci ha difeso dalla repubblica dei Pm

Abbiamo un gran debito con Silvio Berlusconi. Ci ha salvati dalla repubblica giudiziaria, quella che ha distrutto i partiti democratici della prima repubblica e che a lui, l’intruso usurpatore, ha messo i denti nel collo trent’anni fa senza mollarlo mai. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che avrebbe potuto ridargli giustizia, non è arrivata in tempo. E i procuratori di Firenze, che avrebbero voluto processarlo come mafioso e bombarolo, staranno masticando amaro, perché si è sottratto nel modo più definitivo possibile.

Ma in questi trent’anni lui è stato il condottiero che ha tenuto a bada gli aspiranti golpisti della repubblica giudiziaria. Lo ha fatto per sé e per tutti noi. Ci ha messo la propria storia e il proprio corpo. Non posso immaginare che cosa sarebbe successo nei tribunali se non ci fosse stato lui, catalizzatore e vittima sacrificale mai arreso. Ogni riforma sulla giustizia che verrà, dovrà avere le sue impronte e il suo nome, nel ricordo delle sue lotte, fin dal primo giorno.

Da principio era stato Saverio Borrelli, con la famosa invettiva “Chi ha scheletri nell’armadio non si candidi”. Poi lui si era candidato e aveva vinto, e il pool di Milano, di cui il procuratore era l’indiscusso capo, non glielo aveva perdonato. Ed era andato a cercare i reati, avendo individuato prima la persona che sicuramente, anche se non se ne aveva notizia, li aveva commessi. E fu così che quei capitani coraggiosi del palazzo di giustizia di Milano che non furono secondi a Berlusconi per capacità comunicativa, gli tesero il trappolone di Napoli. Il grande imprenditore che si era fatto statista, tanto da metter insieme nel 2002 a Pratica di mare Bush e Putin, era stato pugnalato nel modo peggiore, mentre presiedeva nel 1994 a Napoli la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata.

Non erano ancora i temi (cioè i reati) su cui piccoli uomini in toga lo avrebbero poi iscritto al fianco di qualche coppola nei registri delle ingiustizie, dalla Sicilia fino alla Toscana. Nel 1994 Silvio Berlusconi era l’apprezzato capo del governo italiano stimato nel mondo. E il mondo intero, con rappresentanti di governo e anche della magistratura, era accorso a Napoli per discutere della criminalità organizzata e dei modi migliori per combatterla e sconfiggerla. C’erano i Falcone del mondo, quel giorno, lui purtroppo non c’era più. Ma “vennero in sella due gendarmi, vennero in sella con le armi”, quel giorno, a consegnargli un invito a comparire. Sospettato di aver corrotto, da imprenditore, la guardia di finanza. Costretto a sfilare davanti alle telecamere del mondo con un foglietto infamante tra le mani.

Quanti anni dopo sarà assolto? Non lo ricordiamo neanche più. E da lì in avanti l’assalto giudiziario sarà la cifra politica con cui lo hanno combattuto i suoi antagonisti. Possiamo chiamarli nemici? Si, possiamo. Il mondo politico è stato vigliaccamente nelle retrovie, lasciando al circo mediatico-giudiziario, alle procure in combutta con i loro cronisti-servi, il compito di svolgere il lavoro sporco. Dopo le prime schermaglie, chiamiamole così per pudore, arrivano i bocconi grossi. Mentre Saverio Borrelli si rammaricava per aver distrutto i partiti della prima repubblica, dal momento che non ne era valsa la pena, visto che poi, invece di far trionfare Achille Occhetto, l’Italia aveva scelto nel 1994 Silvio Berlusconi.

Il primo boccone grosso partì ancora da Milano, di che stupirsi. E sarà l’unico ad andare a segno, fino a una cassazione che sarà la più discussa del secolo e processi che non finiranno mai, perché il presidente di quel collegio di tribunale ha riempito l’Italia di querele nei confronti di chi ha dubitato della correttezza di certe procedure. La storia dell’unica condanna, per reati fiscali, subita da Silvio Berlusconi, avrebbe potuto essere raddrizzata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, avrebbe potuto esser dichiarata una patacca, ed è un peccato che non ci sia stato il tempo. Chissà se si potrà esprimere anche “post mortem”. Silvio lo meriterebbe.

Bocconi grossi e bocconi grassi. Che dire dell’assalto morboso che ha vincolato, in un’assurda nemesi, il grande ammiratore delle donne, colui che ne ha amate tante, all’immagine di porco stupratore e sfruttatore di minorenni? Con un circo di uomini, e purtroppo anche di donne in toga pronti a sfogare le proprie frustrazioni sul boccone grasso? Ruby uno due tre, l’infinito delle fantasie proibite della politica giudiziaria che odia le donne, che calpesta le procedure pur di poter mettere i denti nel boccone grasso, che ha disprezzato l’”astuzia levantina” di una giovane immigrata senza che nessuno desse la patente di razzista alla pm che quella frase aveva pronunciato.

E la misoginia nei confronti di ragazze belle a un po’ carrieriste trattate dalle toghe maschili e femminili come puttane da quattro soldi pronte a farsi corrompere pur di non dire “quel che succedeva” nelle serate di Arcore. Ma nessuno hai mai saputo spiegare “quel che succedeva”, dal punto di vista dei reati contestati e poi caduti, la concussione e lo sfruttamento di prostituzione minorile. Così il processo diventava infinito, perché, assolto Berlusconi dai due reati fino in Cassazione, lui rimaneva imputato permanente in tutti i tentacoli di processi e processini, bis ter quater eccetera. Sempre assolto.

L’accusa più infamante, quella di sostegno alla mafia, l’hanno fatta correre lungo tutta la sua vita politica. Prima non importava. Inchieste aperte e archiviate all’infinito, promosse sempre dalla Dia, quasi che quell’organismo, istituito nel 1991 anche su spinta di Giovanni Falcone, si fosse poi trasformato fino a diventare uno strumento contro Berlusconi. Piano piano si è arrivati addirittura a indicare il presidente di Forza Italia come mandante delle stragi di mafia nel 1993.

Come già per Enzo Tortora, si moltiplicarono i “pentiti” costruiti in laboratorio, Graviano uno, Graviano due, il nonno e i cugini, testimoni di fantasiose transazioni economiche che non ci sono più. Montagne di carta straccia nelle mani di qualcuno che sperava di far carriera, come già per Tortora. Beh, ragazzi, è finita, cercatevi un altro boccone grosso e grasso.

13 Giugno 2023

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