Il ricatto di Cosa Nostra
L’infinita caccia a Berlusconi dei fantasmi antimafia
Giustizia - di Tiziana Maiolo
E’ stato ormai anche arrestato Matteo Messina Denaro, pure non vogliono arrendersi. Un po’ di nostalgia dei successi mediatici del passato, un po’ l’esigenza di ritenersi sempre indispensabili e di non ammettere che in gran parte lo Stato ha vinto la sua lotta contro la mafia. Sono i “Fantasmi” dell’antimafia militante. Parlano lo stesso linguaggio (se leggi l’intervista al procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli o l’articolo di Lirio Abbate, sono uno la fotocopia dell’altro), si aggrappano alla stessa memoria, alla stessa necessità di celebrare la giornata del dolore e della morte nell’anniversario di una bomba mafiosa che ha ucciso innocenti, con lo stereotipo delle “verità nascoste” e dell’unico “filo nero” che tiene insieme Cosa Nostra, estremismo di destra e uomini del “potere”. Lo stesso minestrone servito da Marco Travaglio, ma che nessuna brava cuoca mai metterebbe in tavola.
Certo, se mettiamo insieme i personaggi che gli uomini della Dda di Firenze e i loro fidi scudieri di redazione considerano essere lo squadrone della morte che tra il 1993 e il 1994 ricattarono lo Stato “per condizionare governo e parlamento, per ottenere vantaggi sul terreno carcerario e del pentitismo e l’abolizione del carcere duro”, come dice il procuratore Tescaroli, il primo da togliere dal mucchio dell’inchiesta dovrebbe essere proprio Silvio Berlusconi. Per almeno due buoni motivi, di cui il bravo investigatore, quale sicuramente è il capo della procura fiorentina, non può non tener conto. Il primo è di quelli in cui, come direbbe il buon Tonino Di Pietro, la carta canta. Cioè la sentenza definitiva con cui la corte di cassazione, confermando quella dell’appello, ha assolto Marcello Dell’Utri dall’accusa di aver usato violenza nei confronti dello Stato, cioè del governo presieduto da Berlusconi, rendendosi portatore di una richiesta di Cosa Nostra per costringerlo a subire il ricatto della mafia. Quel messaggio non fu mai portato, dicono i giudici. Dell’Utri è innocente e Berlusconi non è mai stato raggiunto da quel tentativo di condizionamento.
Poi c’è il secondo motivo, altrettanto di rango istituzionale. Qui cantano sia la carta (la legge) che i fatti. E la realtà storica del tempo è che quella legge con cui l’ultimo governo della prima repubblica aveva introdotto, dopo le uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, provvedimenti emergenziali, incostituzionali e da tortura quali l’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario, da applicare in via provvisoria, fu resa definitiva proprio da Berlusconi. Cioè da colui il cui avvento al governo era stato così tanto desiderato dalla mafia, come dicono i “Fantasmi”, fino a far cessare le bombe proprio nel gennaio 1994, in coincidenza con l’annuncio della “discesa in campo” dell’imprenditore brianzolo.
Ricapitoliamo, ricordando per gli increduli che questa interpretazione storico-giudiziaria appartiene a tutto il gruppo dei “Fantasmi” della nostalgia. Ne ha parlato per esempio diffusamente nelle aule di Reggio Calabria, dove si sono celebrati i due gradi di giudizio di un processo chiamato “’ndrangheta stragista”, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Il quale ha ricostruito diligentemente la cronaca politica del tempo, le vittoria della sinistra alle elezioni amministrative del 1993 e la previsione della vittoria di Achille Occhetto, “l’unico interlocutore di sinistra che ha una capacità aggregante” e che, in previsione della scadenza politica del 1994, ormai “parla come se non avesse avversari”. E quando l’avversario, un imprenditore di nome Silvio Berlusconi, sbuca dal nulla a insidiare la vittoria della “gioiosa macchina da guerra”, ecco che la mafia interviene. In che modo? Uccidendo due carabinieri in Calabria. In realtà per quel delitto del 18 gennaio del 1994, che aveva tutto il sapore di una piccola vendetta locale, erano già stati arrestati a condannati due piccoli malavitosi. Ma poi, d’improvviso, era intervenuta la Dda di Reggio Calabria a fornire una diversa interpretazione di quel fatto di sangue, creando una sorta di inchiesta “Trattativa Due”. I mandanti di quel duplice delitto sarebbero stati due calibri da novanta, uno della mafia, il boss di Brancaccio di Palermo Giuseppe Graviano, e un uomo della ‘ndrangheta, Rocco Santo Filippone. Chi era il capo della Dda di Reggio Calabria che diede quella svolta? Filippo Cafiero de Raho, oggi destinato a pieno titolo al gruppo dei “Fantasmi”.
Sarà nell’aula di questo incredibile e poco credibile processo, in cui saranno condannati all’ergastolo i due presunti mandanti, e in cui un “pentito” ha raccontato di aver visto nell’agrumeto di un mafioso, subito dopo il sequestro di Aldo Moro, Craxi e Berlusconi a colloquio con il boss della ‘ndrangheta, che inizierà le sue esibizioni Giuseppe Graviano. Una serie di dico-non dico che consentiranno ai pm di Firenze di tenere ancora aperta, dopo una serie di proroghe, l’inchiesta che vede Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi come mandanti delle bombe del 1993 a Roma Firenze e Milano. Nel computo delle stragi è inserita anche l’uccisione dei due carabinieri del 18 gennaio 1994. Cui va aggiunto, il 23 dello stesso mese, il fallito tentativo allo stadio Olimpico di Roma.
Ecco perché è importante il processo di Reggio Calabria. Prima di tutto perché consente di prolungare il periodo delle stragi fino al 1994. E perché consente al procuratore Tescaroli, ma anche a tutti gli altri che chiamiamo i “Fantasmi”, di avanzare una domanda retorica: “Perché cessarono gli attacchi nel gennaio del 94?”. La risposta sarebbe, se la procura di Firenze riuscisse mai a dimostrarlo: perché il risultato di quelle bombe fu raggiunto il 28 marzo con l’elezione di Silvio Berlusconi e in seguito la formazione del suo governo. Tutto il resto, le chiacchiere di Graviano servite col contagocce per chi le vuole ascoltare, i giochetti di Salvatore Baiardo che si porta al guinzaglio Ranucci e Giletti, è contorno. Serve solo a riaprire in continuazione come in una fisarmonica, un’inchiesta che avrebbe dovuto chiudere i battenti già il 31 dicembre 2022. E bisognerà vedere, qualora si arrivasse a un processo, se tutti gli atti e le eventuali prove raccolti dopo quella data saranno o no utilizzabili in un’aula di tribunale. Ma siamo certi di vincere una scommessa così facile che quasi ci vergogniamo ad avanzarla. Nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri hanno già provato tre volte a indagare sempre sugli stessi fatti e le stesse vociferazioni. E tre volte, anche su sollecitazione degli stessi pm, l’inchiesta è stata archiviata. Finirà così ancora. E avremo una volta di più perso tempo, energie e denaro. Per che cosa? Per tenere in piedi una volta di più, proprio come in “Trattativa uno” e “Trattativa due”, il mondo dei ”Fantasmi”, quelli che Sciascia definiva professionisti dell’antimafia. Che oggi ormai sanno solo di stantio. Che tristezza.