L'ultimo paradosso
La morte di Silvio Berlusconi lascia orfani a destra e sinistra: tutti uniti da un senso di disorientamento
Da una parte coloro che hanno prosperato grazie alla sua discesa in campo, tra prebende e incarichi. Dall’altra coloro che l’hanno osteggiato, indicando in lui il Caimano
Editoriali - di Fulvio Abbate
La scomparsa di Silvio Berlusconi, nonostante i poco rassicuranti bollettini medici delle ultime settimane, paradossalmente nella percezione comune collettiva appare comunque “improvvisa”. Quasi l’uomo ci avesse abituati a reputarlo eterno. Anche tra chi riteneva che l’esistenza politica stessa del “Cavaliere” imponesse un’opera necessaria di “resistenza”, una eticamente doverosa guerra di liberazione dal contagio del berlusconismo, ravvisando nel fenomeno i tratti di un pericoloso plebiscitarismo populista; il qualunquismo trasformista endemico nazionale.
Penso in primo luogo agli ormai tramontati “girotondi”, movimento d’opinione militante radicato un tempo presso i ceti medi riflessivi cittadini. La sua acme, il suo manifesto programmatico emozionale? Un film, “Il caimano”, a firma Nanni Moretti, così a restituire il volto della minaccia sullo schermo. L’arcitaliano Silvio Berlusconi indicato come segno di una deriva amorale, forse anche paternalistica, propria dell’emisfero destro del consenso nazionale, spettro tombale per il futuro stesso di una sinistra che si sognava infine maggioritaria.
Berlusconi pronto a rappresentare fantasmaticamente un perfetto alibi riguardo ai limiti dello schieramento progressista, incapace di determinarsi, dopo la dissoluzione dei grandi supporti ideologici, come opposizione di governo destinata a contrapporre il proprio immaginario “civile” e democratico alle bugie interessate del “miracolo italiano” suggerito mediaticamente dall’esperimento improvvisato di Forza Italia, partito personale, forte tuttavia dell’armamentario mediatico-spettacolare pervasivo dalle reti Mediaset, contestualmente mobilitate in nome e per conto del “principale”.
Verissimo che da tempo Berlusconi dava sensazione d’essere, se non già postumo politico di se stesso e della sua avventura non più trionfale, un volto di seconda fila, oscurato nella percezione pubblica addirittura dagli “amici”, meglio, dagli alleati ingordi, ora da Matteo Salvini ora, infine, dall’avvento di Giorgia Meloni, e tuttavia il suo “magico” dominio personale sembrava comunque resistere, ritenuto, paradossi della storia e della cronaca minuta, anche dagli stessi “nemici” della sinistra, come diga rassicurante, ago della bilancia, a garanzia che l’asticella del consenso elettorale non schizzi verso l’angolo estremo destro.
Sarà ora interessante scoprire quanti, proprio a sinistra, riterranno, ex post, la sua incarnazione miracolosa nel mondo politico una presenza, comunque “moderata”, in definitiva possibilista, sicuramente cinicamente trasformista, eppure a suo modo “dorotea”, fatto salvo l’interesse primario dell’imprenditore per la propria “roba”; un’ancora di salvezza pronta a contenere il peggio pronto a giungere il mattino del giorno dopo il suo declino, la sua dipartita. Resta ora, su tutto, l’eredità dell’intero immaginario berlusconiano, sia pure in dissolvenza incrociata, nel racconto complessivo dell’ultimo trentennio.
Occorrerà subito intuire quanti rimpiangeranno il “Caimano”, il “presidente operaio”, l’“unto del Signore”, nella convinzione ultima che, a dispetto d’ogni sua possibile improvvisa arroganza, il proteiforme “Cavaliere”, si è detto, dovesse essere ritenuto un elemento di stabilizzazione davanti alle possibili derive reazionarie della destra post-fascista e razzista, interessata a imporre la propria egemonia, planata addirittura fin sul tetto delle istituzioni con l’intento di legittimare l’equiparazione tra antifascismo e il vecchio scarpone del fascismo.
Berlusconi lascia così numerosi orfani, sia tra coloro che fin dalla “discesa in campo” – costretto, parole sue, a “bere l’amaro calice della politica”, proprio lui, imprenditore, inventore di un immaginario spettacolare – gli devono fortune e prebende, carriere, lussi privati e assai poche pubbliche virtù, contratti da opinionisti, evidenza pubblica addirittura apicale nel Palazzo romano, “clientes”… sia in chi dal suo primo “predellino” lo indicava invece come pericolo per la democrazia stessa. Orfani simmetrici, gli uni e gli altri, di un mercante in fiera nazional-popolare, che ne ha appena visto venire giù il sipario per cause naturali; l’Italia dopo l’estate di Arcore.