L'assassino di Giulia

Alessandro Impagnatiello, il mostro e la gogna dei carabinieri per mostrarlo come un trofeo

Dieci lunghi minuti è rimasto Alessandro fermo nelle sua auto bloccata davanti al garage dalle forze dell’ordine, assediato dai giornalisti che gli urlavano ”vuoi dire qualcosa?”, bersagliato dai flash e dalle telecamere. Passerella indegna.

Cronaca - di Tiziana Maiolo

4 Giugno 2023 alle 11:30

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Alessandro Impagnatiello, il mostro e la gogna dei carabinieri per mostrarlo come un trofeo

No, la gogna non si fa. Non c’è bisogno di ricordare Enzo Tortora, perché il paragone sarebbe offensivo nei confronti di chi è diventato suo malgrado il simbolo dell’ingiustizia italiana. Ma quello che è stato inflitto l’altra sera a Alessandro Impagnatiello, assassino e reo confesso, ricorda troppo l’arresto di Massimo Bossetti, che si è sempre dichiarato innocente, e che fu braccato come un animaletto impaurito ed esibito come trofeo di caccia dalle forze dell’ordine.

I carabinieri l’hanno rifatto, e non va bene. Dieci lunghi minuti è rimasto Alessandro fermo nelle sua auto bloccata davanti al garage dalle forze dell’ordine, assediato dai giornalisti che gli urlavano ”vuoi dire qualcosa?”, bersagliato dai flash e dalle telecamere. Indegna passerella. Potevano far sgomberare e non l’hanno fatto. L’hanno lasciato lì, mezzo incappucciato con le mani sul volante, preda di ogni indecente curiosità.

Volete che vi diciamo bravi perché avete risolto il caso? Era vostro dovere. E il Caino che avevate tra le mani lo dovevate rispettare. Il pezzo più difficile da scrivere. Perché quel barman fighetto che lavora da Armani, che viene chiamato “lurido” dai colleghi e poi ammazza la compagna e il bambino, è quello che noi donne vorremmo strozzare con le nostre mani. Una vera pena di morte da applicare direttamente e subito. Poi però c’è il mondo con le sue regole, e la giustizia che deve applicarle. Parrebbe sfortunato (ma non lo è) Alessandro l’assassino, a ritrovarsi dentro un mondo ostile fatto tutto di donne.

Sembra la nemesi, pronta a colpire uno che le donne non le ama, che forse le teme, ma che non gli piacciono davvero. Il fatto che lui paia voler lasciare sempre una traccia di sé nel loro corpo è lì a dimostrarlo. Ne incontra una a vent’anni circa e lei è subito incinta. Sta con Giulia e lei porta avanti una gravidanza fino a oltre il settimo mese, prima che lui tolga la vita a tutti e due, a lei e al bambino. La tradisce con un’altra, ed ecco ancora una gravidanza, che lei decide di interrompere. Tre donne e le loro scelte. E lui pare solo uno che si esibisce ma non decide.

“Un mostro”, lo definisce la madre, che non riesce neanche a tenere in vita quel cordone ombelicale che tutto capisce e perdona. E poi gli cascano addosso tre magistrati, tutte donne, le due pm, procuratore aggiunto Letizia Mannella e Alessia Menegazzo, e poi la gip Angela Minerva. E tutte fanno giustizia, con immediate differenze di giudizio e la prefigurazione di uno scontro processuale, che si giocherà tutto sulla premeditazione del delitto. E’ possibile che tutte queste donne, prima di tutto la sorella e la mamma di Giulia, la ragazza assassinata con il suo bambino (ora più che mai “suo” e di nessun altro), e poi l’”altra” che ha saputo essere solidale con la rivale d’amore, e poi queste tre magistrate e anche la madre del “mostro”, siano le più titolate all’odio, almeno in un angolino dei propri sentimenti.

Pure non sono loro ad andare sopra le righe, a uscire dalle regole della società civile. Anche quando nella conferenza stampa la pm Alessia Menegazzo sottolinea con forza la (controversa) questione della premeditazione, e Letizia Mannella si rivolge alle donne invitandole a non accettare mai l’ultimo appuntamento, quello del “chiarimento”. E poi anche nell’ordinanza della gip Angela Minerva, la quale accetta la spiegazione di Alessandro e della sua condizione di stress per una situazione -la doppia vita sentimentale e la disistima dei colleghi che ne erano a conoscenza- e non ne fa oggetto di giudizio moralistico, ma si attiene freddamente alla norma e alla giurisprudenza. Tutto questo mostra il clima di rispetto.

Il rispetto delle regole e il rispetto della persona. Ancora una volta ci troviamo al cospetto di un Caino. Di un trentenne destinato a passare dai locali alla moda della Milano più scintillante a una possibile condanna all’ergastolo. In mezzo ci saranno i processi, naturalmente. Per ora c’è una piena ammissione dell’omicidio, che prelude in genere a una condanna. Che non significa soltanto la cella e il carcere, ma la vita, i prossimi venticinque-ventisei anni. Questo va rispettato. Tutte queste donne lo hanno fatto. Ma non possiamo apprezzare il trattamento da preda che gli hanno riservato i carabinieri con la gogna mediatica dell’altra sera. Questo non si fa.

4 Giugno 2023

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