La presidente di Emergency

Intervista a Rossella Miccio: “La pace non si costruisce con i trattati ma con i diritti e l’uguaglianza”

"Che se ne parli o meno, i teatri di guerra prolungata sono tantissimi: pensiamo alla Siria, alla Libia, alla Somalia, allo Yemen e ora di nuovo al Sudan”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

1 Giugno 2023 alle 11:00

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Intervista a Rossella Miccio: “La pace non si costruisce con i trattati ma con i diritti e l’uguaglianza”

La voce va e viene dal telefono. Un collegamento difficile perché Rossella Miccio, presidente di Emergency è a Gedda, Arabia Saudita, tappa obbligata per poter poi volare in Sudan, paese martoriato da una guerra civile iniziata sei settimane fa e che ha già provocato centinaia di morti, milioni di profughi e sfollati. Secondo un rapporto dell’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, delle oltre 320mila persone che si sono rifugiate in Paesi limitrofi, almeno la metà sono bambini.

Una apocalisse umanitaria in una delle tante guerre colpevolmente ignorate in corso nel mondo. Ignorate dalla comunità internazionale, non certo da Emergency che in Sudan continua ad operare. Chiudono le ambasciate, ma non l’ospedale di Khartoum gestito dalla Ong fondata da Gino Strada. Miccio ha un rapporto particolare con il Sudan. È in Sudan che si realizza, nel 2003, l’ospedale cardiochirurgico di guerra, il primo progetto interamente avviato da Rossella: “Bisognava trovare il terreno, firmare gli accordi con le autorità, seguire i lavori in un contesto completamente diverso, in cui c’era moltissima diffidenza: era un Paese sotto embargo, non ci conoscevano, ci guardavano male. E invece, nel 2004 eravamo operativi in Darfur, tre anni dopo era pronto il centro di cardiochirurgia Salam. Oggi vi sono pazienti che arrivano da oltre 30 Paesi, e non è mai venuto meno il contributo del governo sudanese”.

A chi le chiede cosa legge nel volto delle persone chi le soccorre, lei risponde così: “Le accomuna la voglia di pace, di normalità e di serenità. La guerra non ha nulla di naturale, non è connaturata alla natura umana. A seconda del contesto ci sono poi delle differenze: l’Afghanistan è in guerra da 42 anni, fai fatica a pensare, un futuro diverso a immaginarvi una normalità. Anche per questo ci auguriamo che la guerra in Ucraina finisca nel più breve tempo possibile, per evitare che diventi un’abitudine. Purtroppo, che se ne parli o meno, i teatri di guerra prolungata sono tantissimi: pensiamo alla Siria, alla Libia, alla Somalia, allo Yemen e ora di nuovo al Sudan”.

Il Sudan, teatro di una delle tante guerre ignorate dalla comunità internazionale. Che cosa sta avvenendo in quel martoriato Paese?
In Sudan dal 15 di aprile è scoppiata una guerra tra due fazioni che erano insieme al governo e da allora soprattutto la capitale Khartoum è in uno stato di assedio totale. La popolazione civile che ha potuto è scappata. Khartoum è una città di 8 milioni di abitanti, molti sono riusciti a trovare rifugio nelle città e villaggi di origine, qualcuno è riuscito a lasciare il Paese, molto pochi rispetto alla popolazione e chi è rimasto vive nel terrore in una città sotto assedio, con combattimenti, bombardamenti, scarsità di cibo, elettricità tagliata. Tutte le ambasciate sono state evacuate. La stragrande maggioranza della comunità internazionale ha lasciato la capitale. Noi di Emergency siamo in Sudan dal 2003 e abbiamo deciso di rimanere. Perché i nostri ospedali sono un presidio fondamentale di cura e dopo tanti anni anche di speranza per lo staff e le comunità locali.

Dopo la fuga dall’Afghanistan, l’Occidente bissa fuggendo anche dal Sudan. Emergency però resta nei due Paesi.
Quello che vediamo, di cui siamo testimoni diretti, è che quando vanno via gli occidentali viene in gran parte meno anche l’attenzione internazionale e dei media verso questi Paesi. Non è questo il nostro approccio. Emergency non fugge dai luoghi di guerra e di sofferenza. Quando l’attenzione internazionale decade, e con essa l’impegno, i bisogni delle popolazioni civili aumentano. Ed è ancora più necessaria la nostra presenza.

In tutte le guerre colpevolmente ignorate, così come nel “Mare della morte”, il Mediterraneo, Emergency resta sempre un testimone scomodo. Perché?
Perché probabilmente non fa piacere che venga raccontato tutto quello che è la guerra o le stragi di migranti nel Mediterraneo. Sono le stesse logiche discriminatorie. D’altro canto, il nostro è sempre stato un mandato doppio. Da un lato, quello di curare le vittime della guerra e della povertà, e dall’altro lato promuovere una cultura di pace, di solidarietà, di rispetto dei diritti umani. Il nostro lavoro di testimonianza di quello che vediamo ha l’obiettivo di far aprire gli occhi e le coscienze rispetto a questi disastri affinché siano poi i cittadini del mondo a chiedere alla politica di non veder più queste cose.

A proposito di fronti che stanno riesplodendo. Emergency con Gino Strada ebbe un ruolo importante durante la guerra nei Balcani. Oggi il Kosovo torna al centro dell’attenzione per una nuova ondata di violenze. La storia si ripete?
Purtroppo mi sembra che non riusciamo proprio ad impararle queste lezioni della storia, quando si tratta di guerra e pace. Non ci siamo ancora resi conti che non è la firma su un trattato che crea i presupposti per una pace vera. La pace si costruisce quotidianamente innanzitutto attraverso il rispetto dei diritti, la pratica dei diritti che si basa sul riconoscimento dell’uguaglianza di tutte e tutti. Fintanto che ci saranno privilegiati e persone che non hanno diritti o Paesi che hanno privilegi e altri a cui vengono negati i diritti, è difficile che si realizzino condizioni di pace vera e stabile, come stiamo vedendo in giro per il mondo e purtroppo di nuovo anche in Kosovo.

Emergency nel corso della sua storia ha salvato centinaia di migliaia di vite umane. Voi non avete mai chiesto da che parte stai a quelli a cui prestavate cura.
L’anno prossimo ricorreranno i trent’anni dalla creazione di Emergency. In questi trent’anni abbiamo visto tantissime guerre, tantissime parti in conflitto fra loro, ma indipendentemente da quale fossero i motivi di queste guerre, il dato fondamentale è che la stragrande maggioranza delle vittime sono civili. Abbiamo curato oltre 12 milioni e mezzo di persone in quasi trent’anni di attività. Lo abbiamo fatto perché era giusto farlo, non perché sostenevamo una parte in conflitto. Crediamo che questo sia fondamentale per l’azione umanitaria. Noi siamo una organizzazione che si occupa di sanità e siamo fermamente convinti che quello alla cura sia un diritto fondamentale, riconosciuto a tutti, e che la guerra sia in sé una ingiustizia. Non esistono guerre giuste. L’unica cosa giusta da fare è curare e lavorare affinché le motivazioni delle guerre vengano meno.

È un messaggio universale di cui Emergency si fa portatrice.
Assolutamente sì. Per noi la guerra andrebbe cancellata dalla storia dell’umanità. Non è una utopia. È un progetto. È una scelta. La guerra è una catastrofe naturale, e anche quelle, in molti casi, potrebbero essere prevenute. La guerra è una scelta. È un prodotto dell’uomo. La guerra va preparata, va costruita, va pensata, finanziata. Vanno addestrati uomini per fare la guerra. Se i potenti, coloro che hanno davvero in mano i destini del mondo, si rendessero conto di quanto irrazionale e illogica è nell’era nucleare, quando basta pigiare un bottone per distruggerci tutti, il ricorso alle armi per risolvere i problemi, forse questo flagello della guerra, come lo chiamavano i padri fondatori delle Nazioni Unite, si potrebbe cancellare dalla storia dell’umanità e trovare ben altri strumenti per affrontare i problemi che riguardano tutti noi, cittadini del mondo.

Un altro fronte caldo in cui Emergency è impegnata, è il Mediterraneo. Lei ha più volte denunciata la linea securitaria adottata sul fronte migranti dall’Italia e dall’Europa. Per restare al nostro Paese e a chi oggi lo governa: dalla stretta su Ong e protezione speciale all’ampliamento degli accordi con i Paesi del Nord Africa.
Accordi su cui noi siamo assolutamente contrari. Invece di invertire questa tendenza, Italia ed Europa puntano a estendere queste intese ad altri Paesi: è una misura non razionale. Abbiamo visto a cosa ha portato in Libia, milioni di nostre tasse spesi per renderci complici di violenze e abusi, senza, peraltro, far diminuire i flussi. Il rischio assolutamente concreto è di un arretramento sul fronte dei diritti. Abbiamo assistito alla dichiarazione dello stato di emergenza, salvo sentire poi dal nostro ministro dell’Interno che si tratta di ‘un’emergenza in senso tecnico’. Non si capisce cosa sia se non un’ulteriore restrizione dei diritti e un abuso di potere. Stiamo smantellando i valori fondanti della nostra Repubblica a colpi di decreti.

Quanto è importante poter dire a se stesso, da parte di un medico o di un operatore sanitario impegnati in Emergency, ho salvato un essere umano?
Mi auguro che scegliere di fare il medico abbia ancora questa valenza etica profondissima, che è poi il senso della medicina, quello di salvare le vite. Non nego che a volte è frustrante, alla fine di una giornata nei nostri ospedali, vedere che nonostante la fatica che si fa per riuscire a salvare tante vite, altrove c’è qualcuno che invece continua a pensare a come organizzare strumenti di guerra o a come ucciderle queste vite. Perché questo è la guerra. È la scelta consapevole di uccidere qualcuno che consideri diverso da te, un tuo nemico. Questo è abbastanza frustrante per chi invece s’impegna tutti i giorni per riuscire a salvare quante più vite possibile. Siamo però convinti che sia l’unica cosa che abbia senso fare e quindi andiamo avanti.

Se Emergency dovesse chiedere una cosa ai potenti della Terra, quale sarebbe?
Quello che chiedevano Albert Einstein e Bertrand Russell nel 1955 con il loro Manifesto, cioè di mettere di abolire la guerra come strumento a disposizione del genere umano. Quello che loro dicevano è che se non fossimo stati in grado di mettere la guerra fuori dalla storia, sarebbe stata la storia a cancellare l’umanità. Ed è un monito quanto mai attuale.

1 Giugno 2023

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