La storia travagliat
Sudan, la guerra civile tra gli ex alleati al Burhan e Hemedti: la resa dei conti infiamma il Paese
Esteri - di Carmine Di Niro
È il terzo Paese più grande del continente africano (dopo Algeria e Congo), è ricco di petrolio, eppure i suoi 48 milioni di abitanti possono contare su un reddito pro capite misero, inferiore ai mille euro, rendendolo così uno dei venti Paesi più poveri al mondo.
Parliamo del Sudan, lo Stato a sud dell’Egitto sconvolto in queste settimane dall’ennesimo conflitto interno, con oltre 400 morti negli scontri tra l’esercito regolare fedele al presidente non eletto Abdel Fattah Durhan e i miliziani dell’Rsf, le Forze di supporto rapido del generale Mohammed Dagalo, il vicepresidente noto anche come Hemedti.
Sin dalla sua indipendenza nel 1956 il Paese è stato sconvolto da guerre civili e colpi di stato militari: quello che ha segnato maggiormente la storia del Sudan è stato messo a segno nel 1989 da Omar Hasan Ahmad al-Bashir, colonnello dell’esercito che alla guida di un gruppo di ufficiali rimosse il governo del primo ministro Sadiq al-Mahdi e pochi anni dopo promulgò un nuovo codice penale e mise in vigore la Sharia, per poi accentrare sempre più i poteri nelle sue mani.
Il Sudan venne sconvolto dal 2003 al 2006 da una sanguinosissima guerra civile interna scatenatasi nel Darfur, regione occidentale del Paese, dove secondo l’Onu morirono circa 300mila persone. Un conflitto esploso quando gruppi armati di ribelli locali insorsero contro il governo di Khartoum accusando il regime di al-Bashir di discriminare la popolazione locale.
Al-Bashir reagì assoldando contro i ribelli del Darfour i Janjawid, un gruppo di miliziani arabi di etnia baggara, dunque distanti dagli abitanti della regione occidentale del Sudan: le Rsf del generale Mohammed Dagalo sono di fatto dirette discendenti dei Janjawid, di cui il generale Dagalo era uno dei capi. Furono costituite infatti nel 2013 da al-Bashir per far confluire i miliziani di Janjawid in un apparato militare ‘regolare’.
Dal 1983 al 2005, e prima ancora dal 1955 al 1972, il Sudan fu anche segnato da una ancor più sanguinosa guerra civile con la regione meridionale del Paese: solo nel 2011, sotto la spinta della comunità internazionale, un referendum approvò col 98% la creazione di uno Stato ufficiale del Sud Sudan, riconosciuto dalla comunità internazionale.
L’estrema povertà del Sudan si deve anche a questa separazione. Il 75 per cento dei pozzi e delle risorse di greggio del Paese sono nella sua parte meridionale, ora autonoma, mentre le raffinerie e gli stabilimenti per rendere il petrolio esportabile sono nel nord: in vigore vi sono in realtà accordi commerciali tra le due parti, favoriti dalla Cina. Proprio Pechino è il principale sfruttatore delle risorse petrolifere dei due Paesi, oltre che principale partner commerciale del Sudan.
L’attuale guerra civile in corso tra Abdel Fattah Durhan e Dagalo nasce sostanzialmente da quanto accaduto nel 2019, col rovesciamento del governo dittatoriale di al-Bashir dopo mesi di proteste popolari, poi appoggiate dai militari che misero a segno un colpo di stato. Al-Bashir è ricercato dalla Corte penale internazionale con l’accusa di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra legati al conflitto nel Darfur.
Dopo una breve parentesi democratica, nell’ottobre del 2021 i due generali unirono le forze per rovesciare il governo civile con l’ennesimo colpo di stato e instaurare una dittatura militare.
Nel dicembre 2022, su pressioni, internazionali, Abdel Fattah Durhan e Dagalo avevano finalmente acconsentito a iniziare una transizione democratica che avrebbe dovuto portare il Paese a elezioni democratiche nel 2023. Ma l’accordo tra quelli che un tempo erano alleati è fallito sul ruolo delle Forze di supporto rapido: l’accordo prevedeva infatti lo scioglimento delle RFS e il loro confluire nell’esercito regolare, mossa che aveva trovato l’immediata opposizione di Dagalo. Dalle accuse verbali durissime si è passati quindi allo scontro militare, iniziato sabato 15 aprile in particolare nella capitale Khartoum, costringendo i cittadini ‘occidentali’ a fuggire dal Paese.