La polveriera dei balcani

Cosa sta succedendo in Kosovo e quali sono i rischi di una nuova guerra

Dopo gli scontri tra manifestanti serbi e militari Kfor. Stoltenberg: «Settecento agenti in più nel nord»

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

31 Maggio 2023 alle 15:30

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Cosa sta succedendo in Kosovo e quali sono i rischi di una nuova guerra

In risposta ai recenti disordini e al ferimento di 30 membri della Forza Nato per il Kosovo, la Nato ha disposto il dispiegamento delle Forze di Riserva Operativa (Orf) per i Balcani occidentali, che erano pronte all’impiego in sette giorni.

“Il dispiegamento di ulteriori forze Nato in Kosovo è una misura prudente per assicurare che la Kfor abbia le capacità necessarie per mantenere la sicurezza in conformità con il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, ha dichiarato l’ammiraglio Stuart B. Munsch, comandante dell’Allied Joint Force Command di Napoli, “a un ulteriore battaglione multinazionale di forze di riserva – ha proseguito – è stato ordinato di ridurre lo stato di prontezza all’impiego da quattordici a sette giorni, per essere pronti a rinforzare la Kfor se necessario. Il comando di Napoli sta monitorando attentamente la situazione in Kosovo e continuerà a coordinarsi con la Kfor per assicurarsi che disponga di tutte le capacità e le forze necessarie per garantire in modo imparziale un ambiente sicuro e la libertà di movimento di tutte le comunità”.

Mosca accusa la Nato per gli scontri in Kosovo. Le forze dell’Alleanza in Kosovo, secondo la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, hanno agito in modo “non professionale”, provocando “una violenza non necessaria” e una “escalation” della situazione. L’Occidente, ha aggiunto, deve mettere fine alla sua “falsa propaganda” sul Kosovo. I Paesi occidentali, ha proseguito in una dichiarazione pubblicato sul sito del ministero, “devono smettere di imputare gli incidenti in Kosovo ai Serbi disperati che pacificamente, e senza armi in mano, cercano di difendere i loro legittimi diritti e libertà”.

Sulla crisi interviene anche la Cina, che dichiara di prestare “molta attenzione agli sviluppi” e all’escalation della tensione tra i soldati della Nato e i manifestanti serbi, sostenendo “gli sforzi di Belgrado a tutela della sua sovranità e integrità territoriale contro le azioni unilaterali intraprese dalle Istituzioni provvisorie di autogoverno a Pristina“. La portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning ha detto che Pechino “chiede l’attuazione dell’obbligo di istituire un’associazione/comunità di municipalità a maggioranza serba, esortando la Nato a rispettare seriamente la sovranità e l’integrità territoriale dei Paesi interessati a favore della pace regionale”.

Nel nord del Kosovo manifestanti serbi si sono nuovamente radunati ieri mattina davanti ai Municipi di Zvecan, Zubin Potok e Leposavic per protestare contro l’insediamento nei loro uffici dei nuovi sindaci di etnia albanese eletti nel voto locale del 23 aprile scorso. Per ora la situazione appare tranquilla, anche se è evidente una massiccia presenza di unità della polizia kosovara e di militari della Kfor, la Forza Nato in Kosovo a presidiare i punti sensibili. “Entrambe le parti devono assumersi la piena responsabilità di ciò che è accaduto e prevenire qualsiasi ulteriore escalation, piuttosto che nascondersi dietro false narrazioni”, ha affermato il comandante italiano della Kfor, il Generale Angelo Michele Ristuccia.

Il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, in un’intervista a Radio Anch’io ha assicurato che tra i militari italiani impegnati nella Kfor della Nato in Kosovo coinvolti negli incidenti di lunedì “non ci sono feriti gravi”. I militari, ha aggiunto, vengono “curati in Kosovo e il nostro ambasciatore li andrà a trovare stamattina (ieri per chi legge, n.d.r.). C’è anche il generale Figliuolo, sono seguiti da vicino con grande solidarietà. I militari italiani sono inquadrati in una missione Nato che punta a impedire la nascita di un nuovo conflitto tra Kosovo e Serbi”.

Nel frattempo migliorano le condizioni dei 14 militari italiani feriti, tutti appartenenti al nono Reggimento Alpini, che sono stati trasportati in diverse strutture sanitarie della Kfor nella regione. In particolare, uno dei militari è stato portato presso l’ospedale militare Nato specialistico di Skopje, un altro presso l’ospedale militare Nato di Pristina per le cure e gli accertamenti del caso. Tutti gli altri militari coinvolti – spiega il ministero della Difesa – sono stati assistiti al posto di medicazione della base italiana di Villaggio Italia a Peja-Pec. Tre dei militari coinvolti sono stati già dichiarati guariti e hanno ripreso regolarmente servizio.

Dure condanne dei gravi incidenti di lunedì sono giunte anche da Eulex e Unmik, le missioni Ue e Onu in Kosovo. E proseguono le accuse incrociate tra Pristina e Belgrado, che si addossano a vicenda la responsabilità delle nuove forti tensioni e degli scontri nel nord del Kosovo. Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha chiesto a Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia, di “adottare con urgenza misure adeguate al fine di garantire la sicurezza dei serbi del Kosovo, presupposto per ogni ulteriore negoziato con i rappresentanti del Kosovo”. È quanto si legge in un comunicato diffuso dalla presidenza a Belgrado al termine di un incontro con gli ambasciatori dei cinque paesi.

La dirigenza di Pristina, ha detto Vucic, deve ritirare al più presto dal nord le forze della polizia speciale kosovara, insieme ai sindaci “illegittimi” eletti nel voto farsa del 23 aprile scorso. “Spero che riuscirete a riportare alla ragione (il premier kosovaro Albin) Kurti inducendolo a ritirare dal nord le sue forze di polizia e i sindaci”, ha detto il presidente, che ha espresso grande insoddisfazione e forte preoccupazione per il fatto che parte della comunità internazionale continui a tollerare le azioni unilaterali di Pristina che portano alla violenza contro la comunità serba.

La presidente del Kosovo Vjosa Osmani da parte sua ha puntato il dito contro le ‘strutture parallele’ della Serbia nel nord del kosovom, trasformatesi a suo dire in autentiche ‘bande criminali’ che destabilizzano la situazione al nord. L’Ue ha condannato “con la massima fermezza possibile la violenza scioccante a Zvecan. Gli atti violenti commessi contro le truppe della missione Nato in Kosovo (Kfor), i media, i civili e la polizia sono assolutamente inaccettabili”. In un tweet l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell ha esortato le autorità del Kosovo e i manifestanti “a ridurre le tensioni immediatamente e senza condizioni. Ci aspettiamo che le Parti agiscano in modo responsabile e trovino immediatamente una soluzione politica attraverso il Dialogo”.

Intanto, si diffonde soprattutto sui media in lingua albanese la notizia secondo la quale mercenari del gruppo paramilitare russo Wagner sarebbero in viaggio verso il Kosovo. L’ha riferita l’ong israliana Terror Alarm, citando non meglio specificati canali Telegram riconducibili alla compagnia di Prigozhin. Non è possibile una conferma indipendente di queste affermazioni. I serbi kosovari non hanno mai accettato la dichiarazione di indipendenza dalla Serbia del 2008, riconosciuta dai principali Paesi dell’Ue e dagli Stati Uniti, ma non dalla Russia, e considerano Belgrado la propria capitale. Gli albanesi etnici costituiscono oltre il 90% degli 1,8 milioni di abitanti del Kosovo; i serbi – che si stima siano in tutto 120 mila – si concentrano per lo più nelle enclave del Nord: chiedono da tempo l’attuazione di un accordo del 2013 mediato dall’Ue per la creazione di un’associazione di comuni autonomi nella loro area.

“Le tensioni di questi giorni – annota Giorgio Fuscione, analista per i Balcani dell’Ispi – sono lo strascico della cosiddetta guerra delle targhe che, sebbene risolta, aveva ancora un conto in sospeso, quello derivante dal boicottaggio delle istituzioni kosovare e delle conseguenti elezioni. In particolare, gli eventi nel nord del Kosovo sono uno scambio di ricatti politici: Belgrado chiede maggiore rappresentanza minacciando boicottaggi, Pristina vuole esercitare la propria sovranità.  Non è solo una questione identitaria, ma anche di legittimazione politica ed istituzionale. La crisi in corso danneggia innanzitutto la popolazione locale e va a vantaggio della Russia che, sebbene non abbia alcun ruolo diretto in queste tensioni né sostenga una qualche iniziativa diplomatica, sfrutta l’instabilità della regione su cui esercita una decennale influenza. Echi delle tensioni in corso sono arrivati fino a Parigi, sui campi del prestigioso torneo di tennis Roland Garros, dove il campione serbo Novak Djokovic è stato inondato di critiche per aver scritto su una telecamera al termine del match: “Il Kosovo è il cuore della Serbia. Stop alla violenza!”. Un messaggio inaccettabile ha commentato Petrit Selimi, ex ministro degli Esteri di Pristina su Twitter: “Immaginate se un giocatore russo domani scrivesse ‘Crimea e Donbas sono il cuore della Russia. Stop alla violenza’. Andrebbe tutto bene?”

31 Maggio 2023

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