La grana commissario in Emilia per Meloni: è rivolta dei governatori di destra pro-Bonaccini
Politica - di David Romoli
Interrogata direttamente, nella mini conferenza stampa con la presidente von der Leyen dalla Romagna, Giorgia Meloni esplicita un vistoso fastidio: “Al Commissario per la Ricostruzione ci penseremo quando sarà il momento. Continuate a chiedermi chi spenderà i soldi: io al momento mi preoccupo di trovarli”. Non che abbia tutti i torti. Al suo fianco la presidente della Commissione europea ha assicurato che il sostegno dell’Unione ci sarà. Del resto “nel Pnrr ci sono 6 mld per la prevenzione di inondazioni e terremoti”. Che però sono cosa diversa dalla ricostruzione, anche perché dovrebbero essere spalmati su tutto il territorio nazionale. Ci sono comunque anche i Fondi di coesione “che possono essere utilizzati”. Ma non è chiaro a quanto ammontino. L’Italia, specifica la premier, chiederà certamente l’attivazione dei Fondi di solidarietà per disastri e calamità naturali. Prima però sarà necessaria la “stima complessiva” dei danni, poi detta stima passerà al vaglio della Ue e questo, anticipa von der Leyen, “avverrà fra 3 mesi”.
Dunque non mente Giorgia Meloni quando segnala che i soldi, prima di spenderli, vanno trovati e che al momento la priorità è questa. Neppure esagera quando fa capire che per la scelta del commissario c’è tempo, non settimane ma mesi. Però la risposta è anche un modo per cavarsi d’impaccio ed evitare di esporsi su un terreno fitto di mine. Capita infatti che ad alzare la voce chiedendo che la Ricostruzione sia affidata a Bonaccini, nonostante il veto della Lega e l’ostilità evidente della stessa FdI, siano i governatori della destra. Toti, per esempio, dalla Liguria non la manda a dire: ci vuole una cabina di regia e al vertice deve esserci il governatore dell’Emilia-Romagna “senza se e senza ma”. Altrimenti la scelta risulterebbe “incomprensibile” e innescherebbe “inevitabili conflitti tra livelli di governo”.
Il collega calabrese Occhiuto la pensa allo stesso modo: “È la cosa più logica e ci sono esempi che corroborano questa tesi”. Il presidente della Calabria si occupa anche di smontare l’argomentazione, addotta dalle fonti di Chigi in questi giorni, secondo cui il governatore dell’Emilia non potrebbe occuparsi di una ricostruzione che deve investire anche le Marche e la Toscana: “Si sentirebbero più rappresentate da un collega che da un funzionario dello Stato”. Si fa sentire pure il sindaco di Forlì Zattini, anche lui di centrodestra: “Credo che la nomina più naturale sarebbe quella del presidente della Regione. Ci serve un gatto che prenda il topo, qualunque sia il colore del gatto”.
La preoccupazione dei governatori si spiega facilmente: affidare la Ricostruzione allo Stato centrale e a una figura scelta dal governo rappresenterebbe un precedente pericoloso in direzione della limitazione dei poteri locali a vantaggio di quello centrale. Il precedente, del resto, peserebbe a stretto giro, quando si tratterà di investire quei 6 mld citati dalla von der Leyen, e poi anche molto di più, per la messa in sicurezza del territorio e il risanamento idrogeologico. Sarà un’impresa di dimensioni colossali che i governatori, poco importa se di sinistra o di destra, non intendono delegare al governo centrale. Il riferimento di Toti agli “inevitabili conflitti” tra poteri è da questo punto di vista del tutto esplicito.
Del resto anche tra le forze politiche della maggioranza la concordia è solo apparente. Mercoledì in sede di consiglio regionale dell’Emilia-Romagna la destra ha votato contro la mozione che chiedeva di assegnare la Ricostruzione a Bonaccini. In realtà FdI non ha votato contro ma si è sottratta al voto, ufficialmente perché riteneva la mozione “divisiva”, in realtà anche per evitare di uscire allo scoperto quando ancora non è affatto chiaro quale sia la vera propensione della leader e premier. Forza Italia poi, a prescindere dal voto di mercoledì, è sbilanciata a favore dell’opzione Bonaccini. A far pendere la bilancia da una parte o dall’altra potrebbero essere i governatori del nord, che sono sì fedeli a Salvini, che ha messo il veto perché mira a conquistare la Regione alle prossime elezioni, ma sono altrettanto e forse ancor più gelosi della loro autonomia dal potere centrale. Se dovessero optare per Bonaccini, Salvini dovrebbe adeguarsi al diktat dei suoi azionisti di maggioranza.
In questa delicata situazione, è ovvio che la premier miri a rinviare una scelta che del resto non è realmente all’ordine del giorno, per far decantare le tensioni e preparare il terreno cercando di imporre poi la sua scelta, quale che sia. Anche perché la polemica sull’arrembaggio della destra e in particolare di FdI a ogni posto di potere è destinata a proseguire. Puntare su Bonaccini nonostante i mugugni nella sua maggioranza metterebbe a tacere almeno in parte quelle critiche. La scelta opposta le moltiplicherebbe.