Le tensioni al governo

La guerra Meloni-Salvini sulla pelle dei romagnoli: scontro su Bonaccini commissario (e Giorgia guarda al Pd)

Politica - di David Romoli

25 Maggio 2023 alle 17:30 - Ultimo agg. 26 Maggio 2023 alle 12:27

Condividi l'articolo

La guerra Meloni-Salvini sulla pelle dei romagnoli: scontro su Bonaccini commissario (e Giorgia guarda al Pd)

Pragmatismo”: non c’è parola più frequente nel lessico di Giorgia Meloni. E’ probabile che proprio un ragionamento pragmatico la spinga a considerare senza preclusioni e anzi con una certa disponibilità la richiesta di Stefano Bonaccini, l’incarico cioè di commissario alla Ricostruzione. Il governatore emiliano di pragmatismo può dare lezioni e nell’incontro con la premier non si è certo affidato ad argomentazioni astratte: “Noi abbiamo ricostruito un’Emilia che aveva subito danni persino superiori a quelli della Romagna oggi. Sappiamo come fare. Siamo i più indicati a occuparci della Ricostruzione”.

E’ un’argomentazione alla quale la premier non può che prestare orecchio. La ricostruzione sarà uno dei banchi di prova concreti del suo governo, una prova molto più decisiva delle chiacchiere ideologiche e persino delle crociate contro i migranti. In parte l’esperienza degli emiliani offre davvero qualche garanzia in più di successo.

Da un altro punto di vista, la condivisione delle responsabilità con il presidente del Pd e governatore della Regione-Roccaforte di quel partito mette al riparo da attacchi che, in caso di ritardi, sarebbero senza di lui travolgenti. Senza contare la forza accresciuta che l’asse Meloni-Bonaccini avrebbe nella trattativa con l’Europa che dovrà sborsare i fondi per ricostruire. Oggi i due saranno infatti fianco a fianco nell’accogliere Ursula von der Leyen, in visita nelle zone alluvionate.

La Lega ha messo il suo veto, forse insormontabile, ma anche una parte del partito della premier storce il naso. I due pollici versi hanno però motivazioni diverse. Nei ranghi tricolori tengono le critiche basse e anche da Palazzo Chigi espongono una sola controindicazione: “La ricostruzione non riguarda solo la Romagna ma anche le Marche, dunque non è il caso di affidare tutto al governatore di una delle due Regioni”. Argomentazione esile, ostacolo non insuperabile che maschera i veri motivi dell’ostilità dei tricolori. Temono che mettere tutto nelle mani di un alto dirigente e amministratore targato Pd confermerebbe l’opinione diffusa per cui il partito della premier e la destra in generale non dispongono di figure in grado di gestire i fronti critici e delicati, dal Pnrr nei guai fino al collo alla Romagna disastrata. Inoltre, con Bonaccini commissario i meriti dell’eventuale successo andrebbero tutti a lui, il prezzo di un insuccesso lo pagherebbe invece il governo.

Il no della Lega ha motivazioni più profonde e dunque meno risolubili anche dalla stessa Meloni. Nel Cdm le argomentazioni di Salvini sono state ruvide: “Questi non hanno costruito le infrastrutture per salvare topi e nutrie”. Il problema reale è che mettere i 10 miliardi e passa della Ricostruzione in mano a Bonaccini significherebbe, se come è probabile si ripetesse l’esperienza positiva dell’Emilia dopo il terremoto, perdere ogni possibilità di conquistare la Regione alle prossime elezioni. Era il sogno di Salvini nella scorsa tornata elettorale, gli è sfuggito di mano proprio quando si sentiva a un passo dal realizzarlo. Considera l’espugnazione leghista della Regione rossa per eccellenza solo rinviata.

La sua strategia è dunque giocoforza diametralmente opposta a quella della premier, anche al di là del nodo specifico del commissario. La presidente vuole giocare di sponda con il Pd, almeno con quello che governa l’Emilia. “Continueremo a lavorare insieme”, promette. Cordialità e cooperazione. Il leghista vuole invece la carica a testa bassa, l’indice puntato contro “il partito del no” che avrebbe provocato la catastrofe. Bonaccini non può essere un partner nella ricostruzione, e men che meno il Commissario, perché va additato come responsabile della mancata prevenzione. Responsabile del disastro.

Anche allargando l’orizzonte al quadro complessivo, gli interessi dei due principali leader della destra rimangono opposti. La presidente del Consiglio ha tutto l’interesse ad aprire un canale di dialogo con il Pd e la ricostruzione è un’occasione forse irripetibile: con l’Emilia rossa e il presidente del partito di mezzo, Elly Schlein non potrebbe sottrarsi in alcun modo. Per il capitano del Carroccio ogni spiraglio di dialogo è invece una minaccia, perché più la premier è priva di sponde nell’opposizione, più è costretta a subìre i ricatti della Lega. Inoltre, se qualcuno deve costruire un ponte con il Pd, Salvini vuole che sia il suo partito che sul fronte nevralgico delle riforme istituzionali è segretamente molto più vicino al Cancellierato di Elly che non al “sindaco d’Italia” di Renzi.

Non è certo la prima volta che, dietro il manto bugiardo di una perfetta concordia, i due capi della destra si scontrano anche duramente. In questo caso, però, il braccio di ferro non coinvolge solo loro e i loro partiti. La sfida se la stanno giocando sulla pelle dei romagnoli. La posta in gioco non sono gli equilibri della maggioranza ma è il futuro di chi nell’inondazione ha perso tutto.

25 Maggio 2023

Condividi l'articolo