Le garanzie della democrazia

Eleggere il Capo dello Stato sarebbe la rovina dello Stato

Il progetto di un presidente unto dal popolo cancellerebbe il ruolo di garanzia del Colle e consegnerebbe a un leader di parte enormi poteri decisionali capaci di annichilire il Parlamento

Politica - di Salvatore Curreri

25 Maggio 2023 alle 16:03

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Eleggere il Capo dello Stato sarebbe la rovina dello Stato

«Non è detto che un capo dello Stato eletto dal popolo debba per forza essere al vertice dell’esecutivo. Si può affidare la scelta di un Presidente dotato di poteri di rappresentanza e di equilibrio, come in Italia. Non solo si può; lo si fa». Così Aldo Cazzullo sul Corriere del 12 maggio (p. 26). Ma è proprio così? Può un presidente della Repubblica eletto direttamente svolgere un ruolo di garanzia anziché esercitare un potere d’indirizzo politico? E dov’è che “lo si fa”?

Di solito l’elezione diretta del presidente della Repubblica si accompagna all’attribuzione ad esso di rilevanti poteri politici che gli derivano dalla sua legittimazione popolare. È così negli Stati Uniti, dove vige una forma di governo presidenziale in cui il Presidente incarna il potere esecutivo e non c’è dunque un Governo (al massimo sottosegretari di Stato che lui nomina e revoca). Ed è così anche in Francia, dove il Presidente è il vero leader della maggioranza e per questo prevale sul Primo Ministro da lui nominato e con cui condivide il potere esecutivo (Primo ministro che deve poi avere anche la fiducia – meglio non avere la sfiducia – dell’Assemblea Nazionale). Rispetto al Presidente Usa, anzi, il Presidente francese ha ancora più poteri perché non solo il suo incarico ha una durata fissa (cinque anni) e non revocabile in anticipo ma perché, come il Premier inglese, è in grado di controllare la maggioranza parlamentare (di solito assoluta, oggi relativa), tanto più da quando i francesi eleggono Presidente e Parlamento a distanza di poche settimane per evitare che siano espressione di maggioranze politiche diverse (c.d. coabitazione).

Vi sono però forme di governo semipresidenziali in cui l’elezione del Presidente della Repubblica non comporta la sua prevalenza sul Primo Ministro. Difatti, in alcuni paesi europei (Austria, Irlanda, Islanda, Finlandia, Portogallo, alcuni Stati ex socialisti dell’Est europeo), per ragioni strettamente legate alla storia di quei paesi, il Presidente, benché eletto direttamente, continua ad avere un ruolo di garanzia, marginale e “di facciata” rispetto al rapporto tra Parlamento e Primo ministro in cui si concentra il potere d’indirizzo politico. In questi paesi, infatti, la carica di Presidente è ricoperta da personalità politiche di secondo piano mentre è il Primo ministro il vero leader della maggioranza. La forma di governo resterebbe semipresidenziale, perché il Primo ministro deve essere nominato dal Presidente ad elezione diretta e avere la fiducia del Parlamento, ma, al contrario della Francia, avrebbe una tendenza non presidenziale ma parlamentare.

Se gli italiani eleggessero direttamente il Presidente della Repubblica io credo che andremmo verso un semipresidenzialismo a tendenza presidenziale, come in Francia, e non a tendenza parlamentare, come avviene altrove e come sostiene Cazzullo. Per tre motivi.

Innanzi tutto per i poteri che già oggi la Costituzione attribuisce al presidente della Repubblica. Ispirandosi al modello del Sovrano statutario, i nostri costituenti hanno delineato per il capo dello Stato un ruolo non meramente onorifico e decorativo, dotandolo di rilevantissime attribuzioni in relazione a tutti e tre i poteri: il rinvio delle leggi approvate dal Parlamento; l’emanazione dei decreti legge e dei decreti legislativi del Governo; la nomina di un terzo dei giudici della Corte costituzionale; il potere di grazia e di commutazione delle pene; la presidenza del Consiglio superiore della magistratura e del Consiglio supremo di difesa. Ma soprattutto due poteri che di solito nei sistemi parlamentari, non spettano al capo dello Stato: la nomina del presidente del Consiglio e dei ministri e lo scioglimento delle Camere. Una volta eletto direttamente, il presidente della Repubblica eserciterebbe tali poteri non più a fini di controllo e di garanzia, come finora accaduto, ma in chiave politica, in forza della legittimazione elettorale ricevuta. Tutti quegli atti oggi formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi diverrebbero formalmente e sostanzialmente presidenziali.

Di qui il secondo motivo. Mi pare evidente, infatti, che, proprio in ragione dei rilevanti poteri attribuiti, in caso di elezione diretta le forze politiche (anche coalizzate) non candiderebbero figure di secondo piano ma i loro leader, dando quindi alla carica una inevitabile torsione politica assolutamente incompatibile con il ruolo di rappresentante dell’unità nazionale. Avremmo, insomma, un Presidente di parte, e non di tutti, eletto sulla base di un programma politico dopo una dura e aspra campagna elettorale condotta contro gli altri candidati, esattamente come avviene in Francia, dove l’elezione diretta del Presidente è stata introdotta nel 1962 proprio per rimediare alla debolezza del sistema politico ed indurlo a bipolarizzarsi. Pensare che dalle nostre parti un Presidente eletto possa continuare a rappresentare l’intera comunità nazionale è frutto di una retorica illusione che non tiene conto del contesto storico, politico ed istituzionale in cui ogni riforma va calata.

E siamo dunque al terzo motivo. In un quadro politico così frammentato e instabile, l’elezione diretta del Presidente non farebbe altro che istituzionalizzare quella tendenza che ha visto in questi ultimi anni accrescere il potere d’intervento del Presidente per risolvere le crisi di un sistema parlamentare sempre più incapace di decidere a causa della sua debole razionalizzazione. Difatti, nell’ambito dell’esercizio delle sue attribuzioni costituzionali, il ruolo del capo dello Stato varia in base non solo alla personalità politica e al carattere del titolare (essendo l’unica carica monocratica) ma anche al contesto politico: se stabile, egli tende ad avere un ruolo marginale; se instabile, invece, tende ad espandere i propri poteri fino talora a svolgere una funzione di supplenza, ponendosi come «reggitore dello Stato nei momenti di crisi del sistema» (Esposito). È la fortunatissima immagine, coniata dal presidente emerito della Corte costituzionale Amato, della fisarmonica che si “apre” e si “chiude” a seconda del momentum. Per questo nel costituzionalismo francese, meno avvezzo del nostro a erigere steccati tra diritto costituzionale e scienza della politica, da tempo si parla dell’Italia come di una “forma parlamentare con correttivo presidenziale” (Lauvaux e Le Divellec). Mi pare evidente dunque che un presidente della Repubblica eletto asseconderebbe tale tendenza, spostando su tale carica il baricentro del sistema politico. Avremmo dunque un semipresidenzialismo a tendenza presidenziale.

È uno sbocco auspicabile? Pur non potendo riassumere in questa sede un dibattito più che trentennale su quale carica – tra presidente della Repubblica e presidente del Consiglio – vada rafforzata, a me pare evidente che forme di governo che radicalizzino il confronto politico, come inevitabilmente sono quelli in cui si elegge direttamente il vertice dell’esecutivo, non farebbero altro che aggravare le profonde fratture politiche (diverse rispetto a quelle del 1948 ma non meno gravi: si leggano le proposte dell’attuale presidente del Consiglio in tema di migranti, supremazia del diritto dell’Ue e rieducazione del condannato) che oggi vi sono in una società quantomai oggi non pacificata (Violante). Fratture che sono state alla base del fallimento di quel bipolarismo conflittuale che ha contrassegnato il tentativo di trasformare la nostra democrazia parlamentare da consociativa in maggioritaria.

Per questo motivo credo non sia né opportuno, né auspicabile rinunciare definitivamente a quella risorsa istituzionale, a quel “motore di riserva”, a quel simbolo di unità, a quel patrimonio di saggezza, moderazione e stimolo che, seppure con alterne vicende, il presidente della Repubblica ha rappresentato nel nostro paese e di cui la stima, l’affetto ed il senso di gratitudine che gli italiani nutrono nei confronti di Mattarella (come i sondaggi dimostrano) costituiscono inequivocabile riprova.

25 Maggio 2023

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