L'intervento
Roma deve diventare una Regione capitale: la riforma da fare per il governo delle grandi città
Editoriali - di Roberto Morassut
Roma. Oggi. Una città sospesa. Traggo questa semplice sintesi dalle tante conversazioni specifiche o occasionali che mi capita di fare, parlando della situazione attuale della Capitale, con realtà o mondi che sono espressione della società civile, dell’economia, della politica o delle professioni e del mondo del lavoro ma molto spesso anche con persone semplici, con singoli cittadini, con donne, ragazzi che vivono quotidianamente le opportunità e le difficoltà che in questo momento la città sa offrire o presentare.
Devo dire che queste ultime conversazioni sono, a mio parere, quelle più vere, più dirette, meno condizionate dalla giostra dei giudizi e delle polemiche o dalla partigianeria di settore o di gruppo che inevitabilmente attraversa i mondi organizzati e strutturati che agiscono per interesse o per attività nella grande Agorà di Roma. Dove andiamo? Dove sta andando la più bella e complessa città-capitale europea e forse del mondo intero? Non è chiara la prospettiva dei prossimi anni.
Soprattutto per i giovani, per il loro talento e le loro aspirazioni che, comunque, si generano nel grande calderone della globalizzazione di cui Roma è parte e di cui gode e soffre parimenti per occasioni e problemi. C’è una Giunta democratica e progressista, fatta di giovani amministratori e guidata da un ottimo Sindaco, che sta cercando con grandi sforzi e tante difficoltà di diradare il pantano lasciato in eredità da un lungo quindicennio fatto di pessime amministrazioni, di vocazioni autolesioniste della stessa sinistra, di demagogia.
Un quindicennio, però, in cui anche il mondo è cambiato radicalmente. Si è passati in sequenze successive e ininterrotte attraverso emergenze finanziarie, migratorie, sanitarie, energetiche, ambientali e militari. L’emergenza è diventata ordinaria. Viviamo in un mondo che – non solo a Roma – si sta abituando all’emergenza, alla parola stessa. E questo è molto pericoloso perché non ci si rende più conto davvero di come gestire le energie, di quale prospettiva scegliere e si lotta in modo sempre più scoordinato, offuscato fino alla rassegnazione e fino alla indifferente attesa di un crollo del sistema.
Qualche cosa di simile accadde nell’ultimo decennio di vita dell’Unione Sovietica. Le grandi metropoli hanno cambiato forma e si sono trasformati tratti essenziali della cittadinanza, soprattutto per via della crescita esponenziale e l’uso di massa delle tecnologie della comunicazione. Roma non ha retto l’impatto. Le fragilità antiche e mai del tutto superate, le contraddizioni e i limiti della politica e dell’economia locale non hanno assorbito e metabolizzato la tempesta di fenomeni colossali. Navighiamo in una città con un sistema metropolitano lesionato, con una pubblica amministrazione infiacchita e ridotta nei ranghi, con livelli istituzionali stratificati all’infinito, con enormi problemi di riunificazione dei corpi intermedi, dei tessuti sociali, dei territori. La sinistra, i democratici non possono fallire questa volta e debbono indicare una prospettiva credibile.
Il cuore di questa prospettiva si chiama “transizione ecologica giusta”. Un sistema metropolitano che sappia unire l’urgenza di stili di vita e di modi di produzione compatibili col carattere “finito” delle risorse naturali fondamentali con maggiore giustizia sociale ed opportunità per tutti. Roma ha molte carte da giocare perché è la città più verde d’Europa, con il maggior numero di sorgenti di acqua naturale che sgorgano dal suo complesso sottosuolo di natura vulcanica, perché gode di una relativa stabilità sismica e di un sistema idrogeologico di piccoli e diffusi corsi d’acqua capaci di sostenere una rete agricola di filiera breve di prim’ordine. Quel che manca sono le infrastrutture capaci di sostenere queste potenzialità.
Ci sono in campo scelte importanti e l’amministrazione le sta affrontando con le inevitabili complessità. Ma non potrà farcela nessuno, né oggi ne domani, se Roma non avrà finalmente una armatura amministrativa e istituzionale capace di governare la dimensione regionale dei suoi problemi fondamentali. Roma deve diventare una Regione capitale. E in breve tempo. La vicenda del ciclo dei rifiuti e della ZTL lo dimostrano con chiarezza ed evidenza. La discussione sull’autonomia differenziata ignora del tutto il tema del governo delle grandi città metropolitane con vocazione internazionale ed in particolare: Roma , Milano e Napoli.
E non affronta un tema di fondo per una giusta riforma del regionalismo italiano: la riduzione del numero delle regioni e una nuova morfologia territoriale del regionalismo. La sinistra e i democratici debbono assumere con decisione questo tema e non limitarsi ad una scontata opposizione alle proposte del Governo o, al massimo, al tentativo di mediare magari strappando qualche risultato sul tema dei LEP. Il tavolo va ribaltato con un’altra visione. A Roma questa amministrazione non va lasciata sola ma non deve, al tempo stesso, farsi lasciare sola. Serve un vero Congresso per Roma e per il Lazio. Un Congresso fatto di politica e non solo di elezione di nuovi segretari, decisi in accordi interni.
La nostra comunità di donne e uomini è ancora vasta e batte alle nostre porte da tempo. Vuole discutere e partecipare e combattere per allargare la base di consenso a questa amministrazione, per aiutarla, insieme alle tante reti civiche democratiche presenti sul territorio. Ma non risponderà più a richiami d’ordine, disciplinari o burocratici. Apriamo le porte a una vera “costituente romana” o agli “Stati Generali per Roma”. Ora è il tempo di scelte importanti. Facciamole consapevolmente tutti insieme.