Il voto del Consiglio europeo
Europa fuorilegge su migranti e Paesi di “origine sicura”: Meloni non può cantare vittoria sul patto con l’Albania
Le proposte di riforma dei regolamenti Ue sui paesi terzi e i paesi di origine sicura confliggono in modo insanabile con la Convenzione di Ginevra e i Trattati europei. La questione è destinata a finire davanti alla Corte di giustizia.
Politica - di Gianfranco Schiavone
Veramente enorme è stata la confusione in larga parte degli organi di informazione italiani su quale sia l’effettivo contenuto del voto del Consiglio Europeo del 5 dicembre 25 (Fascicolo 2025/0059 (COD) in relazione all’ennesima intenzione di riformare il sistema europeo d’asilo . Nozioni del tutto distinte come “paese di origine sicuro”, “paese terzo sicuro”, domanda di asilo “inammissibile”, “return hub” sono finite in una specie di frullatore su cui regnava la notizia della imminente riapertura dei centri in Albania. In questo articolo cercherò dunque di fare un po’ di chiarezza.
Il Consiglio Europeo (una sorta di Parlamento degli Stati UE) è, insieme al Parlamento, il co-legislatore dell’Unione e nell’ultima seduta ha approvato a maggioranza (contrari Francia, Spagna, Portogallo e Grecia) la propria posizione su tre testi di riforma normativa presentati dalla Commissione cui spetta il potere di fare le proposte legislative. Il primo testo riguarda la modifica da apportare al Regolamento procedure asilo che entrerà in attuazione a giugno 26 in relazione alla nozione di paese terzo sicuro; il secondo verte sempre sul medesimo Regolamento relativamente all’istituzione di una lista comune dell’Unione di paesi di origine sicura; il terzo è sulla proposta di adozione di un nuovo Regolamento sui rimpatri che sostituisca la vigente normativa ovvero la Direttiva 115/CE/2008. La modifica della nozione di paese terzo sicuro è senza dubbio il punto più preoccupante.
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La proposta prevede che un paese terzo (non dunque di origine del richiedente) sia considerato sicuro e che pertanto la domanda di asilo presentata nell’UE non venga esaminata e sia dichiarata inammissibile non solo se il richiedente ha un legame con tale Paese ma anche in ulteriori due fattispecie: 1) il richiedente ha transitato nel Paese terzo in questione; 2) esiste un accordo o un’intesa con il Paese terzo interessato che impone l’esame del merito delle domande di protezione effettiva presentate dai richiedenti soggetti a tale accordo o intesa. La prima fattispecie appare in contrasto con gli obblighi assunti con la ratifica della Convenzione di Ginevra del 1951 e con il Protocollo di New York del 1967 in quanto introdurrebbe surrettiziamente una sorta di limitazione geografica mascherata definendo quali sono i pochissimi Paesi terzi da cui potrebbero provenire i rifugiati e rendendo di per sé l’intera UE una sorta di isola inaccessibile a tutti gli altri richiedenti asilo che, provenienti da altre aree geografiche del mondo, chiedono in Europa protezione internazionale.
La seconda fattispecie appare anch’essa incompatibile con il diritto internazionale sui rifugiati in quanto permetterebbe a uno Stato UE di liberarsi dall’obbligo giuridico di esaminare le domande di asilo di sua competenza cedendo a uno Stato terzo (dietro corresponsione di elevate somme) i richiedenti asilo che non desidera. Secondo una consolidata interpretazione dottrinale della Convenzione di Ginevra “le pratiche che trasferiscono gli oneri, escludono la responsabilità o ostacolano l’accesso alla protezione internazionale sono incompatibili con la solidarietà globale e la condivisione della responsabilità” (UNHCR, Note on the Exeternalization of International Protection, 28.05.2021) e “Gli accordi internazionali di trasferimento non sono legittimi quando costituiscono, in tutto o in parte un tentativo da parte di uno Stato di sottrarsi ai propri obblighi giuridici internazionali” (UNHCR, Accordi internazionali per il trasferimento di rifugiati e richiedenti asilo, 7 agosto 2025).
Un trasferimento di responsabilità nell’esame di una domanda di asilo è infatti lecito solo se lo Stato che trasferisce può dimostrare che in un determinato contesto non è in grado, per ragioni obiettive (stato di guerra, numero spropositato di domande, condizioni economiche generali molto negative etc) di adempiere ai propri obblighi giuridici e quindi il trasferimento è finalizzato a garantire che i rifugiati godano altrove di un’effettiva protezione. Poiché l’Unione Europea è vincolata a legiferare in materia di asilo nel rispetto della Convenzione di Ginevra (art. 78 par. 1 del Trattato sul funzionamento dell’UE) l’approvazione di ciò che vuole il Consiglio Europeo porterebbe l’Unione ad approvare una norma che è in insanabile contrasto con i propri stessi Trattati (con inevitabile intervento della Corte di Giustizia UE). Uno scenario incredibile che diventa oggi possibile, e persino probabile, a causa di un’irrazionalità collettiva che sembra avvolgere le istituzioni europee e molti Stati dell’Unione.
Il Consiglio Europeo ha altresì approvato una lista comune UE di paesi considerati di origine sicuri. Il Governo italiano ha fatto enormi pressioni per l’inserimento in tale breve lista di tre Paesi: la Tunisia, l’Egitto e il Bangladesh dai quali provengono per l’Italia la maggior parte dei richiedenti asilo. Inoltre il Consiglio ha approvato una disposizione che prevede che, in via automatica, tutti i paesi candidati all’ingresso nell’Unione, vanno considerati di per sé di origine sicura. Sulla base di quanto sopra il Governo italiano ha sostenuto che non sussistono più ostacoli alla riapertura dei centri di detenzione istituiti in Albania sulla base del noto Protocollo del febbraio 24. La modifica normativa, se approvata, supererebbe in effetti le problematiche giuridiche che la magistratura italiana aveva sollevato alla Corte di Giustizia UE che con sentenza del 1.08.25 ha accolto i rilievi dei Tribunali italiani e ha posto fine alle operazioni nei centri albanesi in relazione all’esame delle domande di asilo in procedura accelerata di frontiera.
Tuttavia ritengo che altri, ancor più rilevanti problemi giuridici assumeranno rilievo. La nozione di Paese di origine sicuro è definita nell’articolo 61 par. 1 dello stesso Regolamento procedure (Reg. UE 2024/1348) di cui qui trattiamo e prevede che un paese possa essere considerato di origine sicuro “soltanto se, sulla base della situazione giuridica, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono persecuzioni (…) né alcun rischio reale di danno grave” . Il fatto che il nuovo Regolamento ammetta, diversamente dalla norma vigente, la possibilità di inserire sia limitate eccezioni geografiche che eccezioni specifiche per categorie di persone, non permette comunque a mio avviso di eludere la questione di fondo ovvero che nessun paese terzo può essere arbitrariamente definito come di origine sicuro se in esso non vige un ordinamento democratico effettivo che permette, alla luce di fonti autorevoli ed aggiornate, di escludere che in via generale possano verificarsi persecuzioni per una delle ragioni previste della Convenzione di Ginevra.
La nozione di paese di origine sicuro è una nozione giuridica del tutto sottratta all’arbitrio politico. Non è dunque legittimo qualificare o inserire in una lista, ancorché prevista dallo stesso Regolamento, uno o più Paesi che non corrispondano alla qualificazione giuridica sopra indicata. Anche se la scelta dell’inserimento può essere talvolta connotata da valutazioni discordanti e scivolose (ragione per cui la nozione di paese di origine sicuro andrebbe sempre interpretata in modo restrittivo) non possono certo essere qualificati come sicuri paesi di origine dei richiedenti che sono connotati da regimi autoritari e dove il livello di violenza politica verso ampi gruppi della popolazione è macroscopico. Per fare un esempio che tutti possono comprendere, della frutta marcia messa in un cesto di frutta buona non diventa, per truffa o per magia, buona anch’essa. La Sentenza Corte di Giustizia UE 1.08.25 cause riunite C-758/24 [Alace] e C-759/24 [Canpelli] ha chiarito che spetta al giudice di valutare, in relazione al caso concreto che gli viene sottoposto “se tale designazione [di paese di origine sicuro] rispetti le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I a detta direttiva [ndr da giugno 2026 la designazione prevista dal Regolamento richiamato]” e, nel caso, che ritengo del tutto probabile riscontri una evidente contraddizione tra l’inserimento di un Paese nella lista dei paesi di origine sicura e la definizione giuridica sopra richiamata dovrà investire di tale problematica nuovamente la Corte di Giustizia dell’UE.
La ventilata riapertura dei centri in Albania per l’esame delle domande di asilo farà altresì emergere profili giuridici rimasti, per così dire, sotto traccia ma che sono di assoluta rilevanza. Come già evidenzia la Corte d’Appello di Roma nella sua ordinanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE del 5 novembre 2025 “difetta dunque anche in prospettiva evolutiva del diritto UE, qualunque previsione della possibilità di esaminare le domande di asilo da luoghi diversi dalla frontiera esterna, dalla prossimità della stessa o da zone di transito od ancora da altri luoghi che siano tuttavia designati sul territorio dello Stato e non già all’esterno di esso” (2.52). Su questioni come l’effettivo rispetto, in un contesto extraterritoriale, di diritti e garanzie ineludibili che sono sanciti nel diritto UE, ed in particolare il diritto effettivo alla difesa avverso le decisioni di rigetto della domanda di asilo e il trattenimento nelle strutture albanesi che, nel vigente Protocollo, è generalizzato senza possibilità di disporre misure meno afflittive, la citata Corte d’Appello ritiene -a mio avviso con piena ragione- che sussista un insanabile contrasto con il diritto dell’Unione. È indubbio che il Governo italiano voglia riaprire i centri in Albania, ma se potrà realmente farlo o se invece questo esperimento estremo, anche nel nuovo quadro normativo, è comunque destinato al fallimento, è questione del tutto aperta.
Infine un’ultima veloce nota sui rimpatri: il Consiglio ha apportato molte modifiche alla proposta della Commissione (tutte nel segno di un ulteriore inasprimento) e ne rinvio dunque l’analisi più approfondita a un altro articolo. Mi limito qui a sottolineare come il Consiglio confermi la scelta di poter mettere in atto un’espulsione di un cittadino straniero anche verso un Paese “con il quale esiste un accordo o un’intesa sulla cui base il cittadino di paese terzo è accettato” (art. 4 della proposta di Regolamento). La proposta di riforma prevede una sorta di cessione di competenza al paese terzo nella prosecuzione delle operazioni di rimpatrio e, pur nei suoi profili inquietanti (verrebbe a configurarsi una sorta di vendita di esseri umani) è completamente diversa dai centri italiani in Albania nei quali c’è una gestione extraterritoriale del trattenimento delle persone espulse sotto giurisdizione italiana. Anche se sotto certi profili le proposte elaborate in sede UE non sono meno estreme, le affermazioni del Governo italiano secondo cui le eventuali future norme UE approvate dal Consiglio Europeo rendono legittime le scelte dell’Esecutivo sui centri in Albania sono prive di ogni fondamento; in altre parole sono pura propaganda.