L'incidente diplomatico
Meloni-Mattarella, la pace al veleno sul caso Garofani tra sospetti incrociati e pezze a colori
Nell’incontro al Quirinale la premier ha assicurato a Mattarella che l’attacco non era rivolto a lui. Critiche a Garofani ma retromarcia sulle ambiguità delle parole di Bignami. Non è detto però che basti a chiudere la vicenda
Politica - di David Romoli
La diplomazia del Colle e quella di palazzo Chigi si erano messe al lavoro già martedì, mentre infuriava lo scontro tra il partito di Giorgia Meloni e il Quirinale. Così ieri mattina la premier è arrivata al Quirinale per ricucire rapporti per la prima volta vicini allo strappo. Ha assicurato al presidente che non c’era da parte del suo partito alcuna intenzione di attaccare lui. Al contrario, la richiesta di una smentita del consigliere Garofani per le sue parole contro il governo serviva proprio a circoscrivere la vicenda a tutela dello stesso Quirinale. Chiarendo la situazione, ha proseguito la premier, Garofani avrebbe reso possibile chiudere l’incidente. Le fonti di palazzo Chigi ribadiscono comunque “la sintonia istituzionale tra palazzo Chigi e il Quirinale, mai venuta meno fin dall’insediamento del governo e della quale nessuno ha mai dubitato”.
Retromarcia totale su quel tanto di ambiguo che c’era stato nelle parole del capogruppo Bignami e che era stato interpretato come una vera bordata contro Mattarella ma insistenza sulle critiche a Garofani e alle sue “parole politicamente e istituzionalmente inopportune. Incidente chiuso ma stavolta la cicatrice resterà visibile”. L’incidente provocato dalle “chiacchiere tra amici” (parole sue) del consigliere Garofani e dalla reazione sgangherata e autolesionista di FdI non è stata la classica tempesta in un bicchier d’acqua. Al Quirinale in realtà l’irritazione aveva raggiunto livelli da allarme rosso ed è comprensibile che Mattarella si sia sentito offeso da quella dichiarazione iniziale del capogruppo tricolore alla Camera Bignami, che giocava sul registro dell’ambiguità invece di chiarire subito l’estraneità del presidente alle parole in libertà del suo consigliere. In questi anni, pur segnalando a volte la sua distanza dalle scelte del governo, Mattarella ha dimostrato massima lealtà istituzionale, a differenza di alcuni suoi predecessori. In più occasioni i suoi interventi sono stati di grande aiuto e massima utilità per il governo. Dunque il presidente non si aspettava che il partito della premier giocasse di sponda con il direttore della Verità Maurizio Belpietro, che bersaglia il Colle in ogni occasione ed è considerato vicino alle posizioni russe.
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Proprio il clima di diffidenza ai limiti della paranoia che si respira nei principali palazzi del potere, il Quirinale e Chigi, rende l’incidente più serio e più profondo di quanto meriterebbe in sé. Dalla premier in giù tutti, nella sede della presidenza del consiglio, vivono una sindrome di assedio permanente. Si sentono accerchiati, minacciati da trame e complotti che mirano a scalzarli senza passare per libere elezioni. Le parole di Garofani, certamente fuori luogo ma non tali da autorizzare il sospetto di manovre in corso contro il governo, sono state invece interpretate come prova che quei paventati complotti sono reali e anzi in pieno corso. Lo stato maggiore di FdI ha deciso per questo di “mandare un avvertimento” e se i Fratelli non si sono premurati di ribadire subito la piena fiducia in Mattarella, come sono stati costretti a fare in un secondo tempo, è perché al fondo non si fidano neppure del presidente. Del resto la scelta di Giorgia di non esprimersi in prima persona per confermare la piena fiducia in Mattarella e quella di difendere a spada tratta, direttamente e indirettamente, i dirigenti coinvolti nel fattaccio derivano anche dalla convinzione che sul Colle si stiano vagheggiando davvero manovre torbide, pur senza il coinvolgimento del capo dello Stato.
Al Quirinale impera una uguale sospettosità. Il giorno prima dell’incidente si era riunito il Consiglio supremo di difesa e la riunione si era conclusa con la piena conferma della linea indicata da Mattarella, quella di proseguire nel sostegno pieno a Kiev a ogni costo e in questo caso si intendono costi in miliardi sonanti. L’intesa era però stata raggiunta con qualche sforzo. La premier, con il fiato del risparmiatore Giorgetti sul collo, avrebbe preferito una formula meno netta e impegnativa. La ha spuntata il presidente e molti, al Quirinale, sono convinti che Belpietro abbia tirato fuori le incaute affermazioni di Garofani, che risalivano ad alcuni giorni prima, proprio come reazione “putiniana” agli quel Consiglio supremo di difesa. I rapporti tra questo governo e presidenza della Repubblica sono sempre stati piuttosto delicati. Non è facile che il chiarimento di ieri basti a chiudere una vicenda che ha messo in evidenza una reciproca e radicata diffidenza.