Scontro sull'asse Washington-Roma
Dazi sulla pasta italiana al 107 %, la mossa degli Stati Uniti e le accuse di “dumping” alle aziende
Un colpo duro ad un settore che vale 700 milioni di euro l’anno. È questo infatti il giro d’affari negli Stati Uniti per le aziende italiane produttrici di pasta: per loro, ma una decisione definitiva non è ancora arrivata, potrebbero essere applicati dazi del 107 per cento nel prossimo futuro, a partire dal gennaio 2026.
Detto che la questione resta al momento un rebus per la notoria imprevedibilità di Donald Trump, che sui dazi ha dimostrato in questi mesi di poterli annunciare, sospenderli e poi reintrodurli con una certa facilità, per le aziende italiane è certamente scattato un campanello d’allarme.
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I possibili dazi alla pasta italiana non sono però legati alle politiche di Trump, ma ad una indagine condotta dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti su presunte pratiche di “dumping”, ovvero una pratica commerciale scorretta con cui i produttori vendono la loro merce ad un prezzo ribassato, sotto il costo di produzione, così da mettere fuori gioco la concorrenza.
Secondo gli esposti di alcune aziende locali, diversi produttori italiani di pasta avrebbero realizzato politiche di “dumping” in due periodi: dal luglio 2023 al luglio 2024 e dal luglio 2024 al luglio 2025, con due indagini al riguardo. Si tratta dunque di periodi precedenti all’elezione di Trump: per la prima indagine in mano al Dipartimento del Commercio nel mirino ci sono marchi molto noti come Rummo, La Molisana, Garofalo e Barilla.
Le aziende più “compromesse”, almeno secondo le autorità statunitensi, sarebbero Garofalo e La Molisana, i marchi più venduti sul mercato statunitense dopo Barilla, che sono stati sottoposti a una revisione completa sui dati di vendita e sui loro costi. In un rapporto preliminare di inizio settembre (che dovrà essere confermato, ndr) si accusa i due marchi di aver applicato un margine di dumping del 91,74 per cento, ovvero avrebbero venduto i loro prodotti a quasi la metà del prezzo equo di mercato per mettere in difficoltà la concorrenza.
Da dove arriva dunque l’ipotesi del 107 per cento di dazi sulla pasta? Dall’applicazione di quel 91,74% di dumping trasformato in dazio, più il 15% che gli Stati Uniti dal luglio scorso applicano a tutte le merci europee, comprese quelle italiane.
Proprio oggi La Molisana ha annunciato di essere pronta ad aprire uno stabilimento di produzione negli Stati Uniti, come già fatto da Barilla in passato. A dirlo è stato l’amministratore delegato del pastificio di Campobasso, Giuseppe Ferro, che ha lanciato l’allarme sui possibili dazi: “Cercheremo di discutere con l’amministrazione americana perché con dazi al 107% per noi non è possibile lavorare”. Questione, quella dello stabilimento negli Stati Uniti, al centro di un piccolo giallo. La stessa La Molisana infatti ha smentito la notizia: “L’amministratore delegato del pastificio La Molisana Giuseppe Ferro – si legge – smentisce la notizia diffusa da alcuni organi d’informazione che asseriscono la volontà dell’azienda di aprire uno stabilimento in America. Precisa, inoltre, che è intenzione dell’azienda proseguire l’iter legale così come intrapreso”
C’è comunque un altro aspetto negativo nel caso dazi. Lo spiega Cosimo Rummo, ad dell’omonimo pastificio di Benevento, a Radiocor: “I dazi scatteranno dal 1° gennaio 2026, ma poiché il dumping è retroattivo si dovrà pagare anche per i 12 mesi precedenti”. Questa, dice, “è una piccola battaglia che stiamo iniziando a combattere: è una pazzia aver esteso la multa di due aziende (La Molisana e Garofalo, ndr) anche a noi, che negli Usa vendiamo 454 grammi all’equivalente di 4,5 euro”.