Verso le elezioni

“Non può esserci vita in Calabria”: come affrontare l’eutanasia della Regione, contro abbandono e povertà

I calabresi vivono in uno stato d’eccezione, esito di un giustizialismo ottuso e di una politica miope. Condannate allo stato di minorità civica intere comunità, che insieme ai loro sindaci hanno pagato un prezzo altissimo

Politica - di Donatella Di Cesare

5 Ottobre 2025 alle 09:53

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Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Le prossime elezioni regionali hanno un valore che le distingue dalle precedenti per il momento drammatico che la Calabria vive, spinta ormai sull’orlo del baratro da una destra che, dopo decenni di malgoverno, ha però inflitto l’ultimo colpo tra cinismo, incompetenza e spietatezza. Le scelte nazionali si ripercuotono su un territorio fragile e complesso con effetti devastanti. Che la destra odierna discrimini ed escluda i più deboli non è una sorpresa. In Calabria viene istituzionalizzata l’eutanasia della regione.

Vorrei fare un solo esempio per far capire queste parole che potrebbero sembrare molto forti. Il Piano strategico nazionale delle aree interne (Psnai), approvato nel 2025, segue una logica darwiniana per cui i paesi con una struttura demografica compromessa, basse prospettive di sviluppo e poca attrattività, dovrebbero essere “assistiti in un percorso di cronicizzato declino”. Questo abbandono, travestito da realismo, è una scelta politica miope che, oltre a tradire ogni politica di coesione, avalla la perdita di un patrimonio di risorse umane, culturali e ambientali. Vale per tutte le regioni, ma vale soprattutto per la Calabria, dove un piano del genere si tradurrebbe nella morte per decreto di intere aree. Proprio all’opposto serve invece una politica coraggiosa che individui il modo per ripopolare i paesi, a partire dalle infrastrutture. Il messaggio che è passato in questi ultimi anni è che può esserci vita solo fuori dalla Calabria. Vale per i giovani, costretti ad andar via, senza poter ritornare, come se fosse un evento quasi naturale. Vale per chi, colpito da una malattia, deve emigrare per cercare la sopravvivenza. La giunta di Occhiuto, che è stato – ricordiamolo! – anche commissario straordinario alla sanità, ha colpe politiche evidenti.

Già solo per aver sottoscritto il cosiddetto “piano di rientro”, apparentemente un accordo per equilibrare il debito, ma in realtà un perverso meccanismo che dissangua la regione. Ma bisogna ricordare anche la scelta di favorire le stretture private e il loro profitti, come dimostrano gli indici di spesa, nonché gli espedienti temporanei che, anziché risolvere il problema, lo aggravano. Il governatore che inaugura edifici vuoti e fatiscenti è l’immagine più grottesca di questo dissesto. La sanità non è fatta di colate di cemento armato, ma di personale competente che assiste e cura i cittadini sul territorio con la prevenzione. Dove, se non in Calabria, è necessaria la sanità territoriale?

La sanità è stata forse il tema più dibattuto in una campagna elettorale brevissima, che ha dato poco spazio e poco tempo all’opposizione di Tridico per spiegare il proprio programma e far valere i propri argomenti. E questo a causa di una mossa di Occhiuto al limite della democrazia, perché indagato non si è affidato alla magistratura, ma si è dimesso per ricandidarsi immediatamente, senza mai spiegare perché, appellandosi anzi ai calabresi. Chi dovesse sceglierlo si assumerà la responsabilità di un governo non solo nefasto, ma anche instabile.
Gli ostacoli che incontra l’opposizione sono molteplici, perché ai vecchi metodi clientelari si aggiunge oggi quella propaganda della nuova destra che con toni vittimistici e ammiccanti sa distorcere la realtà. Ma il problema è ancora più profondo e sta ormai nella difficoltà di legare la prospettiva regionale con quella di una nazione dove non si parla più di “questione meridionale”, dove l’autonomia differenziata è nei suoi contenuti quasi un’ovvietà, dove la Calabria è vista come un buco nero, una terra perduta, una nave in balia delle onde. Il rischio è allora quello di calare dall’alto temi, di cui non viene avvertita la priorità, oppure di sottacerne altri.

Dalle infrastrutture strategiche, oscurate dal delirante progetto del ponte salviniano, ai distretti agroindustriali innovativi, dalla telemedicina ai programmi di mobilità internazionale per attrarre e trattenere giovani, dal salario regionale minimo al reddito di dignità – molti sono i temi che la coalizione di centrosinistra, guidata da Tridico, è riuscita ad affrontare delineando un programma articolato. Ma è anche vero che la Calabria ha una sua sensibilità ferita, un risentimento profondo, e ha questioni peculiari tutte proprie, che in genere vengono aggirate. Parlarne solo in termini di condanna, con un paio di slogan, serve a poco. Ecco perché ho chiesto a Tridico di venire a San Luca e in altri paesi della Locride, la parte da cui provengo. E credo che quella visita abbia rappresentato la svolta della sua campagna elettorale, perché ha significato rompere il muro della stigmatizzazione.

La sinistra deve avere il coraggio di riconoscere che è stato un errore gravissimo aver assecondato la procedura straordinaria e il commissariamento. Parlerei di un vero e proprio “stato d’eccezione” in Calabria, esito di un giustizialismo ottuso e di una politica miope. Così sono state condannate allo stato di minorità civica intere comunità, che insieme ai loro sindaci hanno pagato un prezzo altissimo. È bastato spesso un intervento prefettizio, che rinviava a una supposta infiltrazione mafiosa, per commissariare un comune e sospendere la democrazia. Questa prassi amministrativo-poliziesca ha fallito provocando danni enormi, perché anziché liberare dai vincoli dei clan ha spezzato i legami della politica. La disaffezione di molti calabresi viene anche da qui. La conoscevo già da tempo e durante questa campagna elettorale l’ho percepita in modo ancor più acuto.

Ma ho avvertito anche un fermento che non mi attendevo, una voglia di partecipazione, un desiderio di riscatto, che mi hanno colpito e commosso. C’è preoccupazione, ansia, allarme per quello che potrebbe accadere, all’interno e fuori. Mi auguro che tutto ciò si traduca in un voto. Sebbene comprenda i motivi della disaffezione, lo spettro dell’astensionismo mi inquieta e mi indigna. Perché se ancora qualche anno fa il non-voto poteva essere interpretato come gesto di protesta, oggi è un modo per far sì che continui a vincere la destra più clientelare, spietata e famelica. Povertà e abbandono chiedono una risposta. E questa risposta c’è nel programma della coalizione a guida Tridico, programma che rilancia finalmente i temi di una sinistra sociale. Spero che le donne e gli uomini della mia splendida regione, ricca di risorse e potenzialità, facciano la scelta giusta.

* Cattedra di filosofia teoretica alla Sapienza, capolista di Avs nelle circoscrizioni Sud e Nord alle elezioni regionali calabresi

5 Ottobre 2025

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