La guerra del governo a chi salva vite
Fermi alle navi delle Ong sono illegittimi: violano il diritto e la dignità umana
Mediterranea, Ocean Viking e Trotamar III: il triplo stop inferto alle navi di soccorso è un abuso: le convenzioni internazionali impongono di sbarcare i migranti nel più breve tempo possibile, e non di torturarli
Giustizia - di Salvatore Curreri
“Lo Stato contrasta i trafficanti e coordina i soccorsi in mare, non le Ong” ha scritto su X il ministro Piantedosi. Ha ragione: dai numeri forniti dallo stesso Ministero dell’Interno solo il 15% dei naufraghi viene salvato dalle navi delle Ong. Ma se così è, viene smentita la tesi, sostenuta dallo stesso ministro, per cui le navi delle Ong sarebbero un fattore di attrazione (pull factor) perché evidentemente i migranti partono lo stesso, anche quando non sono certi di essere raccolti in mare, tantomeno dalle navi delle Ong. Ma se così è, c’è di più, molto di più. Negli scorsi giorni il ministro ha disposto, in rapida sequenza, il fermo amministrativo di tre navi di Ong – la Mediterranea Savings Humans (25 agosto); l’Ocean Viking (26 agosto), dopo peraltro che questa era stata mitragliata dalle milizie libiche; la Trotamar III (25 agosto) – colpevoli: le prime due di aver fatto sbarcare i naufraghi soccorsi nel porto più vicino e sicuro (Trapani), disattendendo le indicazioni vincolanti del Viminale che, come al solito, aveva loro assegnato come porto sicuro una località molto distante rispetto ai luoghi di salvataggio (rispettivamente Genova e Marina di Carrara) all’evidente scopo di allontanarle il più possibile da tali zone. La terza, sequestrata a Lampedusa, per non aver informato preventivamente dell’operazione di salvataggio quella Guardia di costiera libica che aveva mitragliato l’Ocean Viking a bordo di una motovedetta fornita dal governo italiano…
Ma tali fermi amministrativi sono costituzionalmente legittimi? Com’è noto, questa è l’ultima soluzione introdotta per tentare di limitare l’opera di salvataggio delle navi Ong, nel presupposto, come detto smentito dallo stesso ministro, che la loro presenza costituisca il maggior incentivo alla immigrazione clandestina. Prima di essa tutte le altre soluzioni sono state dichiarate illegittime. Si è cominciato con i respingimenti in mare dei naufraghi verso i porti di partenza della Libia, non essendo tale paese considerato un porto sicuro ai sensi delle convenzioni internazionali poiché non garantisce i diritti dei migranti (Corte europea dei diritti dell’uomo, 23.2.2012 Hirsi Jamaa c. Italia) per poi proseguire negando e/o ritardando lo sbarco immediato e/o totale (c.d. sbarchi selettivi) dei migranti nei porti italiani (Cass., III pen. 6626/2020 sul c.d. caso Rackete). Oggi, invece, le navi delle Ong devono raggiungere tempestivamente e senza ritardo il POS (point of safe) assegnato dal Ministero dell’Interno, volutamente spesso identificato in porti del Centro-Nord molto distanti dal luogo di salvataggio. Inoltre, tali navi, effettuato il primo salvataggio, non ne possono effettuare ulteriori se non espressamente autorizzate, per cui non possono stazionare nell’area, trasbordando i migranti salvati in imbarcazioni più piccole. Infine, esse hanno l’obbligo di raccogliere le domande di protezione internazionale dei migranti nel tentativo di spostare la competenza della loro gestione sugli Stati di cui battono bandiera. Chi non rispetta l’assegnazione del porto sicuro, è punito con multe e fermi amministrativi delle navi la cui durata è stabilita con provvedimento dal Prefetto, contro di cui si può ricorrere entro appena dieci giorni.
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Si tratta di misure sotto il profilo etico intollerabili perché l’assegnazione come porto sicuro di una località molto distante costringe persone che hanno visto la morte in faccia, per di più talora segnate a vita dalle torture e dalle violenze di ogni tipo subite in Libia, in condizioni di salute precarie nonché di estrema fragilità e vulnerabilità, ad ulteriori giorni di navigazione in mare. Per di più, mentre le barche sono portate lontano dalle zone di salvataggio o bloccate per fermo amministrativo, i naufragi continuano e i migranti muoiono…
Ma oltreché eticamente intollerabili, tali misure sono illegittime perché in contrasto con gli obblighi internazionali rispetto ai quali la nostra legislazione, tanto più in materia di condizione giuridica dello straniero, non può contrastare secondo gli articoli 10 e 117 della nostra Costituzione. Difatti, in base al paragrafo 3.1.9 della Convenzione sulla ricerca e il salvataggio marittimo – Sar acronimo di Search and Rescue – ratificata con legge n. 147/1989 e attuata con D.P.R. 662/1994 i naufraghi, dopo essere stati soccorsi e adeguatamente assistiti sulla nave, vanno “sbarcati e condotti in luogo sicuro [c.d. place of safety (POS)] (…) nel più breve tempo ragionevolmente possibile” (as soon as reasonably practicable), come ricordato dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 105 dello scorso 8 luglio.
Tutto questo è stato confermato di recente dal Consiglio di Stato (III sezione, sentenza 1615/2025 del 25 febbraio) secondo cui, se da un lato il punto di sbarco sicuro non va semplicemente identificato con il porto geograficamente più vicino all’intervento di salvataggio, dall’altro esso non può essere frutto di una valutazione totalmente discrezionale. Nell’individuare tale porto, infatti, il Ministero dell’Interno deve tenere conto di una molteplicità di fattori legati al caso concreto, quali lo status delle persone tratte in salvo, il numero dei naufraghi, la situazione a bordo, le condizioni di salute dei soccorsi, le condizioni metereologiche, la presenza di persone fragili o di minori tra i soccorsi, la prossimità e la capienza dei centri di accoglienza dislocati sul territorio in cui i migranti dovranno essere inseriti in attesa dell’esito della loro domanda di asilo. Giorni fa la presidente del Consiglio, intervenendo al meeting di Rimini, ha rivendicato il diritto del Governo di regolare l’immigrazione clandestina, senza subire impedimenti da parte di giudici, politici o burocrati. Vorrei sommessamente chiedere a lei – ed a quella platea che, per ragioni di fede, dovrebbe essere sensibile ai valori di accoglienza e di solidarietà – se sia veramente necessario, per contrastare l’immigrazione clandestina, costringere senza giustificato motivo le navi delle Ong ad ulteriori giorni di navigazione per raggiungere il porto indicato come sicuro, infliggendo ai naufraghi ulteriori sofferenze. Perché il giudice nazionale o sovranazionale che – presto o tardi – dichiarerà sul punto illegittimo il decreto Piantedosi non sarà una “toga rossa” che rema contro il Governo ma, più modestamente e semplicemente, colui che ha voluto affermare, ancora una volta, il primato del rispetto della dignità umana.