Lo scontro
Delmastro condannato, Meloni garantista a “targhe alterne” dichiara guerra ai magistrati: lo “sconcerto” e il “complotto”

Siamo ormai alla guerra senza quartiere, ad una difesa netta e durissima che spinge Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, ad evocare senza mezzi termini “eversione”.
Giorgia Meloni si lancia in bordate devastanti contro la magistratura rea di aver condannato il suo fedelissimo Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia nel ministero guidato da Carlo Nordio, per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso Cospito.
Otto mesi di reclusione e un anno di interdizione dai pubblici uffici, misura che diventerà effettiva solo in caso di condanna definitiva, che spingono la premier ad affrontare “di petto” le toghe. Una Meloni che dimostra come altre volte in passato il suo garantismo “a targhe alterne”: acceso se un compagno di partito o partner di maggioranza viene assolto, vedasi il caso Salvini-Open Arms, spento quando i giudici colpiscono un esponente a lei vicino.
È il caso di Delmastro, con la premier che a caldo dopo la sentenza di condanna pronunciata ieri dal Tribunale di Roma si dice “sconcertata” per l’esito del processo. “Mi chiedo se il giudizio sia realmente basato sul merito della questione. Il sottosegretario Delmastro rimane al suo posto”, aggiunge la premier blindando il suo sottosegretario.
D’altra parte Delmastro di fare un passo indietro non aveva alcuna intenzione. “Non mi dimetto! Speriamo ci sia un giudice a Berlino”, aveva detto appena uscito dall’aula a piazzale Clodio. Poi rincara la dose in due interviste a Corriere della Sera e Repubblica, dice di essere “nel Guinness dei primati” perché è stato condannato “dopo tre richieste di assoluzione della Procura”. Poi il meloniano ci mette il carico, sostiene che “un segmento” della magistratura in questi anni “ha esondato”, citando “il processo Salvini, l’inchiesta su Meloni e gli altri ministri per il caso Almasri, le esfiltrazioni di atti segreti della Procura di Roma e il caso Palamara”.
Ma soprattutto, con un grande classico, evoca il complotto: “È un dato di fatto che il collegio fosse fortemente connotato dalla presenza di MD (Magistratura Democratica, corrente di “sinistra” dell’Anm, ndr) anche dopo la sostituzione di un componente avvenuta due udienze fa”.
Un attacco concentrico che è troppo da digerire per le toghe, che il 27 febbraio hanno proclamato uno sciopero contro la riforma della Giustizia targata Carlo Nordio, protesta confermato anche dal neo-presidente dell’Anm Cesare Parodi, pur appartenente alla corrente conservatrice Magistratura Indipendente.
È proprio la giunta centrale dell’Associazione nazionale magistrati che, dopo esser rimasta in silenzio a seguito della sentenza, lascia passare una notte di riflessioni per passare al contrattacco. L’Anm usa quasi paradossalmente lo stesso lessico della premier Meloni per difendersi della campagna del centrodestra contro i giudici romani, il sindacato si dice “sconcertato nel constatare che ancora una volta il potere esecutivo attacca un giudice per delegittimare una sentenza”.
Poi si rivolge al Guardasigilli Carlo Nordio: “Siamo disorientati nel constatare che il ministro della Giustizia auspica la riforma di una sentenza di cui non esiste altro che il dispositivo – prosegue l’Anm -. Sono dichiarazioni gravi, non consone alle funzioni esercitate, in aperta violazione del principio di separazione dei poteri, che minano la fiducia nelle istituzioni democratiche”.
Quindi risponde a Delmastro, che aveva citato Brecht per chiedere giustizia: “Per dimostrare l’inutilità della separazione delle carriere, basta osservare la vicenda processuale che si è conclusa con la condanna in primo grado del sottosegretario Delmastro. Alla richiesta di archiviazione del pm un giudice ha ordinato l’imputazione, ed alla richiesta di assoluzione di un pm il Tribunale ha pronunciato condanna. Questo dimostra, come l’ANM sostiene da sempre, che il pm può chiedere l’assoluzione, nonostante la sua carriera non sia separata da quella del giudice, e che il giudice non è succube del pm”, sottolineando che “per avere un giudice terzo non occorre andare a Berlino“.