L'uscita editoriale

Quando una scuola accogliente è un dono per la disabilità: “La vita ricca”, il libro di Massimo Balletti

«La mia storia non vuole essere emblematica» scrive Balletti. Invece lo è, eccome. Perché attraverso paure e squarci di luce che sembrano dover essere infiniti ci riconosciamo tutti

Cultura - di Susanna Schimperna

9 Febbraio 2025 alle 12:42

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Quando una scuola accogliente è un dono per la disabilità: “La vita ricca”, il libro di Massimo Balletti

La diversità arricchisce. La bellezza della diversità. O anche: la diversità non esiste. Chiacchiere. E usare neologismi come “diversamente abile” o “diversabile” non sistema le cose e non ci mette al riparo di coinvolgimenti pratici, concreti, quotidiani. Massimo Balletti, già direttore di riviste glamour come Playboy, Excelsior, Penthouse, ma anche ideatore di Familia e Vincere (sull’handicap), dopo aver raccontato la sua avventurosa vita ne Il principe dell’eros torna in libreria con La vita ricca-la mente, il cuore, l’amore (ed. Iacobelli), storia di suo figlio Raffaele, affetto da crisi epilettiche e difficoltà cognitive da quando era piccolo.

Una scena importante, una svolta: dopo aver scoperto che lo splendido bambino con gli occhi blu non è esattamente come tutti gli altri, e aver passato ore seduto al buio davanti alla scrivania, spalle curve per le fitte d’angoscia e una sola certezza «È finita», una notte di mezzo secolo fa lui, padre disperato, era caduto in un sonno profondo, e al risveglio si era ritrovato pieno di forza, coraggio, fiducia. Gli si apriva davanti la scommessa di un’esistenza tutta da inventare e costruire. «La mia storia non vuole essere emblematica» scrive Balletti. Invece lo è, eccome. Perché proprio attraverso disagi pesantissimi, cadute e rinascite, paure e squarci di luce che, molto più dei momenti di scoramento, sembrano dover essere infiniti, la scelta di «È come è» al posto di «È finita» indica un modello certo non ripetibile negli atti e nei luoghi, ma esemplarmente imitabile nell’essenza: procedere giorno per giorno, sì a tentoni, ma guidati dall’amore; imparare e insegnare ogni attimo, non dare nulla per scontato. Vivere più pienamente, alla fine.

Le tappe sono obbligate, tutte. Se Raffaele a un anno, lo stesso giorno del ‘69 in cui Neil Armostrong mette piede sulla Luna, muove i primi passi in un’osteria romana e dice anche «mamma» e «papà», poi smette di parlare, ed è un calvario tra un medico e un altro, una diagnosi assurda e un’altra, fino ad arrivare a Zurigo: epilessia e disturbi cognitivi. Nel frattempo, ci sono le reazioni delle persone intorno, c’è il mondo con i suoi pregiudizi culturali, l’imbarazzo, lo smarrimento: «Nei miei primi interlocutori trapelava generalmente voglia di distacco dal mio problema, e alcuni me lo facevano capire in vari modi. Chi con la finta aria di sufficienza con cui ascoltava i miei racconti, per sminuirne la gravità: “Le convulsioni? Sono comuni nei bambini piccoli…”. Altri con la fretta con cui si congedavano da me, con le occhiate di compassione facilmente decifrabili anche dal più insensibile dei padri, col tentativo maldestro di deviare la conversazione al bivio di altri argomenti». E però non c’era, non c’è solo questo. Nelle pieghe dell’indifferenza, della paura di essere coinvolti e di dover dare aiuto, «mi sembrava di individuare tracce di disponibilità che stimolavano ottimismo».

Una disponibilità, dunque, a volte persino inconsapevole. A fare. A esserci. Perché è nel fare che si capisce, si accetta, si superano difficoltà più temute che incombenti, e difficoltà mai immaginate ma che si presentano a sorpresa. A questo serve, da parte di chi ama e si prende cura di qualcuno che non risponde a schemi, operare la scelta. Di non farsi sopraffare dallo sgomento e dall’ignoranza, proprio nel senso del non sapere, e decidere invece di confrontarsi con un po’ di apprensione sì, ma anche con cuore e mente aperti, con un piccolo uomo a cui sembra che non si possano applicare i paradigmi conosciuti, e quindi va scoperto, compreso, guidato nella sua essenza, e senza che in questo processo ci sia qualcuno a guidare noi.

Un’altra tappa obbligata è l’inserimento scolastico. Con difficoltà cognitive e cristi epilettiche, ancorché rare e brevi, le scuole che Balletti interpella rispondono desolate di non essere attrezzate. Siamo a Milano nel 1972, non in uno paesino sperduto tra le montagne due secoli fa. Allora si tenta una visita alle scuole differenziate, confortevoli lager dove muore la speranza, e che oggi c’è chi vorrebbe far rinascere. A Zurigo, oltre alla diagnosi, Raffaele ha avuto un’indicazione incoraggiante, che al padre è apparsa non una diminutio o una condanna, ma un dono: il bambino può essere istruito per lavori pratici. Così dopo una scuola finalmente accogliente, dove il bambino si rivela socievole, pronto all’amicizia, pieno d’affetto e felice di riceverne, e dove comincia anche a parlare, Raffaele ragazzo seguirà una Scuola giardinieri e lavorerà, con un impegno quasi sacrale, assunto al Servizio giardini, con tanto di tessera di giardiniere del Comune di Roma che perderà spesso, perché spesso la tira fuori e la mostra, tanto ne è orgoglioso.

Un paio di dati: sono più di 13 milioni le persone oggi in Italia che hanno una qualche forma di disabilità (dunque circa il 22 per cento della popolazione) e soltanto il 32 per cento di chi è in età lavorativa ha un impiego. Possiamo dire che Raffaele è stato fortunato? Va al lavoro ponendo massima attenzione all’abbigliamento, è geloso delle sue competenze e del suo spazio professionale come lo è dei suoi oggetti, che raccoglie e conserva con precisione quasi maniacale, perché ha gusti, interessi, passioni che coltiva (conosce per esempio le automobili, sa dire marca e modello di quasi tutte), e poi è polemico, stizzoso, si offende e si adombra, borbotta e si scusa, ma dura tutto una manciata di minuti, perché di base è ironico, gioioso, la sua allegria è indomabile, incorruttibile, vince su tutto ed è davvero contagiosa: sono tantissime le persone, nel quartiere in cui abita e non solo, che al vederlo si illuminano e si professano suoi amici.

Altri ragazzi e ragazze, donne e uomini “non conformi” avranno diversi gusti, caratteri, personalità. Ma non certo specifici e legati alla loro – come si dice oggi? – diversabilità. «Loro tanto non capiscono”, e si fa un bel mucchio che comprende patologie di ogni tipo» scrive Balletti, che spiega così la sua scelta (perfetta) di interrompere ogni tanto la narrazione della vita del figlio per inserire fatti salienti di quello specifico anno: «Penso che escludere una parte svantaggiata di esseri umani dalle forme, dalle voci, dalle immagini e dalle espressioni della storia sia un oltraggio de un’ingiustizia». Già, perché “loro” vedono, ascoltano, sanno, partecipano. Se solo non li ostacoliamo. Se solo facciamo lo sforzo di non costringerli dentro gabbie che una volta erano di ferro e oggi sono metaforiche, ma ugualmente crudeli e insensate. Il grande psichiatra Ronald Laing, parlando dei malati di mente considerati incurabili, gli schizofrenici, disse che non era la loro mente a essere spezzata, ma il loro cuore, e che “Anche i cuori spezzati guariscono, purché si abbia abbastanza cuore da lasciarli guarire”.

9 Febbraio 2025

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