Il discorso in Parlamento 1977
Il discorso di Aldo Moro sul caso Lockheed: un grande esempio di cultura garantista
“Per tutte queste ragioni, onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, noi vi diciamo che non ci faremo processare”
Questo è un ampio estratto del discorso pronunciato da Aldo Moro 1’11 marzo del 1977 alla Camera dei deputati, durante la seduta comune del Parlamento chiamato a decidere se rinviare a giudizio o no l’ex ministro della Difesa democristiano Luigi Gui e l’ex ministro della Difesa e segretario del Psdi Mario Tanassi, sospettati di avere ricevuto delle tangenti per l’acquisto di alcuni aerei militari americani (gli Ercules) prodotti dalla Lockheed. Il Parlamento decise il rinvio a giudizio davanti alla Corte Costituzionale. Gui sarà assolto dalla Corte, Tanassi condannato a due anni e quattro mesi di carcere.
Una volta tanto non siamo legislatori, ma giudici (…). So con certezza, e sento acutamente, che siamo chiamati a mettere, ovvero a non mettere, in stato di accusa dei cittadini, siano o non siano essi ministri; a queste persone la condizione di accusati – se a tanto si deve arrivare – deriverà dalla nostra decisione, mentre per altri nelle medesime circostanze scaturisce da un atto della magistratura. Questa è la nostra responsabilità, disporre cioè, sia pure in modo non definitivo, della sorte di uomini, dell’onorabilità e della libertà delle persone, come accade appunto ai giudici il cui penetrante potere viene dalla legge appunto temperato e circondato di cautele.
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Alto e difficile compito è dunque il nostro, specie in presenza della diffidenza, del malcontento, dell’ostilità che, bisogna riconoscerlo, predominano oggi nell’opinione pubblica. Dinanzi ad un potere come questo, avendo nelle nostre mani il destino di altri uomini, anche la più piccola disattenzione sarebbe inconcepibile ed inammissibile. L’affidarsi a frammentarie notizie della lunga vicenda; il pensare che tutto sia stato già udito e compreso; immaginarci in una sorta di situazione obbligata, in una posizione di partito, in una ragione di disciplina; l’essere in una esigente corrente di opinione: tutto questo è in contraddizione, tutto questo è incompatibile con la funzione del giudicare, che il nostro ordinamento, con una scelta che può essere discussa ma non disattesa, ci attribuisce.
Abbiamo dinanzi degli uomini e dobbiamo saper valutare con lo stesso scrupolo, con lo stesso distacco, con 1o stesso rigore, quali caratterizzano esercizio della giurisdizione. Perché anche noi, pur con tutti il nostri dibattiti politici, siamo oggi, se non nella forma, nella sostanza, dei giudici. Lo siamo noi, come lo sono i nostri egregi colleghi dell’Inquirente. Un aspetto del giudicare, infatti, nella naturale dialettica delle posizioni, e l’accusare, il porre un carico di responsabilità, certo, sul piano strettamente giuridico, ipotetico; ma sul piano umano, già attuale, sopportato, pesante.
Questo è un momento, ed un momento essenziale, del processo (…). Non basta dire, per avere la coscienza a posto: noi abbiamo un limite, noi siamo dei politici, e la cosa più appropriata e garantita che noi possiamo fare è di lasciare libero corso alla giustizia, è fare in modo che un giudice, finalmente un vero giudice, possa emettere il suo verdetto. No, siamo in ballo anche noi; c’è un dovere di informarsi, di sapere, di decidere in prima persona.
(…) È quindi comprensibile che, come noi non possiamo rinunciare a compiere ora, in piena autonomia, con grande serietà il nostro dovere, neppure gli interessati possono, per superare un ostacolo politico, per approdare alla oggettività della giurisdizione, confessarsi degni di accusa e chiedere il rinvio al giudizio della Corte costituzionale. Se essi facessero così, se rinunciassero al dibattito, alla contestazione, alla dialettica di questa fase del processo, non soltanto compirebbero un lungo passo verso la condanna, ma verrebbero essi proprio a disconoscere la funzione illuminante e responsabile della pronuncia del Parlamento e ci esonererebbero indebitamente dalle nostre precise responsabilità. Dobbiamo dunque giudicare, formulare quel primo giudizio che si esprime in un atto di accusa, nel profilare, almeno come possibile o probabile, una responsabilità penale. La gravità di questo atto esige una adeguata motivazione.
(…) Ebbene, proprio in questo caso, con riguardo alla posizione del senatore Gui, del quale particolarmente mi occupo, non solo le prove non esistono, ma gli stessi indizi sono cosi labili, così artificiosamente costruiti, così arbitrariamente interpretati, da ritrarne la sensazione amara di una decisione pregiudiziale alla quale si è cercato di dare, con sottigliezza sofistica, ma lontanissima dalla soglia della credibilità, un sostegno di fatti ai quali dà significato illecito, mentre essi sono tutti inerenti all’ufficio ricoperto ed in questo ambito pienamente giustificati e, più che legittimi, addirittura doverosi. La relazione del senatore D’Angelosante è svolta con acuta intelligenza e pieno dominio dei dati del processo, ma e, mi sia consentito dirlo con tutto rispetto, piuttosto settaria. In realtà, ogni fatto riferito al senatore Gui – il più normale, il più comprensibile nella logica degli avvenimenti, il più giustificato nelle circostanze – acquista, nella maliziosa valutazione di quel relatore, la fisionomia di una diabolica macchinazione.
Chiunque conosca, e molti lo conoscono, di varie parti politiche, il senatore Gui da più di trent’anni, stenterà davvero a ritrovare la sua rude schiettezza, la sua perfetta dirittura, il suo senso innato del dovere e del servizio nella squallida e falsa immagine di tessitore di intrighi e di percettore di tangenti. E non è che io voglia sovrapporre – per forza di sentimenti, per istintiva solidarietà in questo momento di amarezza – il Gui protagonista e impegnato, all’immagine che, con palese forzatura, si ingegna di dargli il solerte accusatore. Certo, anche questi sentimenti ci sono, e noi vogliamo pure esprimerli in presenza di così incredibile vicenda, che riserva all’amico ed alla sua famiglia, così come all’onorevole Tanassi, il dolore di essere da tempo, e più che mai in questi giorni, nella impietosa cronaca dei giornali e della televisione, fatto oggetto di sospetti, di deformazioni, di illazioni, immerso nel frastuono della polemica politica, privato di quella serenità cui si ha diritto a conclusione di una vita spesa al servizio degli ideali democratici. (…). Ma non si tratta, dicevo, di solo sentimento. Si tratta della sconcertante constatazione che l’accusa è costruita sul vuoto, che i fatti sono le normali attività ministeriali, che proprio l’operazione, la quale si presume conclusa con illecite provvigioni, non si compie.
(…) Questi, onorevole Presidente, onorevoli parlamentari, sono i fatti quali emergono da uno scrupoloso esame e dei quali, a mio avviso il significato è chiaro.
(…) Questa situazione, però, non deve indurre ad offrire un colpevole, quale che sia, ad un paese inquieto ed impaziente. Se dobbiamo cogliere l’opinione pubblica, valutarne gli stimoli ed accentuare la nostra capacità critica, non dobbiamo, però, seguirla passivamente, ammiccare a lei, rinunziando alla nostra funzione di orientamento e di guida. Fare giustizia sommaria, condannare solo perché lo si desidera, offrire vittime sacrificali, ebbene, questo non sarebbe un atto di giustizia, ma pura soddisfazione di una esigenza politica. L’obbedire alla opportunità, benché la politica sia, in un certo senso, il regno dell’opportunità, non paga; colpire delle persone, senza che siano date rigorosamente le condizioni che ne giustificano e richiedono la condanna, è un atto di debolezza ed una violazione dei principi. Ed i principi sono, nel nostro ordinamento repubblicano, il rispetto della persona la libertà, se la legge non lo impone, dall’accusa e dalla pena (Applausi al centro).
Ciò vale sia se si tratti di ministri, sia se si tratti di semplici cittadini. Sono parimenti inammissibili una condizione di privilegio ed una condizione di pregiudizio, indistintamente, per tutti. Trasformare in reati atti di ufficio, finché ne sia obiettivamente dimostrato il collegamento con un fenomeno di corruzione, è una violazione dei diritti dell’uomo ed una distorsione dell’efficace svolgimento dei compiti amministrativi, altrimenti esposti ad essere sempre paralizzati. Più che un processo indiziario, questo è un processo fondato sui sospetti e sui pregiudizi. (Commenti all’estrema sinistra). Sono in gioco la libertà e, soprattutto, l’onore delle persone; e questo è un tema al quale il Parlamento è sempre stato estremamente sensibile. Perché mai dovrebbe dimenticare, oggi, questa alta ispirazione che gli fa onore? Perché dovrebbe cedere alla passionalità ed a non motivati orientamenti dell’opinione pubblica?
(…) Naturalmente, ho sensibilità politica quanto basti per comprendere quanto sia difficile, per taluni di noi, imboccare questa strada. So che occorre molto coraggio e la capacità di affrontare una certa misura di impopolarità, anche se noi pure siamo responsabili per aver lasciato sorgere e montare, per una ragione politica, per una ragione elettorale, per una ragione di opposizione, questa attesa. (…) Da tante parti, infatti, sono venute manifestazioni di insoddisfazione, e anche di profonda insoddisfazione, per il modo con cui sono regolate queste cose. Ed è emerso un certo orientamento (sul quale per altro occorre compiere una più approfondita valutazione) di trasferire una parte almeno di questi scottanti e pesanti doveri ad organi più idonei alla funzione del giudicare, nella quale sono presenti un abito mentale di obiettività e la possibilità di un’opportuna correzione nell’ambito stesso del sistema, la libertà dal sospetto, che invece, riconosciamolo, colpisce in larga misura noi, qualsiasi cosa noi facciamo. Sospetto di indulgenza o sospetto di severità, sospetto di insabbiamento o sospetto di persecuzione, sempre ovviamente indebiti. Da questi stati d’animo collettivi in nessun caso noi risulteremo indenni. C’è il rischio obiettivo di un’inammissibile politicizzazione e quello, altrettanto grave, che il nostro comportamento sia considerato inficiato da ragioni di parte, in una qualsiasi direzione.
(…) Incidentalmente, mi sia consentito dire che, con evidente eccesso, si è prospettato, sotto il profilo della moralità, il caso dell’Italia quasi fosse unico nel nostro pianeta. Ma conserviamo un certo realismo! Non facciamo gli altri sempre migliori di noi, per le nostre polemiche! È molto brutto che certe cose avvengano. Ma, onorevole Felisetti, che cosa si è fatto in America, per colpire certi implacabili corruttori a livello mondiale? Che cosa si èfatto in altri paesi, ove sono stati concessi generosi perdoni per colpe riconosciute e si è assistito a straordinarie rivincite elettorali?
Atteggiamenti pregiudiziali, rigide posizioni accusatorie, indisponibilità alla riflessione hanno caratterizzato purtroppo, e duole doverlo riconoscere, questo dibattito. Ma le cose sono state dette con qualche riguardo e con riguardo sono state ascoltate. Non c’è stato però riguardo in alcuni interventi, e penso, in particolare, a quelli degli onorevoli Pinto, Corvisieri e della parte radicale.
Mi sono domandato se ad essi dovesse essere data una risposta. Ed ho pensato che una risposta fosse opportuna innanzi tutto per esprimere il vivo rammarico per il modo grossolano ed irresponsabile con il quale sono state dette intorno al Capo dello Stato cose che offendono la verità prima che la persona alla quale, nel rispetto del paese, è stata affidata una così alta funzione.
In questi oratori, poi, il quadro dell’accusa si è, non occasionalmente, ma intenzionalmente dilatato, fino a toccare, al di là degli uomini, il partito che ha guidato per 30 anni l’Italia ed è ancora oggi, pur negli spostamenti di forza verso sinistra, in una posizione dominante e di alta responsabilità. Il suo potere non è espressione di regime; non nasce dalla coercizione, ma dal consenso, dalla profonda consapevolezza, nell’opinione pubblica, d’importanti valori e modi di vita da garantire e dell’inaccettabilità di talune globali proposte alternative.
(…) In questa posizione troviamo unita la democrazia cristiana ed intendiamo con essa difendere la democrazia cristiana nel suo insieme. Ci siamo divisi qualche volta, ma su cose minori, su cose opinabili. Quando però si è trattato di grandi temi, di grandi scelte, di grandi valori, noi non ci siamo divisi, ma semmai altri si sono divisi, a dimostrazione del fatto che obiettivamente, l’area della verità era più ampia della nostra personale convinzione. Difendiamo dunque uniti la democrazia cristiana. Non qualsiasi uomo della democrazia cristiana e qualsiasi momento della sua esperienza politica. Tutt’altro. Sappiamo discernere, fare la nostra critica, abbandonare, se è giusto, posizioni sbagliate. Ma questo non è il caso. Noi sappiamo che quest’uomo non merita di essere ulteriormente giudicato e non possiamo indurci a dire cose diverso da quelle che noi pensiamo. Non è dunque che non siamo capaci di rivedere le nostre posizioni.
Non si tratta, onorevole Felisetti, di un primato, quale che sia, della democrazia cristiana, il quale è del resto una fredda constatazione dei fatti, fatti importanti anche perché durevoli, il che dimostra che essi hanno non ragioni occasionali, ma radici storiche. Sì, teniamo ad un primato che sia anche di giustizia e di moralità nell’ambito di un sistema libero, nel quale i colpevoli, se siano veramente tali, possono essere esemplarmente puniti. Quello che non accettiamo è che la nostra esperienza complessiva sia bollata con un marchio di infamia in questa sorta di cattivo seguito di una campagna elettorale esasperata. Intorno al rifiuto dell’accusa che, in noi, tutti e tutto sia da condannare, noi facciamo quadrato davvero.
Non so quanti siano a perseguire un tale disegno politico, ma è questa, bisogna dirlo francamente, una prospettiva contraddittoria con una linea di collaborazione democratica. A chiunque voglia travolgere globalmente la nostra esperienza; a chiunque voglia fare un processo, morale e politico, da celebrare, come sì è detto cinicamente, nelle piazze, noi rispondiamo con la più ferma reazione e con l’appello all’opinione pubblica che non ha riconosciuto in noi una colpa storica e non ha voluto che la nostra forza fosse diminuita. Non accettiamo di esse- re considerati dei corrotti, perché non e vero. Anzi, vogliamo ricordare, senza pretesa certo di esclusività, alcune figure moralmente esemplari, molte figure, talune politicamente importanti, altre meno, ma delle quali è dire poco considerarle ineccepibili.
(…) sono gestioni di governo, nell’arco di tanti anni, assolutamente corrette ed innumerevoli amministrazioni locali esemplari per il loro rigore ed il loro impegno. Abbiamo certo commesso anche degli errori politici, ma le nostre grandi scelte sono state di libertà e di progresso ed hanno avuto un respiro storico, tanto che ad esse deve ricondursi chiunque voglia operare efficacemente nella realtà italiana. Certo un’opera trentennale, per la quale si realizza una grande trasformazione morale, sociale e politica, ha necessariamente delle scorie, determina contraccolpi, genera squilibri che debbono essere risanati, tenendo conto delle ragioni per le quali essi si sono verificati. Ecco perché al balzo in avanti innegabile di questi anni segue una crisi che deve essere diagnosticata con rigore e curata con coraggio. Ma essa non significa affatto che tutto fosse sbagliato, ma solo che vi sono stati eccessi ed errori, in qualche misura inevitabili, in questo processo storico. Esso ha avuto in complesso un’accentuazione personalistica, ma in un contesto comunitario.
Forse la sintesi di questi due momenti, l’urgenza delle cose, può sotto essere stata in qualche caso imperfetta, ma nessuno si illuda di tare a meno di queste due componenti, nessuno pensi di governare l’Italia senza rispettarle entrambe. E, come frutto del nostro, come si dice, regime, c’è la più alta e la più ampia esperienza di libertà che l’Italia abbia mai vissuto nella sua storia, una esperienza di libertà capace di comprendere e valorizzare, sempre che non si ricorra alla violenza, qualsiasi fermento critico, qualsiasi vitale ragione di contestazione, i quali possano fare nuova e vera la nostra società. Non si dica che queste cose ci sono state strappate. Noi le abbiamo rese, con una nostra decisione, possibili ed in certo senso garantite.
Per tutte queste ragioni, onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo sulle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare. Se avete un minimo di saggezza, della quale, talvolta, si sarebbe indotti a dubitare, vi diciamo fermamente di non sottovalutare la grande forza dell’opinione pubblica che, da più di tre decenni, trova nella democrazia cristiana la sua oppressione e la sua difesa.