La testimonianza dalla nave

A bordo della Humanity in scena l’antiterrorismo libico

Un gommone si avvicina ad alta velocità. Ha tre motori fuoribordo e uomini in mimetica con i volti mascherati, senza armi visibili. Si avvicinano al punto della nostra nave da dove è più facile entrare, il varco sul ponte attraverso il quale noi issiamo i naufraghi

Cronaca - di Nikolas von Kameke

29 Settembre 2024 alle 22:00

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Foto: Pietro Bertora
Foto: Pietro Bertora

Dal mio diario di bordo.

In realtà volevo raccontare come sono trascorsi gli ultimi giorni e le cose belle successe qui a bordo. Volevo raccontare che un marinaio, sulla base della foto scattata alla pinna dello squalo che abbiamo avvistato qualche giorno fa, l’ha identificato come una verdesca identificare: un animale maestoso. Volevo raccontare di un pesce volante che ho visto: come ha tagliato l’aria per dieci secondi, appena sopra la cresta dell’onda. E come è stato improvvisamente inseguito da un gabbiano mentre volava in aria, poi s’è tuffato in acqua e s’è salvato per un palmo. Abbiamo trascorso una serata in meraviglioso contrasto con la tensione degli ultimi giorni. O addirittura delle ore tranquille andando verso sud.

Ma poi le cose sono andate diversamente. L’altro ieri abbiamo navigato per circa 60 chilometri a nord della costa libica. Ci è arrivata verso sera una allerta per una richiesta di aiuto da una barca molto a nord di noi, nella zona di competenza italiana di ricerca i salvataggio (Sar italiana). Le autorità italiane non hanno risposto alla chiamata di emergenza quindi abbiamo lasciato la nostra area di ricerca e ci siamo diretti a nord. Fai tutti i preparativi per poter saltare sul gommone in un attimo, poi prova a dormire. Ci sono solo due membri dell’equipaggio in plancia e due sul ponte superiore. Ci diamo il turno al binocolo.

A volte nel buio mi sono svegliato e sentivo che le onde colpivano la nostra nave dall’altra parte. Quindi cos’è successo? Avremo cambiato rotta? In quel momento non era compito mio scoprire il motivo di tutto questo e io ho provato a tornare a dormire. Al mattino ho scoperto che dopo una lunga serie di contatti con l’Italia del nostro team legale, la guardia costiera italiana si è occupata dei soccorsi e siamo riusciti a invertire di nuovo la rotta per ritornare nella zona di mare deserta al largo della Libia. Tuttavia, le autorità italiane sono riusciti a allontanarci almeno per un po’ dall’area critica. Sanno che non lasciamo la barca in difficoltà a se stessa se riusciamo in qualche modo a raggiungerla. Quindi ripartiamo, di nuovo verso la Libia.

Lungo la rotta, sempre a circa 60 chilometri dalla costa, all’improvviso l’avvertimento: un motoscafo si avvicina ad alta velocità! E’ un gommone con tre motori fuoribordo e uomini in mimetica con i volti mascherati, senza armi visibili. Si avvicinano fino a a pochi metri dal punto della nostra nave dove è più facile entrare, il varco d’entrata sul ponte attraverso il quale noi facciamo i nostri salvataggi. Uno degli uomini ci chiama in modo molto amichevole. Sul ponte c’è uno di noi che parla bene l’arabo. Dicono che rimangono nelle vicinanze, offriamo acqua, dicono che non ne hanno bisogno. Ci hanno seguito per alcune ore da lontano finché non si allontanati. In base al distintivo sul loro motoscafo, li identifichiamo come unità antiterrorismo libica. Non mi sono del tutto abituato al fatto che i regimi classificati come terroristi nel mondo dispongono anche di unità antiterrorismo avere in uso. Abbiamo utilizzato l’episodio per capire come proteggerci da possibili abbordaggi. Il ponte è costituito principalmente da grandi finestre. È successo che le navi delle ong sono state abbordate dalle truppe libiche, ma è rimasto un tentativo di intimidazione.

***

Ieri mattina abbiamo saputo di una imbarcazione in difficoltà. Ci siamo avvicinati all’ultima posizione nota e si è sentita la chiamata “Ready for rescue, pronti al soccorso”. Ci siamo cambiati, la squadra Sar si è riunita sul ponte principale e su quello più grande. Entrambi i gommoni di salvataggio erano già in attesa sulla parete esterna della nave. Dopo circa 30 minuti di ulteriori ricerche, l’ostetrica che era lì sul ponte di vedetta, al turno al binocolo ha chiamato via radio. Ha riferito di aver visto l’imbarcazione in pericolo a circa quattro chilometri di distanza. A occhio nudo si vede una piccola macchia grigia, con il binocolo si vedevano braccia in alto e le onde che fanno dondolare la barca.

Caliamo entrambi i gommoni di salvataggio e ci avviciniamo il più rapidamente possibile, ci aspettiamo in qualsiasi momento visite paramilitari molto indesiderate. Nel Quando ci siamo avvicinati siamo riusciti a identificarla: era una barca di legno blu talmente piccola che la potresti usare per pescare da solo o in coppia. Era completamente sovraccarica, circa 30 persone. I primi momenti di un salvataggio sono spesso quelli decisivi: Bisogna guadagnare subito la fiducia e l’ascolto del gruppo di naufraghi in modo che rimangano calmi. Il buon controllo della folla ha spesso deciso l’esito del salvataggio. Troppa eccitazione, litigi per ottenere il primo posto sul gommone di salvataggio: è difficile da evitare il panico. Ciascuno dei diversi tipi delle barche dei migranti comporta diversi rischi: queste strette barche di legno pescano poco e tendono a capovolgersi rapidamente. Giriamo intorno alla barchetta sovraccarica per valutare la situazione, scopriamo che il motore troppo piccolo non funzionava più, se ne era perso un pezzo.

In questo caso i naufraghi sono stati molto calmi e hanno subito seguito le nostre istruzioni. Ciò che mi ha attraversato il cuore e l’anima è stato il pianto di un bambino. Non ci sono ancora riuscito ad abituarmi, anche se l’ho sperimentato più volte. Poche cose sembrano sbagliate come questa piccola persona, su una barca così pericolosa, così sola in mezzo al mare. Come sempre, prima abbiamo distribuito i giubbotti di salvataggio e poi abbiamo preso le persone una per una altri sulla prua delle nostre scialuppe di salvataggio nel nostro rifugio. Prima abbiamo portato a bordo le madri e i bambini, poi il resto è andato liscio come pianificato e fatto molte volte. Contrassegniamo la barca con la data e il numero del distress case e ci dirigiamo verso la nave. Un altro momento critico è far salire i naufraghi a bordo della Humanity 1: l’ingresso è a circa due metri sopra l’acqua, il bordo del nostro gommone di salvataggio è solo di una sessantina centimetri di altezza.

Oggi il vento era forza 3 o 4, le onde erano alte circa 1 metro, abbastanza accettabili. All’inizio il varco per issare ciascun naufrago è sempre all’altezza dei miei occhi e due o tre secondi dopo di nuovo due metri sopra di me. Il conducente del Rhib spinge lateralmente la prua del nostro gommone di salvataggio contro la parete della nave con tutta la forza e cercando di non scivolare avanti o indietro in modo che la scala di corda accanto a me rimanga in posizione. Stando davanti alla prua, do il comando quando arriva il prossimo sopravvissuto.  Mentre provo a riprendere le onde tra il nostro gommone e la fiancata d’acciaio della nave, in caso di dubbio bisogna tenere entrambe le mani sui fianchi della persona soccorsa il più a lungo possibile per potergli dare la spinta finale o riportarlo sul gommone. Questa volta è andato tutto bene. Le persone stanno bene e non hanno problemi medici acuti problemi e non ho perso nessuno lungo la strada.

Ci sono 28 sopravvissuti, tra cui tre donne – una incinta – e tre bambini. All’improvviso il centro di controllo italiano del soccorso in mare (Mrcc Roma) diventa molto rapido e ci assegna un Porto sicuro per: Marina di Carrara nel nord Italia, a 1.300 km di distanza. L’assegnazione di porti lontani è un metodo attuale dell’Mrcc per impedire alle navi di soccorso di lavorare. D’ora in poi saremo praticamente un burattino nelle mani del Mrcc Roma: Non possiamo più fare un cambio di rotta senza prima ottenne il permesso da Roma per farlo. Con leggi pensate apposta per noi soccorritori civili in mare. Il governo italiano metterà agli arresti la nostra nave in caso di violazioni di queste norme e lo ha fatto in passato già fatto.

Se il fermo della nave si ripete, la nave può anche essere confiscata secondo queste norme, anche se ciò è contrario al diritto internazionale Giusto, ma quando queste cause legali verranno esaminate, la nave sarà già pronta per la demolizione. Perché poche centinaia di tonnellate di acciaio, seppure verniciato, non dura a lungo senza possibilità di manutenzione. È pazzesco, con questa nave, che è per centinaia di persone dover tornare dalle acque internazionali di fronte alla Libia fino nel nord Italia per 28 persone. Ho dovuto sperimentare in prima persona gli effetti di queste normative: quindi da ieri pomeriggio siamo in viaggio verso il nord Italia.

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Dopo il salvataggio mi sono messa dei vestiti asciutti e ho mangiato poco, ho fatto un altro turno di guardia perché finché saremo ancora nell’area delle vie di fuga dei migranti, continueremo a tenere gli occhi aperti. C’è nebbia, la visibilità è solo di circa 10 km e il vento è aumentato, lo stabilizzatore d’immagine era inserito. Non riesco a tenere il binocolo perché mi tremano troppo tra le mani. All’improvviso vedo la sagoma di una nave più piccola, probabilmente a 8 km di distanza. Era a dritta, all’angolo dal nostro lato destro. Ho informato il ponte via radio: non esisteva nella rilevazione dei radar.

Questa informazione aumentava notevolmente la probabilità che si tratti di una barca di migranti, perché i gommoni sono spesso difficili da rilevare anche con i nostri buoni radar. Quindi niente potrebbe essere più ovvio che cambiare rotta di 90° a dritta e vedere di cosa si tratti. Ma no. L’Italia non ci dà via libera esplicito. No, se non vogliamo rischiare di ritrovare la nostra nave ferma in porto bloccata per almeno 20 giorni, come è già successo. Pochi minuti dopo ho perso la barca, di nuovo fuori dalla vista, semplicemente scomparsa nella nebbia. E-mail inviate in tempi record e l’Mrcc Roma nuovamente informato telefonicamente dei suoi obblighi. Quindici minuti, minuti cruciali.

Io invece mi sono inginocchiato sul ponte superiore con il binocolo agli occhi e i gomiti appoggiati alla ringhiera: come potevo essere così vicino e allo stesso tempo così impotente?! Tanta rabbia, tanta disperazione, tanta incredulità. Adesso sono qui, sono qui perché questi sentimenti mi hanno portato qui, dotato di tutte le attrezzature e di tutte le competenze di cui c’è bisogno – e posso fare altrettanto poco come dal divano di casa. Poco dopo un altro cambio di rotta e percorriamo una striscia di ricerca parallela a quella precedente Corso. Fisso la nebbia con tutto ciò che riesco a raccogliere, cercando di darle forma. All’improvviso la ritrovo, vagamente visibile, ma questa volta un po’ più vicino. L’ufficiale del Bridge decide: molto probabilmente è una piccola nave di servizio per una delle tante piattaforme libiche di trivellazione petrolifera intorno a noi.

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L’ultima riga l’ho scritta ieri sera, mentre ero di guardia sul ponte. Avevo appena scritto le ultime parole e volevo aggiungere qualcosa quando alle 02:00 la radio: “Tutto l’equipaggio, tutto l’equipaggio, preparatevi a salvare!”. Pochi minuti eravamo tutti lì pronti e assonnati . Ciascuno con il suo compito specifico in questa situazione. Ma forse ne parleremo più avanti, perché la notte scorsa ho dormito poco. Manca mezz’ora a mezzanotte, sta per iniziare il turno di guardia notturno sul ponte, voglio mangiare qualcosa prima. Oltre alla sala mensa, c’è una piccola cucina per l’equipaggio: la “Dispensa.” La cosa più interessante è accanto al frigorifero, alla macchina del caffè e al muesli al cioccolato: un tostapane per i panini.

Regola ferrea: lo si può accendere solo rimanendovi accanto perché la questione degli incendi sulle navi è maledettamente seria. Bene, è sera tardi dopo tante ore di privazione del sonno: alcune regole consentono un po’ più di margine di manovra. Quindi sono seduto proprio di fronte ala porta della dispensa e mi dedico agli avanzi dell’insalata di pomodori di ieri. All’improvviso: un odore familiare e minaccioso. Salto nelo spazio dispensa, tutto pieno di fumo. Spengo rapidamente la macchina per i sandwich e salvo la mia tortilla croccante. Fortunato. Appena esco dalla porta noto che qualcosa non va. L’aria condizionata non funziona più, per me faceva semplicemente troppo freddo e faceva un rumore fastidioso. Silenzio? Dannato. Dal corridoio sento un clic rivelatore e poi un ronzio: i magneti che fanno scattare la chiusura delle porte tagliafuoco in tutta la nave. Il mio collega che mi ha incontrato mi guarda con gli occhi spalancati. Fanculo. Quanti secondi ho? Sto straccando tutto. Radio: “Ponte, Ponte, da Niko. Non c’è NESSUN fuoco nella dispensa, NESSUN fuoco nella dispensa! Solo fumo, solo fumo, solo fumo!” Dopo interminabili secondi di attesa che si spengano le sirene antincendio, una voce assonnata risponde: “OK, controllo…”.

Subito dopo: un altro salvataggio. E ogni volta che ne salvi alcuni rifletti su quanto in mare la fortuna sia arbitrarie, le cose peggiori succedono lontano dagli occhi che osservano, tutto può accadere e tutto non si saprà mai. Un’altra richiesta di aiuto nel nord di questa stessa zona Sar libica. Era più o meno esattamente sulla nostra rotta verso il nord Italia. Dopo le consuete trattative, l’Mrcc di Roma ci ha permesso di fare il soccorso. Circa 40 persone in pericolo di naufragio in mare. E non era nemmeno stavolta il mare il responsabile.

(2/CONTINUA)

di: Nikolas von Kameke - 29 Settembre 2024

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