Gli effetti collaterali
Armi all’Ucraina, Salvini e Meloni divisi per finta: per Pd e M5S invece i guai sono seri
Al di là dei proclami, Lega e compagnia si accoderanno come sempre alle posizioni atlantiste della premier. Nel campo largo invece c’è un solco
Politica - di David Romoli
A Budapest Salvini e Orban concordano sulla “urgenza di fermare il conflitto in Ucraina”: sarebbe una ovvietà se non significasse indicare una linea opposta a quella votata il giorno prima dal Parlamento europeo. Nelle stesse ore infatti von der Leyen garantisce un nuovo prestito di 35 miliardi, coperto dagli asset russi sequestrati, a Kiev. La Lega del resto aveva votato contro quella risoluzione e dubbi ne circolano a valanga anche in FI, solo una piccola parte dei quali si è tradotta in voto a Strasburgo. Granitica, nel centrodestra, è solo FdI e la cosa va a tutto vantaggio di Giorgia che, dopo essersi conquistata l’ingresso nei salotti buoni di Bruxelles e Washington grazie alla svolta atlantista, fa il figurone della leader di destra capace di tenere a bada le pulsioni antibelliche della sua coalizione. Rendita di posizione garantita.
Dall’altra parte del confine politico stanno messi peggio. Anche lì le posizioni sono divaricate: molti astenuti ma i 5S, come la Lega hanno bocciato in blocco la Risoluzione pro-Ucraina. Il Pd poi è proprio imploso: solo tra gli eurodeputati si contano 8 posizioni diverse e scusate se è poco. Insomma, nessuno può scagliare la prima pietra e tanto meglio per tutti. Almeno in apparenza. Solo che l’apparenza inganna e la simmetria è posticcia o quanto meno in attesa di verifica concreta. A destra le divisioni nella chiacchiera e nei comunicati roboanti sono inoffensive. La Lega si è sempre puntualmente piegata al momento del voto e lo farà ancora, non avendo alcuna intenzione di rovesciare il banco per poi non sapere dove andare. Per la premier è tanto di guadagnato, non agli occhi degli elettori la cui scelta è pochissimo orientata dalla questioncina delle guerre, ma a quelli, per molti versi persino più importanti della Ue e della Nato. Non è mica un caso se in un modo o nell’altro in politica estera alla fine l’underdog incassa sempre e si trova di fronte solo porte spalancate.
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A sinistra la faccenda è diversa. Magari a conti fatti e se si trovassero al governo invece che all’opposizione Conte e Fratoianni si comporterebbero come Salvini, classico can che abbaia. Però magari no e si sa che per la sinistra passare sopra a divisioni del genere è molto più ostico. Si sa anche quanto sospetto gli alleati nutrano nei confronti di Conte e chi non ne fosse convinto dovrebbe solo ripensare alla vicenda sciagurata della crisi del governo Draghi, provocata proprio dal tentativo di spingere ai margini i 5S, e poi della mancata alleanza che ha regalato non una vittoria ma un trionfo alla destra. Le cose non sarebbero andate allo stesso modo se non ci fossero state di mezzo l’Ucraina e la convinzione di Bruxelles e dell’Alleanza atlantica che quel Conte fosse meglio perderlo che trovarlo.
Il quadro che si configura di conseguenza è per il Pd una trappola micidiale, anche se destinata a scattare più avanti nel tempo, quando si avvicineranno le elezioni o eventualmente dopo averle vinte. In nessun caso infatti il Pd può permettersi di assumere posizioni in contrasto con la Ue e la Nato. Il formicaio impazzito di Strasburgo due giorni fa dice chiaramente che il partito non reggerebbe allo stress e stavolta si tratterebbe di esplosione. Quello che oggi, dagli spalti dell’opposizione, appare come un problema certo serio, ma non esiziale né davvero urgente, tanto che di fatto nessuno neppure pensa a come affrontarlo, può diventare prima o poi drammatico. Perché se per tutti è molto difficile arrivare al governo e restarci con Ue e Nato contro, per il Pd è proprio impossibile.
Al momento la linea adottata da Elly per affrontare la spinossissima questione non va oltre la speranza che nel mondo e in Ucraina le cose, quando si entrerà in area elezioni, si siano calmate. È anche vero che, come ammettono sconsolati al Nazareno, provare a sciogliere il nodo sarebbe oggi una fatica inutile e forse controproducente perché in nessun caso Conte può rinunciare a quella che è diventata la principale caratterizzazione del suo altrimenti del tutto “normalizzato” Movimento, appunto il pacifismo e il dissenso sulle armi all’Ucraina. Ma è anche vero che far finta che i problemi non esistano non è mai stato di grande aiuto per nessuno e in particolare non lo è mai stato per il centrosinistra che proprio su questa abitudine è andato già a sbattere più volte.