Il messaggio del Pontefice

Papa Francesco e il suo viaggio tra i dimenticati del mondo

Papa Francesco propone nella sua geopolitica, un mondo che superi etnocentrismi e fanatismi, senza per questo rinunciare alle proprie specificità.

Editoriali - di Dorella Cianci

17 Settembre 2024 alle 19:30

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Papa Francesco e il suo viaggio tra i dimenticati del mondo

Generalmente chi grida al mondo di star “facendo la storia”, la grande Storia, non la fa davvero, si illude di tesserla. Ci sono poi gesti che attraversano autenticamente il nostro tempo, che ne lasciano prima un segno silenzioso e poi messaggi dirompenti, come il viaggio del pontefice lungo una parte dell’Asia e dell’Oceania. Papa Francesco, durante il suo viaggio apostolico, appena concluso, ha visitato luoghi spesso dimenticati dall’“imperialismo” occidentale: una cittadina di dodicimila abitanti alle porte della giungla, a Papua Nuova Guinea. Non solo. Ha celebrato una messa di fronte a una marea di fedeli a Dili, quasi la metà dell’intera popolazione di Timor Est, che conta circa 1,3 milioni di abitanti. In dodici giorni ha percorso quasi 33 mila chilometri.

In queste aree Francesco ha parlato di giustizia sociale, di attenzione alla cura del pianeta, di migranti, di uguaglianza, di attenzione all’etica nella politica globale e, soprattutto, di pace. E dove ha fatto questi discorsi se non in punti della Terra che – nei secoli – si è pensato solo a marginalizzare dentro la categoria preconfezionata della “distanza”? Nel viaggio del Papa troviamo almeno tre elementi, che si impongono alla nostra analisi: innanzitutto l’attenzione al dialogo interreligioso, poi lo sguardo rivolto a popoli dove il cattolicesimo è in fermento e crescita, e infine la “circumnavigazione” intorno alla Cina, per continuare a stabilirne decisivi contatti diplomatici. Che grande lezione offre Francesco alla politica contemporanea mondiale, che utilizza spesso toni di sopraffazione e imposizione sull’altro!

Il magistero di Francesco

Viene così alla mente un giorno di maggio, dello scorso anno, con padre Antonio Spadaro, il quale presentava un volume dal titolo Il magistero di Francesco, tradotto in lingua cinese. In quell’incontro emerse, con molta chiarezza, la visione geopolitica dell’attuale vescovo di Roma: Bergoglio sta esprimendo grande attenzione per la Cina, per il suo popolo, la sua antichissima civiltà e la sua eccezionale cultura. Già nel 2023, durante il viaggio in Mongolia, aveva colpito questa dichiarazione dei vertici cinesi: “La Cina è pronta a continuare a lavorare con il Vaticano per impegnarsi in un dialogo costruttivo, migliorare la comprensione, rafforzare la fiducia reciproca”, aveva detto il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin. “Pechino è preparata a promuovere costantemente il processo di miglioramento delle relazioni tra i due Paesi”, ha aggiunto, poi, il ministro degli Esteri, Wang. E, in fondo, questo messaggio è emerso anche nell’attenzione, di queste ultime ore, in particolare a Singapore, una delle città più cosmopolite del mondo e densa di genti, fra cui cinesi.

Il messaggio di Papa Francesco

E che cosa ha detto Papa Francesco rivolgendosi a quei popoli, ma anche, implicitamente, agli Stati Uniti che vanno verso delicatissime elezioni e a un’Europa, che sempre più dimentica i suoi valori fondanti? Ha parlato di pace, accoglienza e dialogo, lanciando anche un messaggio implicito alla Russia, che vive immersa fra Europa e Asia: “Ciò che abbatte i muri e accorcia le distanze non sono gli ideali e le teorie, ma la pratica umana dell’incontro”. Accanto a questo viaggio di Bergoglio sarebbe utile rileggere un’opera – quasi dimenticata – dello storico olandese Jan Romein, uscita in Italia alla fine degli anni 60, per i tipi di Einaudi, Il secolo dell’Asia. Imperialismo occidentale e rivoluzione asiatica nel secolo XX. L’impostazione del testo, così come interpretata in passato da Arnaldo Momigliano, è quella di un “marxismo liberale”, che cerchi di individuare i grandi problemi della storia delle società tutte e delle civiltà, mettendo i popoli in connessione, senza l’etnocentrismo esclusivamente occidentale. Romein, decisamente poco apprezzato dagli storici italiani, ci ha lasciato uno sguardo di unificazione della conoscenza storica comune, superando le barriere dei nazionalismi e delle religioni.

L’unità nella diversità (formula della cosiddetta “storia generale” di Romein) la ritroviamo applicata da papa Francesco non sotto i canoni del “marxismo liberale”, bensì sotto la declinazione del dialogo e della carità. Sono dunque maturi i tempi che accettano i grandi mutamenti della storia dell’Asia, che cammina sulle proprie gambe senza contrapporsi o sottomettersi all’Occidente? Papa Francesco propone non un ideale, ma uno sforzo concreto verso un’umanità che non abbia solo “i mezzi per non morire, ma i mezzi per vivere”, come disse il primo presidente dell’Indonesia, Sukarno. I tempi dovrebbero essere maturi, eppure le incertezze, le asperità e le prevaricazioni sono ancora tante. L’impostazione di papa Bergoglio, invece, ci porterebbe ben lontano da quel mondo polarizzato emerso nelle parole di Trump, nel confronto televisivo con la Harris. Ben pochi hanno commentato una frase: Trump vede un mondo dove l’America competa con la Cina, disinteressandosi del resto e l’Europa cerchi di cavarsela dall’idee fagocitanti della Russia. Che visione stantia e divisiva! Francesco propone, invece, nella sua geopolitica, un mondo che superi etnocentrismi e fanatismi, senza per questo rinunciare alle proprie specificità.

17 Settembre 2024

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