Il dibattito

L’amichettismo è di sinistra, la destra di Meloni coltiva il familismo

A dispetto delle critiche al campo progressista, Meloni e compagnia hanno occupato tutto l’occupabile sulla base di un amichettismo familistico, che però rinuncia alle supposte pretese etiche di quello originale

Editoriali - di Fulvio Abbate

17 Settembre 2024 alle 18:30

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L’amichettismo è di sinistra, la destra di Meloni coltiva il familismo

A proposito di amichettismo. In molti nelle ultime settimane, non necessariamente prossimi politicamente alla mia persona, hanno rimarcato che quel neologismo ormai prosaicamente diffuso nella discussione politica, destinato a restituire, si sappia, un’attitudine propria dei contesti “di sinistra”, giunge da chi scrive, ed è stato accolto perfino dalla Treccani. Sull’A. ho argomentato, si sappia ancora, in un pamphlet scaricabile gratuitamente dalla rete.

Peccato che alcuni, non meno riferibili a un insieme “di sinistra”, hanno cura di ometterne la fonte. Piace immaginarli sprovvisti di uno specchio. In molti casi, credo si tratti di chi, probabilmente assenti alle forme del pensiero individuale libertario – “Mi rivolto, dunque siamo”, scrive Albert Camus – sempre ritenendo la mia persona “ingestibile” (sic), trovi indicibile che si possa essere, come sempre dico, “stronzi in proprio, e non per conto terzi”. A dispetto della cupiditas serviendi, attitudine non meno presente nell’area, diciamo, “progressista”, non sono mai riusciti nell’intento di cancellarmi, come ho appena detto, subalterno, forse pure servile.

Secondario in questa storia che Giorgia Meloni, su suggerimento di Pupi Avati (che tuttavia ha sempre cura di attribuirla all’autore) l’abbia fatta da tempo propria, forse per legittimare l’occupazione delle istituzioni politiche e culturali da parte della sua destra circoscrizionale, da parte del suo gruppo di famiglia in un interno governativo. Vero che le parole appartengono a chiunque voglia farle proprie, si spera tuttavia senza tradire significante e significato originari. Singolare avere notato tempo fa che “amichettismo” svettasse come titolo in una puntata di Otto e mezzo di Lilli Gruber, su La7, avendo lì in studio chi proprio quel lemma mi aveva suggerito, riflettendo su un contesto spettacolare romano che ha nella complicità amichettistica nutrita di emoticon il proprio cardine, il perno fisso.

Dovrebbe, invece, essere chiaro a chiunque che la destra coltiva semmai l’incancellabile familismo tribale. L’amichettismo mostra invece una impropria pretesa etica, complicità in nome di una presunta necessità “civile”, dove il tratto individuale resta tuttavia cancellato, mi cito, da una “massoneria d’autore in Birkenstock”. L’obiettivo? Avere controllo esclusivo del territorio mediatico, spettacolare, letterario, artistico, cinematografico, editoriale, televisivo, radiofonico, festivaliero “di sinistra”, facendo propria, nonostante ogni travisamento intellettuale, il principio della “vocazione maggioritaria” con l’intento sistematico, ancora tra dieci, cento, mille emoticon, di negare spazio a chi dovesse rispondere al proprio estro, da essi non riconosciuto, anzi, vidimato. L’A. segna il trionfo della medietà ancora “d’autore” affermata come virtuosa.

A dispetto dell’analfabetismo civile e intellettuale della destra populista che affida ai selfie gli strumenti del consenso, tra le ragioni principali della dissoluzione apparente della sinistra, percepita nella sua supponente “antipatia”, temo si possa riscontrare proprio questa condotta para-mafiosa. Il “mio” pamphlet sull’A. si apre con una dedica: “Alle ragazze e ai ragazzi che non hanno amici”. Le bandiere della sinistra dovrebbero innanzitutto sventolare proprio per questi ultimi.

17 Settembre 2024

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