L'anniversario della scomparsa

“Uccellacci uccellini”, il “Migliore” riparte da qui: i 60 anni dalla morte di Togliatti

Pensieri che vengono guardando la sua tomba al Verano, a due passi dalla tangenziale. I funerali dipinti da Guttuso, il film dei Taviani e poi Pasolini

Editoriali - di Fulvio Abbate

25 Agosto 2024 alle 12:39

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“Uccellacci uccellini”, il “Migliore” riparte da qui: i 60 anni dalla morte di Togliatti

Le ceneri di Togliatti. Così le chiameremo. Per assonanza politica e forse perfino poetica con altre ceneri, gramsciane. Ceneri, ciò che resta di una memoria, di una storia che suggeriva a sé stessa di “venire da lontano e andare lontano”. Le ceneri di Togliatti, ora. Sessant’anni dopo. L’estate del 21 agosto 1964, l’estate del 21 agosto 2024… I puntini di sospensione del tempo ancora.
L’attesa, nella mattina vinta dall’afa romana, silenzio tutt’intorno, il silenzio e la quiete che assediano il “famedio” del Partito comunista italiano, perso nella pace apparente del cimitero monumentale del Verano di Roma.

L’architetto Gualtiero Costa, che lo ha progettato nei primi anni 70, ha immaginato raccolti, lì, tutti insieme, le spoglie, meglio, i nomi smerigliati dei dirigenti comunisti. Tutti. Assenti soltanto Gramsci e Berlinguer, assenti per volontà familiare. L’ultimo loro domicilio postumo conosciuto. I fiori rigorosamente di plastica, vietata l’acqua, così da negare nutrimento alle zanzare. “Denti” di cemento che sembrano spingersi fuori dalla terra della memoria, una Stonehenge laica che non interroga il cielo, ne suggerisce piuttosto “l’assalto” mancato. Proprio tutti lì. Pietro Secchia, Giuseppe Di Vittorio, Camilla Ravera, Luigi Longo, e ancora Mario Alicata, Luciano Lama, Mauro Scoccimarro. Il primo “dente” mostra nome e presenza di Palmiro Togliatti, sullo stesso è stato poi aggiunto il nome della sua compagna, Nilde Iotti.

Dieci anni fa, in occasione del cinquantenario, davanti al famedio era ancora presente Emanuele Macaluso, un berretto lo riparava dall’immancabile sole del feroce agosto, giunto a portare testimonianza e memoria “togliattiana”. Una storia corale che, forse, Pier Paolo Pasolini, con doveroso disincanto poetico, chiamerebbe, nella grazia “civile” dei suoi versi: “Dopostoria”. Anche Macaluso è giunto a riposare tra gli altri nel frattempo. Il silenzio e l’attesa. Nell’estate del 2024 ci guardano da lontano, irraggiungibili, i giorni ancora in bianco e nero dei funerali di Togliatti, i pugni chiusi sollevati tra le bandiere, i volti, le lacrime, i gesti del cordoglio popolare e militante che i Taviani hanno incastonato in un film intitolato con altrettanto smarrimento I sovversivi, così come Renato Guttuso nella sua grande tela omonima, e Pasolini ancora in Uccellacci e uccellini, dove “il viaggio è finito e il cammino incomincia adesso”, e su tutto resta una domanda: “Dove va l’umanità?”. La risposta è solo un grande “Boh?”.

Ugo Sposetti, tesoriere di quella memoria, ha avuto cura di offrire ai presenti, pochi, silenziosi, una brochure dove il volto di Togliatti si mostra sorridente in copertina, gli stessi occhiali dei giorni della sua fine a Yalta, il principe di Galles professorale, il distintivo partigiano del Corpo Volontari della libertà all’occhiello come una commenda. Si è detto, ormai è la Dopostoria. Marisa Malagoli Togliatti, figlia adottiva di Palmiro Togliatti e Nilde Iotti, racconta le imprecisioni di un servizio giornalistico, dove proprio Togliatti lo si narra alla guida di un’auto per recarsi il 2 giugno a votare per il Referendum monarchia-repubblica. Aggiunge: “Togliatti però non guidava, non aveva neppure la patente, e allora abitava a piazza del Popolo, e a Montecitorio andava a piedi…”. Le zanzare, i cipressi, l’ombra.

Alberto Bruni, custode del famedio dopo la scomparsa del titolare storico Peppe Zucconelli, mi racconta delle luci fioche all’interno della cripta circolare, e di una malaugurata infiltrazione, del minuto mantenimento delle aiuole tutt’intorno, e anche questo diventa presto un compendio ulteriore della Dopostoria. I cellulari documentano ora la presenza dei “compagni” e delle “compagne” che hanno trovato la strada per raggiungere il Verano, l’ingresso di Portonaccio, un attimo ancora ed è già la Tangenziale Est, Roma, il suo indistinto urbano. Sotto il “dente” che reca il nome smerigliato di Togliatti un cuscino di rose rosse dell’Associazione Enrico Berlinguer. Il peso del tempo, lo smarrimento, la memoria. Togliatti, un volto nel vento della dimenticanza; e chissà come lo racconterebbe, lo restituirebbe adesso dall’Intelligenza artificiale, il famedio in verità rende omaggio agli stilemi architettonici degli Etruschi, come questi ultimi anche la memoria di Togliatti appare sempre più lontana, remota. Mentre faccio ritorno a casa mi risuona in mente una sola frase, spettrale: il mattino ha Togliatti in bocca. L’oro del suo tempo sembra ormai perduto.

25 Agosto 2024

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