I gruppi parlamentari Ue
Parlamento Europeo, Meloni e Salvini ai margini: esclusi da tutto
Popolari, socialisti e liberali non lasciano neanche uno spazietto alle destra. I patrioti esclusi da tutto, i conservatori trattati da questuanti
Politica - di David Romoli
I eri i gruppi parlamentari della cosiddetta “maggioranza Ursula”, cioè Popolari, Socialisti e Liberali, hanno ipotizzato una prima spartizione, ancora passibile di modifiche, dei ruoli istituzionali a Strasburgo. Le caselle, vicepresidenze del Parlamento e presidenze delle Commissioni parlamentari, non sono ancora del tutto certe, qualcosa potrebbe cambiare ma sul punto chiave la scelta è già definitiva: ai Patrioti, il neonato gruppo sovranista di destra del quale fa parte, con Orbàn e Le Pen anche Salvini, non spetterà niente, nonostante si tratti del terzo eurogruppo più numeroso. In gergo a Bruxelles e Strasburgo si dice che sono “cordonati”: recintati cioè da un “cordone sanitario” che non permette loro di ricoprire alcun ruolo istituzionale.
Alla vigilia il neonato gruppone non nascondeva la speranza di forzare, in virtù del numero elevato di europarlamentari aderenti, la gabbia che nelle scorse legislature aveva lasciato i sovranisti a becco asciutto. La delusione è arrivata a stretto giro, confermata dal presidente del Ppe Manfred Weber: “Persone che vanno contro il progetto europeo e le istituzioni europee non possono rappresentare il Parlamento europeo”. Nel ghetto. I Conservatori, il gruppo di Giorgia Meloni, invece è degno di rappresentare le istituzioni europee. A Ecr spetta una presidenza di commissione: doveva essere quella sulle Libertà civili ma grazie a uno spostamento dell’ultima ora sarà invece l’Agricoltura e avranno anche, quasi certamente, una vicepresidenza. Non è un bottino di prima classe, anche se l’Agricoltura è in realtà una commissione chiave, ma non è neppure il cordone sanitario. E’ un’indicazione sia pur non decisiva. Un altro segnale arriverà dall’agenda degli incontri della candidata alla ri-presidenza della Commissione europea Ursula von der Leyen in vista del voto del 18 luglio a Strasburgo, la vera prova della verità.
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Oggi la presidente uscente e ansiosa di rientrare vedrà i Liberali di Renew e i Verdi mentre un appuntamento con i Conservatori non è ancora stato fissato. Se dovesse essere evitato, prendendo alla lettera il diktat dei Socialisti e dei Liberali contrari a ogni trattativa con i Conservatori, lo schiaffo sarebbe ancora più sonoro e per Giorgia Meloni più umiliante della spartizione dei posti chiave decisa senza neppure una consultazione di cortesia. L’incontro con i Verdi potrebbe avere un impatto altrettanto forte sulla difficile scelta che aspetta Giorgia Meloni. Ursula ha bisogno di una rete di protezione che la metta per quanto possibile al riparo dagli agguati dei franchi tiratori interni alla sua “maggioranza” nell’arena di Strasburgo, il 18 luglio. Dato il veto sui Conservatori imposto da Macron e Scholz, Weber e il Ppe avrebbero deciso di ricorrere al soccorso verde, opzione che renderebbe ancora più difficile, per Giorgia Meloni, sostenere l’amica e sino a un paio di mesi fa stretta alleata Ursula.
La scelta della premier italiana ha assunto caratteri molto più importanti di quanto la premier stessa non immaginasse sino a poche settimane fa, quando si illudeva di poter fare da cerniera fra la destra e i popolari con ruolo decisivo nella scelta della presidenza della Commissione ma dichiarandosi allo stesso tempo esterna ed estranea alla “maggioranza Ursula”. Ma per il grosso delle forze della destra europea quel voto è diventato invece dirimente. L’incidente diplomatico di ieri tra Lega e premier è in questo senso indicativo. Alcune testate avevano riportato dichiarazioni incandescenti attribuite a Salvini, del tipo “Se Giorgia vota per von der Leyen potrebbe essere la sua fine”. La premier, già furibonda per la guerriglia continua del suo vice, non può che averla presa malissimo. Tanto da spingere Salvini non solo a smentire categoricamente di aver mai pronunciato quelle parole ma anche a dare mandato ai legali per procedere contro le testate accusate di aver “scritto bugie”. Ma anche se probabilmente Salvini non ha usato toni così minacciosi, il problema è reale.
Per i Patrioti, ma anche per buona parte dei Conservatori, il no alla ri-presidenza von der Leyen è diventato una battaglia di prima linea, un passaggio quasi identitario. Sul fronte opposto il trattamento umiliante al quale l’establishment europeo ha condannato Giorgia le rende impossibile sostenere la candidata del Ppe senza apparire, e in realtà anche effettivamente essere, qualcosa in più di una ruota di scorta del Ppe. Chiusa in questo vicolo cieco, con ancora in corso e tutt’altro che conclusa la trattativa per strappare non solo un commissario pesante ma anche e soprattutto deleghe davvero rilevanti, senza le quali qualsiasi commissario sarebbe solo di facciata, la premier italiana è sempre più tentata dall’astensione, che data l’urgenza di garantir la maggioranza assoluta, equivarrebbe a un voto contrario alla candidata del Ppe. Questo però significherebbe dichiarare il fallimento dell’intera strategia che Palazzo Chigi persegue da quasi due anni e sconfi te di tale portata non restano mai senza conseguenze.