I numeri di un tonfo
Europee, Conte avvocato senza popolo: il disastro elettorale dei 5 Stelle, doppiato dal Pd
Politica - di Carmine Di Niro
Intervenendo a tarda notte nel quartier generale del Movimento 5 Stelle di Campo Marzio a Roma, Giuseppe Conte di fronte alle prime proiezioni non ha potuto nascondere lo stato d’animo: “Prendiamo atto di questo risultato deludente, molto deludente, potevamo sicuramente fare meglio”, le dichiarazioni arrivate dall’ex presidente del Consiglio, senza giri di parole, annunciando poi una “riflessione interna” “per cercare di approfondire le ragioni di questo risultato che non è quello che ci aspettavamo”.
Nel day after la chiusura dei seggi delle elezioni europee l’avvocato di Volturara Appula deve raccogliere i cocci di un Movimento 5 Stelle andato a pezzi nelle urne. I numeri, crudi, raccontano di un disastro: pentastellati addirittura sotto il dieci per cento, per un decimale, ma soprattutto il Partito Democratico dell’amica-rivale Elly Schlein lontanissimo, oltre il 24% e doppiando i voti grillini.
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Lo schiaffone per Conte è sonoro: a quello delle Europee si aggiunge lunedì pomeriggio anche quello dalle amministrazioni locali, con i pentastellati che perdono Campobasso e Caltanissetta dove esprimevano i sindaci uscenti, sconfitti al primo turno.
Conte fermato da astensionismo e candidati flop
Risultati tremendi per le leadership di Conte: le previsioni più pessimistiche davano il M5S intorno all’11-12 per cento, invece si è scivolati ancora più in basso. “Colpa” dell’astensionismo che ha punito il Movimento nel Mezzogiorno, storicamente bacino di voti per i pentastellati: alle urne nelle regioni meridionali sono andati solamente il 43% degli aventi diritto, in calo di 5 punti rispetto a cinque anni fa e sette punti sotto il dato nazionale, mentre nelle Isole il 37 per cento.
Al Sud in effetti Conte e soci incassano il miglior risultato a livello di circoscrizione, un 16 per cento raggiunto anche nelle Isole. Non basta però, perché nel resto d’Italia è uno sprofondo rosso in cui non si arriva neanche a toccare la doppia cifra.
Conte paga candidature poco efficaci e poco note all’elettorato, senza uno o più trascinatore portatore di voti: si salva solo Pasquale Tridico, l’ex presidente dell’Inps ai tempi del reddito di cittadinanza, che non a caso porta in cascina quasi 120mila preferenze personali nel Mezzogiorno. Risultato insufficiente nel Centro per Carolina Morace, l’ex calciatrice e ct della Nazionale femminile italiana, ferma a 25mila voti, mentre nel Nord Ovest l’ex direttore del quotidiano La Notizia Gaetano Pedullà porta a casa 15mila voti, col Movimento fermo al 6 per cento.
Il pacifismo che non basta
C’è poi la questione dei temi. Conte ha puntato molto sul tema del pacifismo, su Gaza ma in particolare sul conflitto in Ucraina, tanto da scrivere nel simbolo l’hashtag #pace. Un modo per differenziarsi dal Partito Democratico, che pur tra qualche mal di pancia interno si è sempre espresso in favore della consegna delle armi a Kiev.
Una battaglia, quella del pacifismo, che però il Movimento ha dovuto condividere nelle urne con altri partiti schierati a sinistra: da una parte Alleanza Verdi Sinistra e dall’altra Pace Terra Dignità, il movimento civico di Michele Santoro. In particolare la lista rosso-verde, forte di candidature ben più attrattive, da Ilaria Salis a Mimmo Lucano, passando per Ignazio Marino e Massimiliano Smeriglio, ha incassato oltre il 6 per cento dei voti emergendo come grande sorpresa. La lista di Santoro, pur non andando oltre il due per cento, ha comunque portato a casa mezzo milione di voti provenienti dalla stessa “area” dei pentastellati.
Conte a rischio?
Un risultato così negativo potrebbe mettere lo stesso Conte a rischio, anche se dalla sua, ed è un paradosso, l’ex premier ha l’assenza di alternative credibile come leader del Movimento, salvo l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi o forse l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino.
D’altra parte i segnali all’interno del Movimento non mancano, a partire dagli eletti al secondo mandato che rinfacciano all’ex premier di aver preferito anche volti non in linea con la storia stellata, piuttosto che tutelare con un terzo mandato la vecchia guardia più noto all’elettorato grillino.