80 anni fa lo sbarco

Sbarco in Normandia, 80 anni fa la missione degli alleati per abbattere Hitler

La flotta che sbarcò sulla costa della Normandia era la più poderosa che si fosse mai vista: 5mila navi e anfibi di legno. I tedeschi, spiazzati dagli stratagemmi alleati, credevano che il D-Day sarebbe avvenuto a Calais: l’effetto sorpresa fu decisivo

Editoriali - di David Romoli

6 Giugno 2024 alle 14:30

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Sbarco in Normandia, 80 anni fa la missione degli alleati per abbattere Hitler

Gli 80 chilometri di spiagge sulla costa della Normandia erano stati divisi in 5 sezioni: su due, Omaha e Utah, sarebbero sbarcate le truppe americane, sulle altre 3, Juno, Gold e Sword, quelle inglesi.

La flotta pronta a invadere la fortezza europea dall’altra parte della Manica era la più poderosa che si fosse mai vista: 5mila navi da sbarco e mezzi anfibi di legno, con una scorta composta da 6 corazzate, 4 monitori, 23 incrociatori, 104 cacciatorpediniere, 152 barche da avviso.

L’armata era preceduta da 277 dragamine incaricate di bonificare le acque. Ma ancora prima delle navi sarebbero entrati in azione i paracadutisti e l’aviazione, la vera carta vincente degli Alleati che ormai avevano la piena padronanza dei cieli. Eppure nessuno considerava la battaglia vinta in partenza e tantomeno facile.

L’eventualità di essere ricacciati in mare era concreta: una sconfitta avrebbe potuto rovesciare le sorti della guerra. Hitler ne era convinto. Era ottimista e aspettava l’invasione quasi con impazienza.

Nei suoi calcoli una sconfitta alleata avrebbe spinto gli Usa e il Regno Unito a firmare una pace separata con la Germania e a quel punto l’intera forza tedesca si sarebbe potuta rivolgere a Est, per fermare l’avanzata di Stalin.

La difesa tedesca, il Vallo Atlantico, era spacciata per invalicabile. La Germania aveva iniziato a costruirlo nel 1940, doveva estendersi dalla Norvegia alla Francia creando un muro su tutta la costa dell’Europa nord-orientale.

Nel novembre del 1943 Hitler aveva affidato al feldmaresciallo Rommel, eroe della guerra in Africa, l’incarico di “supervisionare” tutte le difese occidentali.

Nel giro di poche settimane il feldmaresciallo si era reso conto di quanta poca sostanza ci fosse dietro il mito del Vallo insuperabile. La linea di difesa era al contrario fragile e Rommel si era industriato nel fortificarla con la costruzione di casematte, postazioni da tiro, campi minati.

Rommel sapeva che comunque impedire che in alcuni punti lo sbarco riuscisse sarebbe stato impossibile. Riteneva che di conseguenza fosse indispensabile concentrare i panzer per respingere le teste di ponte in mare immediatamente.

Ma il comandante delle truppe sul fronte occidentale, feldmaresciallo von Runstedt non era d’accordo, il generale Guderian, massimo e miglior esperto nell’uso dei carri armati, neppure.

Hitler, incaricato di dirimere la controversia, scelse una soluzione salomonica, a metà tra i diversi progetti e il panzer furono quindi dislocati su un territorio troppo vasto per concentrare il contrattacco come avrebbe voluto Rommel.

Le divisioni tra generali non erano solo tra i tedeschi. Quelle tra gli Alleati erano altrettanto profonde. I generali inglesi non si fi davano del comandante in capo scelto dalla Casa Bianca, Ike Eisenhower.

Era un esperto di logistica. Gli inglesi lo consideravano una brava persona ma privo di esperienza. Il generale inglese Montgomery, uomo vanitosissimo, era di per sé un elemento di tensione continua e all’ultimo momento si aggiunse il generale francese De Gaulle, che reclamava un ruolo centrale nella liberazione del suo Paese.

Ma gli anglo-americani miravano a impedire che fosse lui il leader della nuova Francia, temendo che, nel suo nazionalismo estremo, si sarebbe dimostrato un dittatore non molto diverso dai fascisti.

Era stato tenuto quasi all’oscuro dei preparativi per lo sbarco ed era arrivato dall’Africa solo all’ultimo momento. Churchill era stato a lungo contrario al progetto di invasione.

Questione di geopolitica: l’apertura del fronte occidentale era indispensabile per alleggerire la resistenza tedesca su quello orientale, dove i sovietici avevano pagato e stavano pagando il prezzo di gran lunga più alto della guerra: nel giugno 1944 avevano già perso 7 milioni di persone e la guerra nell’est era una guerra totale, che coinvolgeva direttamente e nel modo più sanguinoso i civili.

Churchill però mirava a impedire che Stalin, avanzando, occupasse l’intera Europa centrale e orientale. Aveva a lungo sostenuto quindi una strategia diversa, che si sarebbe dovuta sviluppare con un attacco a partire dai Balcani.

Decisa l’invasione della Francia, il premier inglese insisteva ora per esserci di persona, imbracato su una delle navi che si accingevano a varcare la Manica ed era irremovibile.

Cambiò idea, di malavoglia, solo quando gli scrisse il re in persona, segnalando che anche lui avrebbe voluto essere su quelle navi e aveva dovuto rinunciare.

Non sarebbe stato accettabile, concludeva re Giorgio, che ciò a cui doveva rinunciare con tanto sacrificio lui fosse consentito al primo ministro. Churchill si rassegnò.

La battaglia cruciale si sarebbe svolta sulle spiagge e tutti sapevano che si sarebbe risolta nelle 24 ore successive allo sbarco. Ma prima che in terra, cielo e mare la battaglia si combattè sul fronte immateriale dell’informazione.

Cogliere la difesa tedesca di sorpresa era decisivo e non era facile. I tedeschi sapevano che l’invasione era imminente e la Normandia era una delle poche aree che permettesse lo sbarco di un’armata così possente e numerosa. L’alternativa principale era Calais, la costa francese più vicina all’Inghilterra.

Gli Alleati usarono ogni mezzo per far credere ai tedeschi che il vero sbarco sarebbe avvenuto lì e che anche un attacco su altre coste avrebbe avuto funzione solo diversiva: inclusa la costruzione di intere unità di carri armati di cartone piazzati all’altezza di Calais e al “comando” del generale forse più temuto dai tedeschi, George S. Patton.

Il depistaggio riuscì perfettamente. Persino dopo lo sbarco e almeno fino al 10 giugno Hitler rimase convinto che si trattava di un diversivo e che il vero attacco sarebbe stato a Calais.

Rommel decise di recarsi a Berlino per il compleanno della moglie, certo che a breve non sarebbe successo niente. Merito, nel suo caso, più della meteorologia che delle pur efficacissime tattiche di disinformazione e depistaggio studiate dagli Alleati.

Avviare l’invasione il 5 giugno fu impossibile proprio per le condizioni del tempo, che avrebbero vanificato la superiorità degli Alleati nel cielo. Molte navi erano già partite e farle tornare indietro tutte fu piuttosto difficile.

Sui giorni successivi i metereologi erano divisi e presentavano previsioni opposte. La scelta era tra rischiare l’attacco 24 ore più tardi oppure rinviare sino al 19 giugno, rischiando un crollo nel morale dell’armata.

Eisenhower decise l’azzardo ma i tedeschi erano così convinti che l’incertezza metereologica rendesse comunque impossibile l’attacco che nella notte tra il 5 e il 6 giugno rinunciarono a pattugliare le acque.

La più grande flotta da sbarco della storia traversò la Manica senza che se ne accorgesse nessuno fino alle 2.15, quando fu lanciato il primo allarme.

Intanto però i paracadutisti, col compito di liberare i ponti e i passaggi dietro la linea del fronte, erano atterrati, c’erano stati alcuni attacchi, erano stati lanciati molti pupazzi dotati di un marchingegno che simulava gli spari.

Nelle linee tedesche la confusione era tale che solo dopo 3 ore dal primo avvistamento, alle 5.20, una guarnigione avvertì che una flotta si stava avvicinando a Omaha Beach.

Dieci minuti dopo, un’ora prima dello sbarco, migliaia di aerei, volando a bassa quota, bombardarono le postazioni tedesche. Subito dopo le batterie di 600 navi si unirono al cannoneggiamento.

Il fuoco continuo dal cielo e dal mare avrebbe dovuto spianare la strada alle truppe da sbarco. A Utah Beach fu davvero così. I soldati americani sfondarono con pochissime perdite e così anche quelli britannici sbarcati a Sword, anche se qui in alcuni punti la resistenza tedesca si prolungò per ore.

I canadesi sfondarono invece con notevoli perdite a Juno mentre a Gold Beach il momento più duro fu quello dello sbarco ma in seguito le resistenze si affievolirono.

L’altura fortificata del Pointe du Hoc, che sovrastava Omaha e Utah, fu conquistata dai ranger americani grazie a un espediente, i rampini tirati direttamente dalle barche che spiazzò completamente la difesa. Il disastro fu invece Omaha beach.

A Omaha invece né i bombardamenti dall’alto né quelli dalle corazzate riuscirono a scalfi re seriamente le difese tedesche. Prima dell’invasione due alti ufficiali Alleati erano sbarcati di notte su quella spiaggia per vagliare da vicino la situazione, armati solo di Colt e coltello.

Al ritorno avevano profetizzato il massacro ma non si era trovata alternativa. A tenere le posizioni c’erano reparti scelti con una componente molto limitata di soldati stranieri, soprattutto polacchi e russi passati dalla parte dei tedeschi senza gran convinzione.

Andò tutto male: le navi, per il mare grosso, furono costrette ad avvicinarsi troppo e furono prese di mira. L’equipaggiamento dei soldati era troppo pesante: molti affogarono.

I carri armati lavorati in modo da diventare anfibi affondarono: se ne salvarono pochissimi e molti carristi annegarono. Le prime ondate furono letteralmente falciate e alla fine gli americani riuscirono a sfondare solo grazie alla immensa superiorità nel volume di fuoco e grazie all’astuzia dell’ammiraglio Kirk, che fece avanzare i cacciatorpedinieri sin quasi alla costa per cannoneggiare le difese tedesche con i risultati che qualche ora e moltissime vittime prima avevano mancato le corrazzate.

La Resistenza francese ebbe un ruolo fondamentale ma non sul piano del combattimento. I Maquis erano ormai centinaia di migliaia ma divisi e male armati.

Il loro compito fu fornire informazioni che si rivelarono tanto precise quanto preziose agli Alleati sulla dislocazione delle truppe tedesche e soprattutto rallentare con sabotaggi di ogni sorta, in particolare sulle linee ferroviarie, la reazione dei tedeschi, che comunque si stava rivelando troppo lenta. Rommel era a Berlino.

Il fuhrer aveva preso un sonnifero e non lo si potè svegliare sino alla 10 del mattino. La lentezza delle armate tedesche fu uno dei fattori che decisero la sorte della battaglia, così come l’effetto sorpresa, che risultò fondamentale.

Ma l’elemento chiave fu l’assoluto dominio dei cieli. Sin dal 1942, incalzati da Stalin che chiedeva l’apertura di un secondo fronte a ovest e nonostante le insistenze degli Usa, che avrebbero voluto agire subito, gli inglesi avevano frenato e rinviato proprio per garantirsi preventivamente l’assoluta superiorità nel cielo. Si dimostrò la scelta migliore.

Alla vigilia dello sbarco Rommel aveva profetizzato che la battaglia si sarebbe decisa nelle prime 24 ore. Fu davvero così. Alla fine del giorno più lungo gli Alleati avevano costruito solide teste di ponte.

La battaglia di Normandia sarebbe stata ancora lunga e persino più sanguinosa di quelle contemporanee sul fronte orientale. In dicembre Hitler avrebbe giocato la sua ultima carta con l’offensiva delle Ardenne. Ma l’esito della guerra, la sera del 6 giugno 1944, era già deciso.

6 Giugno 2024

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