Il responsabile immigrazione

Intervista a Pierfrancesco Majorino: “Migranti ridotti a laboratorio della disumanizzazione”

"La destra ragiona di immigrazione come se fosse in presenza di una eterna emergenza da coltivare. E non come un grande tema che riguarda la vicenda della vita vera che richiede responsabilità da parte delle istituzioni"

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

29 Maggio 2024 alle 14:00

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Intervista a Pierfrancesco Majorino: “Migranti ridotti a laboratorio della disumanizzazione”

Pierfrancesco Majorino, responsabile nazionale immigrazione del Partito democratico: “Non aveva ancora 6 mesi. È morta in braccio alla mamma, in un barchino di alluminio insieme alla sorella treenne”. Lo racconta l’inviata de l’Unità su Humanity 1, Angela Nocioni. “Perché – scrive la nostra inviata – costringere a un viaggio di 920 chilometri dal punto in cui sono stati soccorsi gli ultimi naufraghi saliti a bordo, persone che hanno appena assistito alla morte di una neonata nel loro barchino alla deriva?”.
Per una ragione semplice e drammatica. Si è smarrito il senso di umanità. Ma non è stato un incidente di percorso è un tassello del nazionalismo. L’immigrazione, infatti, è diventata il laboratorio della disumanizzazione. Chi arriva su un barcone non è una persona. E’ un problema, una minaccia o un numero. E questo è il frutto dell’operazione politica che la destra ha compiuto in questi anni. Lo ho già detto proprio a voi in passato, lo ribadisco: la destra ragiona di immigrazione come se fosse in presenza di una eterna emergenza da coltivare. E non come un grande tema che riguarda la vicenda della vita vera e che attraversa epoche storiche differenti e che richiede scelte, governo, responsabilità da parte delle istituzioni. In questa chiave ribadiamo le nostre proposte, di più, i nostri terreni di battaglia politica, innanzitutto europea: servono vie d’accesso legali e sicure. Canali per “arrivare” che evitino alle persone il dramma del viaggio attraverso il barcone e che anzi poi favoriscano processi di inclusione, percorsi di apprendimento della lingua, formazione professionale, inserimento nel tessuto sociale. Obiettivi da raggiungere attraverso un lavoro di anni, anni nei quali, a partire per la verità dalle prossime settimane, servirebbe una Mare nostrum europea, perché il compito del salvare le vite, in attesa che si compia una riforma poderosa dei canali d’accesso, deve essere svolto dalle istituzioni, non dalle ONG, la cui funzione oggi rilevante, è la dimostrazione del fallimento della politica, o meglio della fuga della politica dalle proprie responsabilità. Tutto questo – il cambiamento delle regole e delle politiche – dovrebbe poi tradursi in scelte strategiche: una nuova strategia europea che metta tra parentesi il pasticcio del Patto immigrazione e asilo e in Italia il superamento della Bossi Fini come noi proponiamo.

Dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per altri 57 conflitti armati in corso. Il mondo è sempre più dentro una terza guerra mondiale a pezzi. Siamo ormai a ridosso delle elezioni europee, ma il dibattito in Italia si concentra su alleanze, candidature, scandali, diatribe televisive. Siamo fuori dal mondo?
Io credo che siamo in un passaggio d’epoca che fa tremare le vene ai polsi. È stato più volte scritto che è il tempo di un nuovo equilibrio mondiale fondato sull’opposto, il disequilibrio permanente, l’esplosione di conflitti nuovi o l’inasprimento di ferite aperte da tempo. In questo quadro il dibattito italiano a volte, sì, appare un poco da marziani. Basta però che nel dirlo non sottovalutiamo quel che accade proprio da noi. C’è un inasprimento del carattere del governo, in altri tempi avremmo detto una “torsione autoritaria” che fa leva sulla sfiducia nella politica, raccogliendo i frutti peggiori del populismo – e pure alcuni ritardi di un tempo dell’area progressista sulla questione sociale. Tutto ciò non è chiacchiericcio. La polemica sulla disinformazione, o su Telemeloni, non lo è. E il persistere di azioni evidentemente disastrose nella gestione della cosa pubblica, pensiamo a quel che affiora dalla vicenda ligure anche a prescindere dalla rilevanza penale, non sono degli artifici retorici. È la realtà con cui ci dobbiamo misurare.

Il voto delle Europee viene misurato sulle beghe interne: chi prende un voto in più tra Pd e 5S o tra Lega e Forza Italia. E l’Europa?
Questo era forse vero un tempo. Con le elezioni europee che diventavano un grande sondaggio a uso nostrano. Oggi non è così, e non perché non sarà interessante da osservare anche il nesso con la capacità delle forze politiche di parlare all’elettorato pure per ragioni “nazionali” ma perché ci sono, perfino più che nel 2019, idee opposte proprio sull’Europa e sul suo futuro. In queste settimane lo stiamo dicendo in tutte le salse e facciamo bene a farlo. L’Europa è a un bivio. O si produce, anche in forza delle cose migliori presenti nella legislatura appena conclusa – penso innanzitutto a Next Generation EU e alle prime “tracce” di Green Deal”- un’accelerazione poderosa oppure, davvero, l’Europa può fallire. E il suo fallimento non sarebbe più determinato dall’ “uscita” di un gruppo di Paesi (strada che dopo Brexit non evocano nemmeno i noeuro di casa nostra) ma dal contrario di quel che serve. Invece di accelerare si andrebbe sempre di più verso l’Europa dei nazionalismi. Quella che significa alcune cose precise e innanzitutto un’Europa che tende allo zero: zero politica estera comune, zero politica di difesa comune, zero assunzione comune di responsabilità in relazione alla gestione delle migrazioni e zero assunzione comune di politiche economiche e sociali. Del resto, la destra più radicale era contro il Next Generation EU, e la logica della condivisione del debito, non per un capriccio ma per una profonda scelta politica. Quella che dice che non va condiviso il “destino”. In altre parole, avremmo l’Europa col freno a mano tirato quando abbiamo bisogno dell’esatto contrario. Un’Europa molto più forte, anche evidentemente attraverso innovazioni e riforme istituzionali, e in questa cornice un ruolo dei Socialisti e dei Democratici molto spinto ed “esigente”.

La decisione di Elly Schlein di candidare come indipendenti nelle liste Pd Cecilia Strada e Marco Tarquinio ha suscitato discussione e qualche mal di pancia tra i dem. Essere “pacifisti” è un “reato” politico, una deminutio?
Premesso che non sono la persona più adatta a cui fare questa domanda, visto che mi ritengo attivamente in campo, nella mia circoscrizione (il nordovest) a sostegno di Cecilia Strada, ecco premesso questo, considero le liste di grandissima qualità e molto positive anche in ragione della loro ampiezza culturale e “biografica”. Questo non lo ho mai considerato un limite, anzi. E non mi spaventano minimamente candidature di persone che dicono “ci vuole la Politica per costruire la Pace”. Anzi, questa è la nostra posizione. Lo dico avendo votato, e non essendomene assolutamente pentito, per l’invio delle armi all’Ucraina. La difesa, sottolineo: la difesa, dell’Ucraina era ed è indispensabile. Ma lo è altrettanto la ricerca di via politiche e diplomatiche più tangibili. Su questo terreno le parole di Elly Schlein sono chiarissime e le condivido, ancora una volta, in pieno. Come ritengo che di fronte alle stragi che il governo Netanyahu sta compiendo in terra di Palestina, a Rafah, serva un gigantesco scatto. Fondato su alcune cose da fare subito: una forza di interposizione, il riconoscimento dello Stato di Palestina, nella prospettiva strategica dei “due Popoli per due Stati”, un’azione molto più determinata per affrontare l’emergenza umanitaria. Convinto che queste sarebbero anche le scelte migliori per contrastare la follia del terrorismo di Hamas. Ecco in tutto questo il PD sarà sempre una forza alla ricerca della Pace.

Che destra è stata, in particolare quella italiana, in chiave europea?
Ovviamente nella destra in tutti questi anni hanno convissuto pulsioni diverse. È chiaro che non si può confondere l’atteggiamento di Berlusconi o Tajani con quello di Salvini. Tuttavia, perfino la destra più moderata in Italia ha soprattutto fatto finta di niente in maniera opportunistica. Forza Italia, che tra un po’ un certo opinionismo salottiero ci vorrebbe presentare come una sorta di “Accademia per la promozione dei valori Repubblicani”, è stata bella accucciata in Parlamento per poi sbraitare e cavalcare i sentimenti peggiori, ad esempio nel campo della transizione ecologica, qui da noi. Da lombardo non posso ad esempio non vedere che proprio in relazione alle questioni ambientali e climatiche il centrodestra si è mosso a Bruxelles compattamente per evitare che proprio la mia regione – una delle tre più inquinate d’Europa- scegliesse di cambiare “modello” di sviluppo. La partita di Giorgia Meloni è un’altra partita ancora.

Vale a dire?
È quella più insidiosa e non solo per una questione di “rapporti di forza e numeri”. Giorgia Meloni detta Giorgia sta infatti tentando di produrre una saldatura tra le destre peggiori d’Europa – cioè la sua, quella di Orban, quella di Vox, quella di Le Pen – e il centrismo, le forze popolari. C’è da sperare che questa operazione non le riesca, ed è un motivo essenziale e tutto politico per cui è necessaria una buona affermazione del Pd. E c’è da sperarlo per varie ragioni. La prima, come dicevo, è quella dell’Europa con il freno a mano tirato. La seconda riguarda la sfera dei diritti e delle libertà. Mi spiego: per anni dal parlamento europeo tanti di noi hanno giustamente chiesto interventi, magari alla Commissione, più duri nei confronti di Orban o della Polonia che violava lo Stato di Diritto. Ora siamo di fronte ad una manovra speculare. Giorgia Meloni si propone di tollerare Orban perché vuole portarne dosi qui, dico proprio qui da noi. Ciò non riguarda tanto il tema della vita dei “partiti” ma quello della vita delle persone, addirittura dei “corpi”. Il corpo, e quindi la libertà, delle donne, non a caso, è, e son convinto sarebbe, il primo degli obiettivi di questa internazionale della destra a cui Meloni lavora alacremente. Vedo un nesso tra le sue riflessioni da Vox o con Orban e le azioni dei Pro Vita nei consultori, tanto sostenuti da questo governo. Si limita la libertà, alla fine. Niente di più. Di fronte a ciò si può rispondere con una difesa, come dire, “asettica” dei valori e dei principi repubblicani oppure scegliendo il campo di battaglia su cui la destra nazionalista va più in crisi.

Quale sarebbe questo campo “minato” per la destra?
Quello della questione sociale. Solo una sinistra ampia e radicale sulla questione economica e sociale sarà in grado di smascherare il bluff del nazionalismo. Che vuol dire: salario minimo e dignitoso, lotta alla precarietà del lavoro, anche correggendo scelte dei governi di centrosinistra, sanità pubblica e universalistica, diritto alla Casa e così via. Del resto, è la posizione, la postura, che il Pd di Elly Schlein sta assumendo sempre di più. Tutto ciò serve ad arginare la destra, ma soprattutto e ancora prima serve a spiegare cosa ci stiamo a fare “noi”. Perché se non siamo questa cosa, semplicemente, non perdiamo “consenso”, perdiamo “senso”.

29 Maggio 2024

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