In cdm una versione soft
Mattarella non condona, il Quirinale sgonfia il “piano casa” di Salvini: salta il “salva Milano”
Cancellati i passaggi su cui il Quirinale aveva mosso rilievi. Semaforo rosso per i decreti “elettorali” di Abodi e Valditara, Mattarella minaccia: niente firma senza i requisiti di necessità e urgenza
Politica - di David Romoli
Il Piano casa arriverà in cdm non oggi ma venerdì, riveduto, corretto e ammorbidito.
Non dovrebbero essere sanati gli abusi edilizi strutturali, come lo spostamento di un muro portante mentre gli abusi minori potranno essere sanati con una multa. Insomma un intervento poco pesante ma anche quasi inutile, con funzioni strettamente elettorali.
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Dal Piano sono stati espunti i passaggi sui quali il Quirinale aveva mosso rilievi: è stato eliminato il “Salva Milano”, la norma che avrebbe dovuto aggirare i blocchi dovuti alle inchieste sugli abusi edilizi ed è stato soppresso il colpo di spugna sugli abusi sulle opere precedenti il 1977.
In questo caso però l’intervento di Mattarella si è limitato alla classica moral suasion, dopo di che la palla è passata agli uffici legislativi del Colle e di Chigi per rivedere e limare il testo.
In questo caso però l’anatema di Mattarella non ha colpito lo strumento stesso del decreto, in quanto privo dei requisiti di necessità e urgenza.
Quel semaforo rosso è scattato invece per alcuni degli altri decreti in programma con funzioni strettamente elettorali, in particolare quello voluto dal ministro dello Sport Abodi per istituire subito l’Agenzia per lo sport professionistico o quelli del ministro dell’Istruzione Valditara, come il potenziamento dei corsi per gli studenti stranieri.
Il presidente in questi casi non avanza riserve sui contenuti, come per il Salva casa ma sullo strumento, cioè sul decreto. Stavolta Mattarella ha comunicato forte e chiaro che senza i requisiti di necessità e urgenza non firmerà alcun decreto.
Dovranno essere trasformati nello strumento adeguato e costituzionalmente corretto, cioè in disegni di legge. L’interlocuzione tra gli uffici legislativi è in corso.
A tenere i rapporti diretti sono il segretario generale della Presidenza della Repubblica Zampetti e il sottosegretario a quella del Consiglio Mantovano e sul Colle sono convinti che il governo si adeguerà alle imperiose richieste di Mattarella.
Ma ove così non fosse il presidente è deciso a negare la firma, e a un passo dalle elezioni del 9 giugno l’immagine del governo ne uscirebbe ammaccata nel momento peggiore.
L’intervento del Colle non è un fulmine a ciel sereno. Il braccio di ferro tra Quirinale e Governo sulla decretazione d’urgenza che prosegue, per lo più sottotraccia, praticamente da quando l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni si è insediato.
Il Colle muove tre distinti rimproveri: l’abuso della decretazione senza i requisiti costituzionalmente necessari, l’uso di presentare decreto disomogenei e l’abitudine di inserire nuovi contenuti al momento della conversione in legge.
I decreti omnibus o quasi mettono il capo dello Stato di fronte a un dilemma: bocciare l’intero decreto, inclusi i passaggi effettivamente urgentissimi oppure accettare che vengano veicolate norme disomogenee e prive d’urgenza.
L’inserimento di nuovi contenuti nella conversione significa portare al voto del Parlamento quei contenuti che senza che siano stati preventivamente vagliati dal capo dello Stato.
Mattarella ha più volte criticato questi aspetti ma non si è limitato alle parole. In numerosi casi il Quirinale ha chiesto e imposto modifiche, soppressioni dei passaggi più clamorosamente scorretti, trasformazione di alcune norme in disegno di legge.
Stavolta però l’intervento è stato più severo, sino alla minaccia esplicita di negare la necessaria firma del capo dello Stato. Le voci dal Colle assicurano che l’irrigidimento del presidente si deve soprattutto al fatto che in questo caso il governo ha esagerato, progettando un’infornata monstre di decreti, chiaramente con funzione solo elettorale, in alcuni casi senza neppure fingere che ci fosse una necessità urgente.
Il presidente ha dunque deciso almeno di temperare una deriva che però sa di non poter fermare, quella iniziata già da decenni e alla quale hanno messo mano tutti: governi di destra, di sinistra e tecnici.
La progressiva limitazione del ruolo del Parlamento realizzata proprio con l’abuso della decretazione d’urgenza accoppiata spesso col voto di fiducia. Che il governo stavolta avesse esagerato è certo.
Però è difficile credere che non ci sia alcuna relazione tra la severità del presidente e la riforma costituzionale sulla quale oggi l’aula del Senato inizierà a votare, senza forzare la mano nonostante i 3mila emendamenti dell’opposizione si avvicinino molto all’ostruzionismo.
La riforma, inevitabilmente, porta in primo piano i guasti conseguenti alla cancellazione del ruolo del Parlamento e Mattarella, dopo aver più volte denunciato l’abuso della decretazione d’urgenza, è quindi spinto ad agire più decisamente.
Il presidente inoltre, pur non apprezzando affatto il premierato, non può e non vuole intervenire direttamente senza forzare i limiti costituzionali della sua funzione.
Ma sa che la campagna elettorale dell’opposizione si baserà soprattutto sul mettere all’indice il depotenziamento del ruolo di garante del capo dello Stato. Dunque, di qui al referendum e non sarà un percorso breve, farà il possibile per dimostrare quanto importante sia quel ruolo.