La storia del maggio francese, i dieci giorni del 1968 che portarono la Francia sull’orlo di una rivoluzione

Editoriali - di David Romoli

19 Maggio 2023 alle 14:00

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La storia del maggio francese, i dieci giorni del 1968 che portarono la Francia sull’orlo di una rivoluzione

Nell’arco di 10 giorni, dal 13 al 23 maggio 1968, la Francia si scoprì sull’orlo di una rivoluzione. Per dimensioni, estensione sociale e radicalità la mobilitazione raggiunse livelli mai conosciuti prima nell’occidente del dopoguerra e mai ripetutisi in seguito. La protesta si allargò però a ogni comparto sociale, coinvolse decine e decine di intellettuali, portò alla sospensione del Festival di Cannes bersagliato sin dall’inaugurazione dalle manifestazioni di protesta fino all’occupazione del palco da parte di un gruppo di cineasti tra cui Godard, Truffaut, Lelouch, Malle e Polansky.

L’incendio era stato appiccato, il 3 maggio, da poche centinaia di studenti che avevano occupato pacificamente il cortile della Sorbonne per protesta contro la serrata della facoltà di Nanterre. Il rettore chiese l’intervento della polizia, mossa estrema e ingiustificata che fu molto criticata anche dagli altri docenti. Negli scontri che seguirono furono arrestate 400 persone, tra cui il leader del sindacato studentesco, Alain Sauvageot e quello di Nanterre Daniel Cohn-Bendit, di nazionalità tedesca.

Le prime condanne per gli scontri del 3 maggio, la scelta di non riaprire la Sorbonne e la convocazione presso il consiglio disciplinare di otto studenti di Nanterre attizzarono il fuoco. Gli scontri del 6 maggio furono molto più violenti e il leader del sindacato degli insegnanti, Alain Geismar, si schierò con gli studenti mentre il Pcf e il sindacato Cgt, erano sospettosi e ostili. “Cohn-Bendit ha il solo obiettivo di trascinare la classe operaia in qualche avventura”, dichiarò il segretario della Cgt Georges Séguy.

Il 10 maggio i manifestanti occuparono l’intero Quartiere Latino, difeso da oltre 60 barricate. I militari delle Compagnie Républicaines de Sécurité, i Crs, (la polizia antisommossa francese n.d.r.) attaccarono le barricate intorno alle 3 di notte, le espugnarono dopo 5 ore di battaglia. Al mattino con decine di auto incendiate, le strade completamente disselciate, centinaia di feriti sia tra gli studenti che tra i poliziotti, il Quartiere Latino offriva lo spettacolo di una zona di guerra. La sera dello stesso 10 maggio sarebbe dovuta andare in onda una puntata del programma Panorama che per la prima volta dava voce ai leader degli studenti. Il servizio fu bloccato all’ultimo momento dalla Ortf, la tv di Stato francese. La protesta di giornalisti e tecnici nelle ore seguenti avrebbe portato a partire dal 16 maggio al lunghissimo sciopero della Ortf.

L’11 maggio, rientrato da un viaggio in Afghanistan, il primo ministro Georges Pompidou, contro il parere del presidente De Gaulle, ordinò la riapertura delle università, inclusa la Sorbona che fu subito occupata, e l’allontanamento della polizia. La stessa Cgt aveva a quel punto sterzato, espresso piena solidarietà con gli studenti e proclamato uno sciopero generale di 24 ore per il 13 maggio. Nelle intenzioni del sindacato doveva essere una manifestazione quasi simbolica, la prosecuzione dello sciopero non era prevista né voluta dal sindacato. Ma l’enorme successo sia dello sciopero che della manifestazione a Parigi, con centinaia di migliaia di persone in corteo, e la vittoria degli studenti spinsero gli operai, soprattutto i più giovani, a proseguire nello sciopero senza attendere disposizioni del sindacato. Il 14 maggio, mentre De Gaulle partiva per una visita in Romania, gli operai della Sud-Aviation di Nantes occuparono la fabbrica poi le occupazioni e gli scioperi dilagarono ovunque: il 22 maggio 10 milioni di lavoratori erano in sciopero o asserragliati nelle fabbriche occupate.

L’epicentro di questo movimento rimase comunque il Quartiere Latino: la Sorbonne e il teatro Odéon, occupato il 16 maggio. Per settimane la rive gauche fu una sorta di zona franca dove affluivano non solo studenti ma giovani operai e moltissimi intellettuali: la grafica, gli slogan immaginifici, i manifesti del maggio avrebbero influenzato in seguito i movimenti giovanili di tutto il mondo e in particolare quello italiano.

De Gaulle tornò in anticipo dal suo viaggio, il 18 maggio, furibondo. La Francia era paralizzata: fermi i treni, i bus, la metropolitana. Deserti gli uffici e i grandi magazzini, in mano agli operai le fabbriche. Il generale strigliò Pompidou, tanto da spingere il premier a presentare immediate dimissioni. Il generale le respinse: “Non si lascia il proprio posto in piena battaglia”. Bollò la rivolta con un insulto da caserma: “Le riforme sì, la chienlit (il casino) no”.

Il conflitto tra i due si prolungò: il presidente voleva schiacciare la rivolta con la forza, il premier mirava a farlo esaurire convinto che lo scontro avrebbe reso la lacerazione sociale insanabile.
Cohn-Bendit era diventato il simbolo della rivolta. All’inizio di maggio il settimanale d’estrema destra Minut, in un articolo firmato da Jean-Marie Le Pen, aveva scritto “siccome è ebreo e tedesco si crede Marx”. Il giorno dopo il quotidiano del Pcf L’Humanité, in un articolo del segretario Georges Marchais lo aveva definito “l’anarchico tedesco”. Il 20 maggio il leader degli studenti si recò in Germania, il giorno dopo il ministro degli Interni Fouchet lo dichiarò “indesiderabile” e gli proibì il ritorno in Francia. Cohn-Bendit si presentò alla frontiera, fu respinto. Lo slogan più famoso del maggio francese nacque quel giorno: “Siamo tutti ebrei tedeschi”.

La sera del 24 maggio De Gaulle si rivolse alla Francia con un discorso in tv. Riconobbe la necessità di riforme radicali e si disse pronto a effettuarle ma solo dopo essere stato riconfermato nel suo ruolo da un referendum popolare. Le parole del generale scatenarono nella notte la più violenta battaglia dell’intera rivolta: la seconda “notte delle barricate” fu molto più feroce della prima, i manifestanti invasero anche la riva destra, poi tornarono a barricarsi nel Quartiere Latino. Fu il solo momento, ammisero poi esponenti del governo, in cui temettero davvero di perdere ogni controllo della situazione.

La gestione della crisi passò nelle mani del mediatore Pompidou che convocò la Cgt e i rappresentanti degli industriali nella sede del ministero del Lavoro in rue de Grenelle. La maratona proseguì quasi senza interruzioni sino al 27 quando fu raggiunta un’intesa, gli “accordi di Grenelle” che avrebbe dovuto mettere fine alla protesta operaia. Gli operai bocciarono l’accordo e decisero di proseguire l’occupazione delle fabbriche.

La crisi sociale era a quel punto anche politica. “Dal 3 maggio in Francia lo Stato non esiste più”, dichiarò in un discorso il leader socialista Mitterrand. Chiese le dimissioni di De Gaulle, la costituzione di un governo provvisorio e nuove elezioni annunciando subito la sua candidatura. Il Pcf, a bocca storta, decise di sostenerlo. Molti dirigenti gollisti, in segreto, presero contatti con Mitterrand e con i comunisti, pronti a salire sul carro dei vincitori. La beffa del ritorno trionfale dell’ “indesiderabile” Cohn-Bendit alla Sorbonne, la sera del 28 maggio, sembrava il segno della sconfitta totale del governo.

Il 29 mattina il presidente abbandona Parigi, ufficialmente per riposarsi nella dimora di Colombey-les-Deux-Eglises. L’elicottero di De Gaulle però vola basso, si sottrae ai radar e scompare. Per alcune ore nessuno, neppure Pompidou, sa dove si trova il presidente.

Era a Baden-Baden, in Germania, dal comandante delle truppe francesi in Germania, Jacques Massu, già governatore dell’Algeria. Nessuno sa cosa si siano detti davvero i due generali ma la mossa sortì l’effetto voluto: drammatizzò al massimo la situazione. Nelle caserme l’esercito fu messo in stato d’allerta. Il 30 maggio De Gaulle si rivolse di nuovo alla Francia: un discorso di 4 minuti col quel annunciava lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e dunque nuove elezioni: una prova di forza preparata dal colpo di teatro dell’incontro con Massu. Subito dopo il discorso una immensa manifestazione gollista sfilò per ore lungo i Champs Elysées: il maggio francese era finito.

Il 4 giugno i trasporti tornarono alla normalità. Nei giorni seguenti finì lo sciopero del Pubblico impiego. Restavano, ormai assediate, le roccaforti operaie: l’ultima fiammata della rivolta furono gli scontri intorno alla Renault di Flins, nel corso dei quali morì uno studente il 10 giugno, e alla Peugeot, dove la polizia antisommossa francese aprì il fuoco uccidendo due operai il giorno dopo. Il 12 giugno il governo sciolse i gruppi della sinistra extraparlamentare e vietò la manifestazioni su tutto il territorio nazionale, il 14 sgombrò con la forza la Sorbonne e l’Odéon. Alla fine del mese le elezioni registrarono un trionfo dei gollisti. Il maggio francese era stato sconfitto ma il generale e il nuovo governo avevano appreso la lezione. Molte riforme arrivarono davvero. L’accordo con gli operai fu migliore di quello che era stato raggiunto a Grenelle. De Gaulle rimase al potere fino all’aprile dell’anno seguente quando, dopo la sconfitta nel referendum della sua proposta di riforma costituzionale, rassegnò le dimissioni.

19 Maggio 2023

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