Scontro sull'emendamento
Superbonus è rissa tra FI e FdI, la minaccia di Giorgetti: “O me o la misura di Conte”
Scontro in Commissione Finanze sull'emendamento del Governo, ma Tajani replica a muso duro. La senatrice a vita Segre: “Riforma allarmante, il Quirinale declassato”
Politica - di David Romoli
La maledizione del Superbonus non smette di colpire e stavolta affonda la decantata compattezza della maggioranza. Al Senato, tra la commissione Finanze e l’aula va in scena di tutto. Il pomo della discordia è sempre la retroattività della nuova norma, veicolata da un emendamento del governo al decreto Superbonus, che spalma su un decennio il rimborso crediti sin qui fissato in 4 anni. Sulla norma in sé nessuno obietta.
Sulla decisione di renderla retroattiva, cioè in vigore sin dal primo gennaio scorso e non dall’entrata in vigore del decreto invece il no di Forza Italia è insormontabile. Tra i suoi 5 subemendamenti ce n’è uno che affossa la retroattività: “È una questione di principio: nella nostra civiltà giuridica norme retroattive non sono accettabili e così si mina il rapporto di fiducia tra cittadini e Stato. Se la norma non cambia noi votiamo contro”.
Col voto contrario di Fi, spalleggiata ovviamente dall’intera opposizione, il governo rischia di andare sotto: se gli azzurri invece di astenersi votano, come promettono di fare, il governo è sotto 10 a 9 e oltretutto solo se vota, contro la prassi, anche il presidente di Commissione, il leghista Garavaglia.
Qualcuno in FdI ha un’idea geniale: chiedere di inserire in commissione un senatore FdI in più, Salvatore Salemi, voto sicuro. Si può fare. È consentito. Però bisogna comunicare la richiesta in aula. FdI prova ad aggirare l’ostacolo presentando la richiesta direttamente in commissione e l’opposizione insorge: “Qui siamo all’Ungheria di Orbàn”.
FdI ci ripensa. La seduta della commissione che dovrebbe votare i subemendamenti slitta a dopo l’aula, così è tutto regolare. Invece a sorpresa si mette di mezzo il presidente del Senato, La Russa: “Il nuovo senatore sarà inserito in commissione. Però non da oggi ma da domani”, cioè da oggi, cioè a votazione effettuata.
Il Pd esulta e per la prima volta nella storia esplode in un tonante “Bravo La Russa”. La commissione procede a singhiozzo fino a tarda serata, col rischio di una sconfitta clamorosa del governo. Non si tratta affatto solo di una questione di principio ma di un possibile disastro sia politico che economico. Il ministro Giorgetti, alla vigilia, ha messo sul piatto le sue dimissioni: “O il Superbonus o io”.
Poi ha un po’ mitigato, nemmeno troppo per la verità, ma è chiaro che una sua sconfitta non passerebbe senza conseguenze anche se il governo oggi in aula imporrà la sua linea con la fiducia e Fi senza alcun dubbio la voterà.
Il guaio economico senza la retroattività sarebbe anche più grosso e lo quantifica proprio Giorgetti: “Sarebbero 30 miliardi all’anno per 4 anni”. Un colpo ferale per un governo che già si affanna e stenta a trovare i fondi necessari a confermare il taglio del cuneo fiscale e oltre quella linea del Piave non andrà comunque.
Un colpo fatale se si tiene conto di quel nuovo Patto di Stabilità la cui rigidità estrema, negata dal governo all’esordio per mascherare la cruda realtà, si profila ora e lo stesso ministro lo ammette: “Per un Paese indebitato e con tassi alti come l’Italia il nuovo Patto è molto difficile da onorare”.
Sulla retroattività Giorgetti è tassativo: “Il Superbonus è una misura eccezionale per tempi eccezionali come sono stati quelli del Covid. Ma da questa droga economica bisogna disntossicarsi e disintossicarsi purtroppo è doloroso. Io sono serenissimo perché quando si è nel giusto si è sempre sereni”.
Sull’altro fronte aperto dagli azzurri, l’entrata in vigore della Sugar Tax, invece il ministro tratta, anche perché la Lega, che sulla retroattività è schierata con lui, sulla tassa per le bevande zuccherate fa invece muro con Tajani. La tassa, sulla carta, c’è dal 2021 ma non è mai entrata in vigore, rinviata a oltranza.
Però il gettito è puntualmente inserito nelle leggi di bilancio e va altrettanto puntualmente coperto trovando una settantina di milioni l’anno. Il governo voleva rendere la legge effettiva dal prossimo primo luglio. Tajani ha reclamato un rinvio almeno al 2025 ma molto meglio al 2026: “Non possiamo accettare nuove tasse”.
Giorgetti ha accettato la mediazione del primo luglio 2025 e i tecnici del ministero, ieri, si davano da fare freneticamente per recuperare i circa 70 milioni necessari per compensare il mancato introito.
E se già una cifra tutto sommato così modesta diventa un rompicapo si può facilmente capire perché su una spesa gigantesca come il maledetto Superbonus Giorgetti non senta ragioni. Anche a costo di sfidare la spaccatura della maggioranza a poche settimane da un prova elettorale importante.
Nel giorno della lite sul superbonus, arriva però sul governo un’altra tegola pesante. Con il premierato avremmo “un drastico declassamento a danno del capo dello Stato, non solo privato di fondamentali prerogative, ma costretto a guardare dal basso all’alto un premier forte dell’investitura popolare”.
Parole dure come pietre, quelle della senatrice a vita Liliana Segre pronunciate nell’Aula al Senato durante la discussione generale sulla riforma. “Riformare la Costituzione non è una drastica necessità del nostro paese”, dice la senatrice. Che aggiunge: “A mio giudizio il ddl Costituzionale proposto dal governo presenta vari aspetti allarmanti, io non posso e non voglio tacere”.