Il caso Iuventa

Società dell’accoglienza: cosa è e a chi spetta costruirla

La sentenza di Trapani ha demolito la propaganda sui “taxi del mare” che ha consentito di approvare le norme contro il soccorso in mare, intanto il governo vuol fermare anche gli aerei delle Ong che sorvolano il Mediterraneo

Cronaca - di Valentina Brinis

9 Maggio 2024 alle 16:30

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Società dell’accoglienza: cosa è e a chi spetta costruirla

E dunque c’è un giudice a Trapani, prendendo in prestito Bertold Brecht con la sua idea di giustizia a Berlino. Il 18 aprile si è conclusa la fase preliminare di un processo che ha visto sul banco degli imputati alcuni membri degli equipaggi delle organizzazioni umanitarie Juventa, Medici Senza Frontiere e Save the Children. Un procedimento durato sette anni, 7: dal 2017 a oggi.

L’accusa principale era quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dopo che alcuni testimoni avevano riportato di essere a conoscenza dell’esistenza di contatti tra gli enti coinvolti e le reti di trafficanti di persone.

Anni con il fiato sospeso ad attendere che si facesse chiarezza su comportamenti già chiari, perché salvare la vita in mare di una persona che si trova in pericolo e che rischia di non farcela, è di per sé un gesto inequivocabile. Si tratta di una mossa semplice e allo stesso tempo potente che non richiede spiegazioni.

La semplicità viene confermata dalla naturalezza con cui viene compiuta, già una consuetudine per i naviganti di tutti i tempi. Nei secoli in cui si è ripetuta e in cui è stata narrata da scrittori, registi, artisti e poeti, non era mai stata inquisita e sospettata, fino a quando, sette anni fa, è stata travolta dall’onda nera della propaganda più malevola: quella per la quale è possibile dubitare della genuinità di quel gesto legandolo a un ritorno economico.

Da qui l’appellativo di “taxi del mare” pronunciato per la prima volta da un politico in carica e non da qualche marinaio nel peggior bar di una città portuale. La fonte autorevole, unita al coro di molte altre – tra cui quella del procuratore generale della Corte d’appello di Catania Carmelo Zuccaro – ha avuto un effetto devastante.

L’equiparazione tra Ong e criminalità organizzata ha consentito negli anni l’approvazione di normative tese a ostacolare le pratiche di soccorso in mare. Tra queste si annoverano la legge 77/2019 (convertita dal decreto sicurezza bis del 53/2019) e la più recente stretta data dalla 15/2023.

La prima ha introdotto il divieto di “ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane” salvo in caso di autorizzazione da parte dei ministeri dell’Interno, della Difesa e dei Trasporti, con una sanzione al comandante della nave del pagamento di una somma da euro 150.000 a euro 1.000.000.

La seconda, oltre a confermare quanto già previsto, dispone che siano sanzionate le imbarcazioni operanti fuori dal coordinamento delle autorità competenti. In virtù di questo, nel corso dell’ultimo anno, la maggior parte delle navi umanitarie sono state fermate e multate.

Oltretutto, vista la difficoltà di gestione degli arrivi nel Sud Italia, il Governo italiano ha stabilito che avvenga una rotazione dei porti di sbarco. E così, nell’ultimo anno, sono state indicate le città di Genova, Massa Carrara, Ortona, Ravenna e Civitavecchia, come luoghi in cui far scendere i naufraghi salvati.

Proprio questa settimana, il 6 maggio, è stata emessa un’ordinanza dal governo italiano con cui si vogliono fermare le operazioni dei “velivoli e delle imbarcazioni delle ONG sullo scenario del Mare Mediterraneo centrale”.

Un provvedimento che si basa su “segnalazioni trasmesse dal Comando generale della Guardia costiera” per cui gli aerei delle ONG sono accusati di “sostanziale elusione del quadro normativo di riferimento” e minacciano sanzioni e sequestri.

A pagarne le conseguenze, in ordine di sofferenza umana, troviamo le persone soccorse e i membri degli equipaggi. I primi, indipendentemente dal contesto storico e giuridico, subiscono da sempre la prolungata permanenza a bordo: in passato perché il luogo sicuro di sbarco non veniva assegnato con la rapidità dettata dalle convenzioni internazionali, e ora perché, quando quell’indicazione viene data, per raggiungerla sono necessari molti giorni.

I secondi perché da anni sono il bersaglio di campagne denigratorie che hanno fatto passare un messaggio chiaro e diretto: intervenire a supporto di chi è in difficoltà è un’azione sospetta. E così a costruire la società europea dell’accoglienza e dell’integrazione, della convivenza e della pace, ci pensano i tribunali invece di chi siede nei luoghi preposti far rispettare questi principi base su cui si fonda l’idea dell’Unione Europea.

*Advocacy Officer di Open Arms

9 Maggio 2024

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