Parla l'ambasciatrice

Intervista a Abeer Odeh: “Se noi palestinesi fossimo ucraini…”

“Non solo non ci aiutano, ma aiutano l’aggressore”. L’obiettivo? Quello di sempre: “Due popoli, due Stati”. Molti paesi europei hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. Speriamo lo faccia anche l’Italia

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 1 Maggio 2024

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Intervista a Abeer Odeh: “Se noi palestinesi fossimo ucraini…”

Gaza, una tragedia infinita. Ne parla, in questa intervista esclusiva a l’Unità, l’Ambasciatrice di Palestina in Italia, Abeer Odeh.

La mattanza di Gaza ha raggiunto dimensioni apocalittiche: 10mila donne uccise in sei mesi, oltre 14mila bambini morti per i bombardamenti, la fame e le malattie legate alla guerra. E il mondo sta a guardare.
Purtroppo, è tutto vero. Si assiste all’uccisione di donne e bambini palestinesi come se si trattasse di numeri, non di persone come quelle che abitano il resto del mondo. I palestinesi sono stati de-umanizzati, non contano come esseri umani. Ma è l’umanità di chi tace a destare forti sospetti. Qualsiasi essere umano, indipendentemente dalle sue origini, dalla sua nazionalità o religione, dovrebbe essere naturalmente scioccato dalla tragedia che sta colpendo ogni singolo palestinese. Eppure, non si vedono grandi reazioni. Forse la gente guarda le immagini senza vederle. O forse è da questa parte dello schermo che mancano gli esseri umani.

Armi all’Ucraina ma per la Palestina non c’è posto alle Nazioni Unite. Due pesi e due misure?
Abbiamo notato due pesi e due misure fin dall’inizio dell’aggressione israeliana, proprio perché, come dicevo, i palestinesi non contano: non conta quello che subiscono, non conta quanto soffrano, non conta cosa pensino e di cosa abbiano bisogno. Se paragoniamo le attenzioni che riceve la società civile palestinese con quelle rivolte alle società civili di qualsiasi altro Paese sotto attacco, non possiamo fare a meno di notare che non solo i cittadini palestinesi non vengono aiutati dalla comunità internazionale, ma ad essere aiutata è proprio la potenza occupante, che commette crimini contro l’umanità riconducibili al genocidio e riceve in premio armi da importanti Paesi occidentali.

In Italia molto si discute e si polemizza sull’uso del termine genocidio in riferimento a ciò che sta avvenendo a Gaza. Lei come ribatte?
Non credo ci sia da ribattere, ma da ricordare quanto stabilito dalla Corte Internazionale di Giustizia che, ritenendo “plausibile” l’esistenza di un genocidio a Gaza, ha deciso di adottare misure cautelari contro Israele, sin qui totalmente disattese, ordinando al Paese aggressore di fare tutto il possibile per prevenire ulteriori crimini e per garantire la consegna di aiuti umanitari agli abitanti della Striscia di Gaza. Tutto il mondo dovrebbe portare rispetto per le decisioni prese dal più importante organo dell’ordinamento giuridico internazionale; e fare in modo che siano rispettate, anziché ignorarle per compiacere qualche Stato canaglia.

L’Europa chiede a Israele moderazione, critica la colonizzazione dei Territori, ma non si spinge oltre. Lacrime di coccodrillo?
In teoria l’Europa potrebbe giocare un ruolo di mediazione obiettivo e importantissimo. Purtroppo, non lo fa. Per fare un esempio che vada oltre l’attuale dimensione tragica di Gaza e ricordi la quotidianità della violenza israeliana, non basta che l’Europa critichi le azioni e le attività di qualche insediamento illegale se poi non condanna le forze di occupazione da cui i coloni sono protetti, anche fisicamente, mentre seminano morte e distruzione tra i palestinesi.

Ritiene ancora fattibile una pace fondata sul principio “due popoli, due Stati”?
Non solo credo che questo principio sia ancora valido, ma osservo che praticamente tutti i Paesi del mondo continuano ad invocarlo come la miglior soluzione al conflitto. Peccato che quasi nessuno faccia nulla affinché questa soluzione si concretizzi. Chi crede davvero in “due popoli, due Stati” dovrebbe impegnarsi seriamente e lavorare in modo genuino per fare pressione sulla potenza occupante affinché rispetti il diritto internazionale. Non vediamo questo sforzo da parte dei Paesi più influenti, né vediamo – soprattutto in Europa – il coraggio evidentemente indispensabile di riconoscere lo Stato di Palestina. Per questo ringraziamo i Paesi dell’Unione che hanno già riconosciuto il nostro Stato (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Cipro e Svezia) e quelli – come Spagna, Irlanda, Malta e Slovenia – che si accingono a farlo adesso sostenendo che sia l’unico modo per raggiungere la pace e la sicurezza in Medio Oriente. Ci auguriamo che lo faccia al più presto anche l’Italia. Sarebbe anche molto importante rilanciare l’idea di una Conferenza di Pace con cui avviare negoziati equi, in grado di mettere fine all’occupazione più lunga e mortale del mondo.

Nelle università gli studenti che si mobilitano per la Palestina vengono manganellati o tacciati di antisemitismo.
Ringrazio dal profondo del cuore gli studenti che sostengono la Palestina in Italia, negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Il loro ruolo è fondamentale perché porterà ad una maggiore conoscenza della causa palestinese e ad una più profonda consapevolezza del diritto dei palestinesi di vivere con dignità. Non è mai il caso di opporsi a un movimento che chiede giustizia. Ma non è una novità che chi sostiene la Palestina sia accusato di antisemitismo: è il modo migliore per far sentire Israele al di sopra della legge e per garantirgli impunità mentre calpesta i nostri diritti umani senza che nessuno osi impedirglielo.

1 Maggio 2024

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