Parla il Maestro
Comicon Napoli. Intervista a Milo Manara: “Fortunato ad essere ancora qui con chi mi dimostra affetto. Oggi si è celebri senza avere un particolare talento”
Uno degli ospiti d'onore più attesi della famosa kermesse che da anni polverizza ogni record in termini di presenze. Manara è un artista riconosciuto a livello mondiale. In occasione di questa chiacchierata ci ha raccontato la genesi di un'altra copertina, quella di un vecchio album di Enzo Avitabile. E poi, tra un aneddoto e l'altro sulla vita privata e professionale di uno degli esponenti del fumetto più grandi di sempre, Manara ci ha 'donato' una riflessione sul rapporto tra il web e l'uso del corpo
Interviste - di Andrea Aversa
L’ho visto arrivare da lontano, con calma. Il salone dell’hotel dove avevamo appuntamento per l’intervista era quasi vuoto, eppure lui lo ha riempito con quella grazia, caratteristica di pochi. Ma nonostante quest’aurea’ Milo Manara è una delle persone più semplici e disponibili che abbia mai conosciuto. Una volta giunto vicino a me, ci siamo presentati e stretti la mano. Poi entrambi ci siamo seduti al tavolo messo a disposizione dello staff dell’albergo. Ed abbiamo aperto le danze. Manara è tra gli ospiti d’onore del Comicon, rassegna dedicata al fumetto (e non solo) di scena a Napoli da ormai 20 anni. Un periodo durante il quale l’evento è diventato un punto di riferimento, nazionale e internazionale, per gli amanti del genere. Manara non ha bisogno di presentazioni. Il suo lavoro che ha unito l’erotismo alla storia, ha generato opere di unica bellezza. Il suo tratto elegante, reale e ricercato lo hanno reso uno degli artisti più importanti al mondo. Memorabili, tra le altre, le sue collaborazioni con un altro mostro sacro del fumetto: Hugo Pratt. Provocatorio e ironico ma mai fuori luogo, Manara come Caravaggio ha spesso pescato nel reale le donne, modello per i suoi disegni e come Fellini non ha posto limiti alla sua fantasia e immaginazione. Non è un caso che un suo libro sia stato dedicato alla storia del sublime pittore e che una profonda amicizia lo abbia legato al geniale regista.
Intervista a Milo Manara al Comicon Napoli
Elodie non è stata l’unica musicista per la quale lei ha realizzato la cover di un album. Lo ha già fatto per Enzo Abitabile. Com’è nata questa collaborazione?
“Nella maniera più semplice possibile, lui mi ha chiesto la copertina di un disco che si chiamava ‘Stella Dissidente’ e mi ha detto quello che avrebbe desiderato, cioè mi ha parlato di New Orleans e del suo desiderio di essere ritratto, rappresentato in Bourbon Street che è la via storica del vecchio quartiere francese di New Orleans mentre faceva una certa mossa che era quella di James Brown cioè una piroetta. Naturalmente come si fa a rappresentare nel disegno che è statico per la sua definizione, qualcuno che fa una piroetta. Quindi io mi sono rifatto a un grandissimo maestro, un vecchio maestro, che è Mirone, l’autore del ‘Discobolo’, che risale al periodo classico greco del 500 a.C. e cioè caricare la persona, l’atleta, nel momento in cui – appunto – si carica come una molla prima di compiere il movimento e questo suggerisce proprio il senso del dinamismo e quindi ho rappresentato il nostro Enzo mentre sta caricando la piroetta, non durante, ma mentre la sta proprio per cominciare, un attimo prima di scattare, che questa molla scatti. E insomma, a lui è piaciuto. Io, fatalità, ero stato a New Orleans, quindi… conoscevo l’atmosfera, oltre che, naturalmente, il decoro, le case, eccetera. E spero di essere riuscito a rappresentare ciò che Enzo voleva. Un’altra cosa che mi aveva chiesto è stata anche di essere posto al centro di una stella, proprio perché l’album si chiamava ‘Stella Dissidente’. Quindi ho piazzato questa stella in mezzo a Bourbon Street e ho rappresentato Enzo mentre sta per eseguire la sua piroetta“.
Ad eventi come il Comicon vi sono tempi serrati e scalette da rispettare. Dove trova l’energia per continuare a parteciparvi e soprattutto, quali sono le emozioni che prova anche nel rapportarsi con il pubblico?
“Intanto penso alla grande fortuna che ho avuto di essere ancora qui con qualcuno che mi dimostra affetto, che mi dimostra apprezzamento. Quindi in negativo penso a quando tutto questo non ci sarà più. Perciò è molto volentieri che approfitto di questa fortuna e sarebbe veramente un segno di ingratitudine non approfittarne“.
Alla fine degli anni ’90 ha pubblicato un’opera che si chiama ‘Tre ragazze nella rete’, anticipando come un avanguardia il rapporto tra il web e la realtà e anche l’uso che si fa del corpo rispetto a internet. Ora sono passati 20 anni. Secondo lei a che punto siamo? C’è stata una devoluzione o un’evoluzione da questo punto di vista?
“Non saprei. C’è stata un’evoluzione sicuramente ma non saprei in che direzione. Cioè questo fenomeno dell’influencer, per esempio, non saprei come giudicarlo. C’era Andy Warhol che sosteneva che la televisione è quella cosa che garantirà a tutti un quarto d’ora di celebrità. In realtà è più la rete che adesso lo garantisce. Però sono un po’ perplesso nel vedere come questa celebrità non derivi da un’abilità particolare, non derivi da un lavoro che c’è dietro, da una proposta autentica delle proprie possibilità per migliorare un po’ questo nostro mondo, ma derivi solamente dalla celebrità, cioè è la celebrità che celebra se stessa. Una celebrità fine a se stessa. Sono famoso perché sono famoso. Non è che sia famoso perché sono bravo a battere il ferro, a cantare, a tirare di scherma. No, sono famoso semplicemente perché sono famoso. Ora io mi rendo conto che forse è in quella direzione che sta andando il mondo. Però mi domando se non stiamo perdendo veramente la cultura del fare, insomma, del fare qualche cosa. C’è una frase che mi ha sempre colpito nella ‘Chiave a stella’ di Primo Levi, dunque uno che era stato a Auschwitz-Birkenau, cioè che aveva attraversato l’inferno, e però una volta ritornato riprende il suo lavoro di chimico, che dice, ‘fare bene il mio lavoro è quanto di più vicino alla felicità possa immaginare’. Ecco, questo è veramente un manifesto, insomma, del fare bene il proprio lavoro. Ora che ci siano delle persone che guadagnano un sacco di soldi senza fare un lavoro, né bene né male, funziona ma non fanno niente. Si propongono solamente così, in quanto ci sono e sono famose. Sono famosi perché noi li abbiamo resi famoso. Molti approfittano di questa fama per diventare ancora più famosi e guadagnare ancora più soldi. Cioè è una contraddizione con quella frase di Primo Levi. Mi domando che utilità possa avere questa cosa, mentre considero che chiunque faccia bene il proprio lavoro è di una grandissima utilità per tutta la società e che molti dei guai che succedono derivino proprio dal fatto che molti non fanno bene il proprio lavoro. Parlo anche dei politici, parlo dei militari, parlo dei capitani d’industria. Se qualcuno pensa solamente al profitto, per esempio, io credo che non faccia bene il proprio lavoro“.
Non so se lei guardando indietro nella sua vita avrebbe mai immaginato un giorno di diventare quello che è oggi. Ho letto un’intervista nella quale ha detto, “non mi piacerebbe un giorno essere ricordato soltanto come un rappresentante dell’erotico attraverso il fumetto“. Come le piacerebbe essere ricordato?
“Insomma, credo che sia un po’ riduttivo visto che ho fatto un sacco di altre cose, però non ho fatto niente per non meritarmi l’etichetta, intendiamoci, quindi non lo considero un insulto, lo considero un po’ limitativo, però mi rendo conto che nel mare magnum delle proposte che ci sono adesso in fondo avere un’etichetta è quello che ti fa preferire forse ad altri, per cui non rinnego niente e in fondo non mi dispiace neanche, perché se mi dispiacesse penso che avrei fatto qualcosa di cui sentirmi in colpa. Direi che è andata così, è capitato“.
La seconda parte de ‘Il nome della rosa’ quando uscirà?
“Lo sto ancora disegnando, è un po’ più complesso e più lungo della prima parte, quindi ci sarà da aspettare ancora un pochino ma comunque io voglio farlo bene per rispetto all’autore, Umberto Eco, e per rispetto al lettore. Quindi voglio metterci esattamente il tempo che ci vuole per farlo, per farlo bene“.