Il dibattito sulla corruzione

La trasparenza è politica, non un atto dovuto ai Pm

Il tema della corruzione non è materia giudiziaria ma innanzitutto politica: ha a che fare, come ci ha insegnato Don Sturzo, con la partecipazione dei cittadini e con la condivisione della vita democratica

Giustizia - di Giuseppe Sangiorgi

18 Aprile 2024 alle 19:00

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La trasparenza è politica, non un atto dovuto ai Pm

Nel lontano novembre 1902 don Luigi Sturzo, il fondatore del Partito popolare, allora consigliere comunale a Caltagirone, tenne a Caltanissetta la relazione introduttiva al primo convegno dei consiglieri comunali cattolici siciliani. È interessante rileggerla, per la sua attualità rispetto a un tema che ci riguarda oggi più che mai.

Fra i provvedimenti ritenuti necessari per realizzare nel concreto l’autonomia municipale che rivendicava, Sturzo indicava “l’intervento del popolo nelle questioni più importanti della vita comunale e l’esercizio ordinato di un controllo pubblico nazionale”.

Di qui la proposta, rivoluzionaria per quell’epoca ma altrettanto efficace: generalizzare un sistema di referendum popolari, consultivi o deliberativi, che permettessero ai cittadini, sulla base delle informazioni ricevute dalle amministrazioni, di partecipare alle decisioni.

Partecipazione intesa come modo insieme di far crescere dal basso la democrazia, e contrastare la corruzione in quelle stanze chiuse dove “i pochi mandati al potere” potevano decidere non in base all’interesse generale, “ma in base alle proprie vedute interessate o arbitrarie”. Le stanze chiuse del potere luogo invisibile al semplice cittadino, la città proibita dove non visti si consumano gli arbitri e gli interessi personali denunciati da Sturzo.

Ricordate l’anello di Gige di cui racconta Socrate ne La Repubblica di Platone? Era un pastore Gige, alle dipendenze del re di Lidia. Per un terremoto sprofonda in una voragine e trova una caverna. Dentro c’era il cadavere di un cavaliere, con un anello d’oro. Lo prende e lo infila al dito.

Scopre che se lo gira all’interno della mano, diventa invisibile e può fare ciò che vuole. Ne approfitta Gige, eccome. In breve seduce la moglie del re, con il suo aiuto lo uccide, e diventa lui il re. Supponiamo ora, dice Socrate, che ci siano due di tali anelli e che uno lo infili il giusto e l’altro l’ingiusto.

Ebbene, anche il giusto sarà preso dalla tentazione di approfittare della l’invisibilità, perché nessuno è giusto di proposito, ma in quanto vi è costretto: “alla colpa è facile arrivare anche a schiere; piana è la via e vicina assai la sua dimora; ma innanzi alla virtù sudore han posto gli dei”.

Ecco dunque il punto: realizzare un sistema di trasparenza. Gli economisti studiano questo problema con riferimento ai soggetti finanziari e il mercato. Quali informazioni corrette sono dovute dai soggetti finanziari al mercato perché questo, pur nell’alea degli investimenti speculativi, non sia tratto in inganno da notizie fuorvianti, o dalla mancanza delle notizie dovute perché gli investitori siano in grado di operare le loro scelte in un quadro di correttezza di rapporti con gli attori finanziari.

A maggior ragione questo vale per la politica. Il prodotto interno lordo italiano supera i duemila miliardi, la metà dei quali sono spesa pubblica. Significa che la metà delle risorse finanziarie del Paese è sottoposto alla intermediazione delle amministrazioni pubbliche e dei partiti che le esprimono, a livello centrale e locale.

Sono cifre e interessi enormi, esattamente il terreno di coltura del legame tra politica e affari, e degli scandali davanti ai nostri occhi, con le ricorrenti inchieste giudiziarie che provocano. È possibile che solo la magistratura sia chiamata a questo compito di guardiana della legalità?

Non può esserci un anticorpo della politica che preventivamente svolga questo stesso compito, con un risultato che sarebbe di gran lunga migliore? Jurgen Habermas, il grande studioso della democrazia, ha dato su questo una indicazione di straordinario interesse, che recupera in positivo il pessimismo di Socrate sulla natura umana, e le preoccupazioni di Luigi Sturzo sulla vita pubblica.

È la sua proposta della “politica deliberativa”. La politica deliberativa di Habermas è un modello di democrazia che si appoggia sulle condizioni comunicative entro cui il processo politico, basato su modalità consultive e procedurali, è in grado di generare una formazione dell’opinione pubblica informata e consapevole delle scelte da compiere.

In tale modo le indirizza e insieme le controlla. È la trasparenza dei processi decisionali, contro l’arbitrio di poter girare quando si vuole l’anello di Gige all’interno della mano. Si tratta di organizzarla, oltretutto nella società della comunicazione dei nostri giorni.

Habermas spiega come fare, e sono i partiti, se vogliono avere ancora un senso, a dover prendere in mano una tale iniziativa. Inventare nuove forme e prassi attraverso cui migliorare la democrazia rappresentativa attraverso il contributo di quella partecipativa.

C’è una lunga eco di storia in tutto questo. La piazza ateniese decideva informata. Giulio Cesare ideò gli acta diurna per tenere al corrente i cittadini della vita del Senato. Jean Jacques Rousseau ne ha fatto il perno del suo contratto sociale. La lotta alla corruzione è una affermazione di democrazia, prima che di legalità. Un problema politico, non giudiziario.

18 Aprile 2024

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