Trattative in corso
Guerra a Gaza, spiragli per un cessate il fuoco: proposta Usa di 45 giorni di tregua per la liberazione di 40 ostaggi
Esteri - di Carmine Di Niro
Mai come questa volta filtra ottimismo. C’è infatti speranza che la proposta avanzata dagli Stai Uniti per un cessate il fuoco temporaneo tra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza venga accettata da entrambe le parti.
La proposta Usa per un cessate il fuoco tra Hamas e Israele
Al centro della trattativa, secondo fonti egiziane citate dalla testata del Qatar “Al-Araby Al-Jadeed“, la proposta di una tregua di sei settimane delle ostilità in cambio del rilascio di 40 ostaggi in mano al gruppo radicale islamico che controlla la Striscia di Gaza, dove nelle mani dei guerriglieri sarebbero ancora un centinaio di ostaggi.
- Tregua a Gaza: nessun accordo all’orizzonte, Israele e Hamas smentiscono progressi nelle trattative
- Netanyahu stretto tra Biden e l’estrema destra, la “minaccia” di Ben-Gvir: “Operazione a Rafah o non sarà più premier”
- Può esistere una democrazia senza Stato di diritto? Il caso di Israele e la ferocia di Netanyahu
Ci sarebbe inoltre un parziale ritorno di sfollati nella parte nord di Gaza, con la proposta che prevede anche l’opzione di una tregua iniziale di 3 giorni, senza alcun obbligo, per i giorni di Eid el-Fitr, che comincia martedì sera.
Hamas apre alla proposta
Una fonte di Hamas ha affermato che il gruppo radicale islamico sta studiando la proposta per un cessate il fuoco di 45 giorni a Gaza.
Secondo la fonte di Hamas vicina ai negoziati, l’accordo di cessate il fuoco a Gaza vedrebbe una tregua di sei settimane e la liberazione di donne e bambini israeliani in ostaggio in cambio di un massimo di 900 prigionieri palestinesi. La prima fase della proposta prevedrebbe anche il ritorno dei civili palestinesi sfollati nel nord della Striscia di Gaza e la consegna di 400-500 camion di aiuti alimentari al giorno alla popolazione affamata.
Da Israele Netanyahu frena
Eppure da Tel Aviv le parole del premier Benjamin Netanyahu continuano a rivelarsi un ostacolo ad ogni trattativa. In un video il leader israeliano ha annunciato che la fine del conflitto a Gaza “richiede l’ingresso a Rafah e l’eliminazione dei battaglioni terroristici presenti lì. Accadrà, c’è una data”, ha detto senza aggiungere però dettagli.
Una posizione che appare figlia delle minacce arrivate oggi dall’estrema destra ultraortodossa che sostiene il suo esecutivo. Il ministro israeliano della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, leader del partito di estrema destra Potere Ebraico, ha sottolineato sui social che Netanyahu “non avrà il mandato per continuare a ricoprire la carica di primo ministro” di Israele se la guerra di Israele nella Striscia di Gaza non terminerà con “un attacco esteso a Rafah per sconfiggere Hamas”. Si tratta di una richiesta diametralmente opposta a quella che arriva dagli Stati Uniti.
E non a caso dopo le parole di Netanyahu è arrivata una risposta da Washington, col portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller che ha sottolineato come la Casa Bianca “ha detto chiaramente a Israele che riteniamo che un’invasione militare di Rafah potrebbe avere un effetto estremamente dannoso sui civili e quindi danneggiare la sicurezza di Israele”.