La sentenza
Obbligo e multe, così il crocifisso viene ridotto a un brand
Il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima l’ordinanza del sindaco di Mandas, in Sardegna, che ne imponeva l’esposizione negli edifici pubblici. Una sentenza che potrebbe riaccendere lo scontro politico
Editoriali - di Salvatore Curreri
La sentenza con cui il Consiglio di Stato, lo scorso 18 marzo, ha dichiarato illegittima l’ordinanza del Sindaco di Mandas (Sud Sardegna) che, per contrastare il “degrado…del patrimonio culturale” e “preservare le attuali tradizioni” del suo comune, imponeva negli edifici pubblici “la presenza del Crocifisso quale simbolo fondamentale dei valori civili e culturali del nostro paese”, riporta all’attenzione un tema su cui potrebbe riaccendersi lo scontro politico.
Essa infatti potrebbe offrire lo spunto per riprendere in considerazione la proposta di legge che due deputati della Lega per Salvini hanno presentato lo scorso 6 settembre per rendere obbligatoria l’esposizione del crocifisso in modo “elevato e ben visibile” in scuole, uffici della pubblica amministrazione, carceri, università, accademie, stazioni, ospedali, porti e aeroporti, pena sanzione da 500 a 1000 euro, anche a carico del pubblico ufficiale che si rifiuti di esporlo o lo rimuova.
Tale proposta di legge sembrerebbe avere l’appoggio della Presidente del Consiglio, secondo cui “è giusto che ci sia il crocifisso appeso nelle aule delle nostre scuole in uno Stato laico. Non vuol dire imporre a qualcuno il nostro credo. Significa riconoscere i valori che hanno fondato la nostra civiltà. Se noi rinunciamo a quei valori noi non sappiamo più chi siamo. A nessuno può fare paura il simbolo di un uomo tradito e venduto per quello in cui credeva. Se questo fa paura a qualcuno è quel qualcuno che è sbagliato”.
Invece, di volutamente sbagliate in questa affermazione ci sono parecchie cose. Innanzi tutto, anche se non sono un teologo, forse vale la pena comunque ricordare che Cristo non è un “uomo tradito e venduto”.
È Dio che si è incarnato e che si è voluto sottoporre alla crocifissione per poi vincere la morte ed il peccato e salvare l’umanità. Quanto al “tradito e venduto” non occorre aver letto La Gloria di Giuseppe Berto per capire che tutto ciò faceva parte del disegno divino. Evidentemente anche su ciò che il crocifisso rappresenti sotto il profilo religioso c’è qualche incertezza di troppo.
O forse no. Forse, cioè, è proprio questa la concezione del crocifisso che s’intende affermare. Un simbolo di chi ha dato la vita per i nostri valori; un eroe che si è immolato per le proprie idee (ricordo che un venerdì santo, mentre il “primo canale” trasmetteva la via crucis il “secondo canale” mandava in onda un film sulla vita di Alexander Panagulis…). Quindi un simbolo della nostra cultura, delle radici della nostra civiltà, in definitiva della nostra identità.
Ma in questo modo non si offende il simbolo crocifisso, secolarizzandolo, degradandolo a mero brand storico-culturale, ignorandone o mettendone comunque in secondo piano la dimensione religiosa?
Si è davvero convinti di fare un buon servigio alla Chiesa (non richiesto, né gradito, a giudicare dalle tiepide, se non contrarie reazioni del mondo cattolico) multando chi non espone il crocifisso, in una società, come la nostra, che non solo è ormai multiculturale, in cui finora convivono in modo finora pacifico e rispettoso religioni diverse, ma che non è più nemmeno in maggioranza cattolica, come dimostrano tutti i sondaggi e, ancor prima, la scarsa assiduità degli italiani ai sacramenti e alle pratiche religiose.
Davvero non si avverte la paradossale conseguenza di avere chiese deserte e crocifissi appesi? Qui non si tratta di rivendicare una laicità negativa “alla francese” in cui è vietato ostentare simboli religiosi nei luoghi pubblici perché “ebrei, musulmani o cristiani in casa, francesi repubblicani fuori!”. Concezione “esclusiva” che non è affatto estranea ai problemi d’integrazione sociale di cui la Francia soffre da tempo.
Quella proclamata dalla nostra Costituzione è invece una laicità positiva e inclusiva, che considera il fenomeno religioso come esperienza non solo privata ma sociale e pubblica, quale espressione della personalità di ciascuno.
Per questo, l’art. 19 della nostra Costituzione precisa che “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa” non solo “in qualsiasi forma, individuale o associata” ma anche “di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
Laicità, quindi, non vuol dire “indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni” (C. cost. 203/1989) ma “equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose” (C. cost. 329/1997; 508/2001) e, in più, “garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale” (203/1989).
Compito della Repubblica, infatti, è “garantire le condizioni che favoriscano l’espansione della libertà di tutti e, in questo ambito, della libertà di religione”, la quale “rappresenta un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall’art. 2 Cost. (C. cost. 334/1996)”.
Così nel nostro Paese si può, ad esempio, professare la propria fede in pubblico (si pensi alle processioni); si ha diritto all’obiezione di coscienza per motivi religiosi; si ha diritto all’assistenza religiosa nei luoghi pubblici o di non lavorare per onorare determinate festività religiose.
In questo contesto imporre il crocifisso significherebbe ritornare alla religione di Stato oppure, ripeto, desacralizzarlo, riducendolo ad emblema nazionale quando invece l’unico simbolo d’integrazione che la Costituzione prevede è la bandiera (art. 12 Cost.), quale “espressione della dignità dello Stato medesimo nell’unità delle istituzioni che la collettività nazionale si è data” (C. cost. 531/2000, 2).
Anziché la scorciatoia dell’obbligo, si segua piuttosto la strada, certo più difficile ma alla fine vincente, del dialogo per pervenire a soluzioni concordate, come quella vigente in Baviera dove, in caso di contrasti nelle scuole, decide volta per volta il dirigente scolastico, di concerto con il personale docente, gli alunni ed i loro genitori, al fine di ricercare “un ragionevole accomodamento [tra eventuali posizioni difformi] che consenta di favorire la convivenza delle pluralità”, anche “affiancando al crocifisso, in caso di richiesta, gli altri simboli delle fedi religiose presenti all’interno della stessa comunità scolastica”, come suggerito di recente dalla nostra Cassazione (24414/2021).
Non è con l’imposizione del crocifisso che si afferma la nostra identità o si accresce la fede cattolica, anche perché “non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Matteo 7,21).