Il leader accerchiato
Salvini all’angolo, all’Istat salta il bis di Blangiardo: i possibili nomi
Il pollice verso dell’opposizione (e l’ostilità di FdI) costringono la destra a rinunciare al bis di Blangiardo. Passo indietro sulla separazione delle carriere
Politica - di David Romoli
“Di congresso a tre mesi dalle europee eviterei di parlare e comunque il ruolo di Salvini non è in discussione”. Così parlò Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera e salviniano doc.
Il primo enunciato è un fatto: del congresso il leader non ha alcuna intenzione di parlare né tre mesi prima né tre mesi dopo le europee. Se ne parlerà l’anno prossimo. La seconda parte dell’affermazione di Molinari invece è un auspicio.
Certo, mettere in discussione Salvini in un partito il cui nome all’anagrafe è “Salvini premier” è tutt’altro che facile, o più precisamente è impossibile. Il primo passo, ammettono i frondisti, dovrebbe proprio essere cambiare il nome del partito ma anche questo è tutt’altro che facile.
Il controllo del leader sui gangli della Lega resta comunque forte ma resta il fatto che si trova in una situazione difficilissima. Non passa giorno senza che gli venga affibbiato un nuovo colpo e a volte arrivano a gragnuola.
Ieri è stata un’altra giornata nera. La maggioranza ha alzato bandiera bianca sulla ricandidatura di Gian Carlo Blangiardo all’Istat. La postazione dell’ex presidente era considerata dal Carroccio irrinunciabile ma il pollice verso dell’opposizione, il cui appoggio è necessario data la necessità di maggioranza qualificata, ha costretto la maggioranza a rinunciare, dopo un anno di tira e molla, alla sua ricandidatura.
Ma oltre al no della maggioranza ha pesato lo sgambetto di FdI. Tra i requisiti richiesti dal bando per l’incarico lanciato il 22 febbraio scorso c’è anche il non essere ancora in pensione, mentre il demografo di 74 anni è pensionato già da oltre un anno.
La sua candidatura era sponsorizzata più da Giorgetti che da Salvini ma l’ennesima sconfitta indebolisce ulteriormente anche il capo. La carta forte che il vicepremier pensa di giocare è l’autonomia differenziata ma anche lì gli ostacoli non mancano.
La riforma è in calendario per aprile ma nella maggioranza sono in molti a frenare, nel timore che varare una riforma così sgradita al sud proprio alla vigilia delle europee possa costare molto in termini di voti meridionali.
FdI, poi, insiste per l’approvazione contestuale in prima lettura della sua riforma costituzionale, il premierato. In sé è una richiesta comprensibile, nessuno vuole arrivare al 9 giugno senza la propria bandiera piazzata e sventolante. Ma il rallentamento, dato l’ingorgo legislativo alla Camera, potrebbe rivelarsi esiziale per l’approvazione prima delle europee.
L’intera trattativa sulle riforme è scivolosa e ambigua, ma una serie di segnali sembrano dire che l’asse FdI-Fi punta ora soprattutto sulla separazione delle carriere più che sull’autonomia cara in realtà solo alla Lega.
Ieri il ddl sulla separazione era in calendario nella commissione Affari costituzionali della Camera ma è stato depennato all’ultimo momento, nonostante sia Azione che Iv fossero pronti a votarlo con la maggioranza.
Sembra un passo indietro e così lo interpretano i centristi che si scatenano contro la retromarcia del governo: “Appena si annuncia la separazione delle carriere il governo tira il freno a mano e tutto si paralizza”, s’infervora per Azione Costa.
“Fi sta tradendo l’eredità di Berlusconi”, accusa la coordinatrice di Italia viva Paita. In realtà non è detto che la brusca frenata sia davvero un passo indietro.
L’impegno preso dalla premier con Fi lunedì scorso prevede infatti la presentazione di un ddl governativo in materia all’inizio di maggio e va da sé che presentare un ddl del governo mentre se ne sta discutendo un altro affine in Parlamento sarebbe uno schiaffo alle Camere.
In ogni caso anche se Salvini otterrà l’autonomia in tempo per le europee sarà una vittoria più di Calderoli e dei governatori del nord che sua. Quanto al Ponte, il vero fiore all’occhiello, le cose vanno invece a rilento.
Il miraggio di posare la prima pietra in tempo per le elezioni del 9 giugno è già svanito. Ci vorranno ancora mesi. La partita si giocherà dunque nelle urne, perché sotto l’asticella del 6% la posizione del “Capitano” diventerebbe insostenibile, ma anche subito dopo.
Il congresso non arriverà prima del 2025, probabilmente, ma il nord nutre una quantità di dubbi sulla scelta di restare anche per i prossimi 5 anni fuori dai giochi in Europa.
Salvini invece è deciso a tenere duro sulla linea rigida del gruppo Identità e Democrazia, con il Rassemblement di Marine Le Pen e la AfD. Le ostilità, molto prima del congresso e delle elezioni in Veneto che potrebbero rivelarsi il vero punto di non ritorno, cominceranno allora.